2019-06-14
«Non lasciai l’inchiesta su Dagostino. La usai per arrivare a Lotti e al Csm»
L'ex magistrato di Trani, accusato di corruzione, sfruttava il socio di babbo Tiziano per incontrare l'ex ministro dello Sport e alcuni consiglieri. Uno schema che ricorda la vicenda del mercato delle toghe.Il mercato delle toghe non è una tendenza della primavera estate 2019 e i rapporti incestuosi tra magistrati e Giglio magico emergevano già in un'inchiesta di cui questo giornale si occupò quasi in solitudine. Al centro c'era l'ex pm di Trani Antonio Savasta che, anziché iscrivere sul registro degli indagati l'imprenditore Luigi Dagostino per un giro di false fatture, preferiva incontrarlo al bar e farsi portare da lui a Roma nei palazzi del potere, al cospetto dell'ex sottosegretario Luca Lotti e dei consiglieri del Csm. Dunque le cronache di queste ore sembrano riprendere vecchi copioni ingialliti. Dagostino all'epoca frequentava il Giglio magico e faceva affari con Tiziano Renzi e Laura Bovoli. In modo non sempre limpido, a detta dei magistrati fiorentini. Al punto che la Procura ha mandato il terzetto a giudizio per false fatture e ha accusato Renzi senior e Dagostino di traffico di influenze illecite proprio per una visita di Savasta a Palazzo Chigi, nell'ufficio di Lotti, il 17 giugno 2015. A favorire l'appuntamento sembra sia stato proprio babbo Tiziano, il quale lo stesso giorno ricevette da Dagostino un bonifico da 24.400 euro che per gli inquirenti fiorentini aveva una causale farlocca. Nel gennaio scorso Savasta è stato arrestato per corruzione in atti giudiziari. Per l'accusa avrebbe preso soldi anche da Dagostino, ma il magistrato ha sempre negato. Ha ammesso, però, che quando seppe che l'inchiesta coinvolgeva l'imprenditore pugliese avrebbe dovuto liberarsi del fascicolo, ma non lo fece: «Avrei dovuto immediatamente astenermi e invece non volevo perdere l'occasione di trovare l'opportunità di andare presso altri uffici» ha detto ai magistrati di Lecce che lo hanno spedito in carcere. «Infatti quando fui invitato (…) per partecipare a una cena a novembre 2015 decisi di andare per riprendere eventualmente con Lotti l'argomento di una mia applicazione» in qualche commissione ministeriale. Discorso già affrontato nel giugno precedente e interrotto dopo uno scambio di mail a luglio. La cena si tenne il 6 dicembre 2015 a casa di un dipendente di Dagostino a cui presenziarono diversi consiglieri del Csm e a cui avrebbe dovuto essere presente anche Lotti. La serata fu organizzata da un giornalista, Luciano Tancredi, che si occupava delle pubbliche relazioni della Ads, un'azienda specializzata in impianti tecnologici, decantata da Matteo Renzi e poi fallita. Per alcuni mesi Dagostino ne fu socio. Ai pm Savasta ha spiegato: «L'avvocato Ruggiero Sfrecola (all'epoca indagato insieme con il magistrato, ndr) mi disse che a Roma c'era una cena alla quale sarebbero andate delle persone abbastanza importanti e probabilmente in quell'occasione avremmo potuto rincontrare Lotti. […] Io inizialmente non ero tanto d'accordo perché non mi aveva più chiamato, però, disse: “Dai andiamo che ci sono persone importanti"». La sera della festa Dagostino, neanche fosse l'anfitrione, portò una cinquantina di scatole di cioccolatini per gli illustri ospiti. Alla serata partecipò l'allora vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, che da sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'editoria aveva ingaggiato Tancredi come addetto stampa. Tra i 20-30 invitati figuravano anche i consiglieri Paola Balducci e Giuseppe Fanfani. All'epoca Savasta era sotto procedimento disciplinare e, un po' come hanno lamentato i consiglieri pizzicati dal trojan a cenare con Lotti e Luca Palamara il 9 maggio 2019, anche Legnini provò imbarazzo di fronte all'inaspettato commensale: «Mi fu presentato il magistrato Savasta […] Non ricordo se chiesi a Tancredi perché lo avesse invitato alla sua cena. Ciò che è certo è il mio disappunto per quella presenza. Ove l'avessi saputo ovviamente non avrei partecipato». Poi ha aggiunto: «Mi meravigliò la sua presenza anche perché sapevo che aveva una pendenza di carattere disciplinare con il Csm e io avevo presieduto un'udienza cautelare a carico di Savasta. […] Ebbi il sospetto che in qualche modo la sua presenza fosse legata a un suo procedimento disciplinare a me noto». Legnini davanti alla pm di Firenze Christine von Borries ha precisato: «Ma poi Savasta non mi chiese nulla né mi intrattenni a parlare con lui, se non genericamente, ma certamente non del suo procedimento disciplinare. Parlai poco anche con Dagostino […] nessuno mi ha mai fatto una raccomandazione su Savasta». Carte alla mano Legnini ha ricostruito con gli inquirenti fiorentini come lui e il Csm agirono nei confronti del magistrato in contatto con il Giglio magico: «Ho presieduto l'udienza disciplinare del 22 novembre 2016 a carico di Savasta avente a oggetto la domanda cautelare di trasferimento d'ufficio ad altra sede. […] L'udienza venne rinviata al 17 febbraio 2017 per incombenze istruttorie». La seduta venne annullata «in quanto il dottor Savasta aveva ottenuto a domanda il trasferimento ad altra sede (a Roma, ndr) con delibera del plenum. Il successivo procedimento di merito disciplinare fu presieduto dal consigliere Leone da me delegato ed è stato assolto (Savasta, ndr) il 6 novembre 2017. […] So che in precedenza nel 2013 Savasta aveva avuto un procedimento disciplinare conclusosi con assoluzione». In conclusione, anche se Savasta si è rammaricato che nel 2015 Legnini «fu molto freddo» con lui e «non venne nemmeno Lotti», il Csm ha portato sempre bene al pm tranese. Il quale, però, cinque mesi fa è stato arrestato per reati gravi e in parte confessati. Per fortuna sua e, forse, anche dei suoi contatti, nell'indagine leccese non c'era nessun trojan a spiare cene e conversazioni.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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