2020-11-09
Silvio Garattini: «Non illudiamoci sul vaccino. Sarà pronto soltanto a marzo»
Il grande ricercatore farmacologico: «L'Italia sarà tra i primi Paesi ad avere le dosi Anche i cinesi sono avanti negli esperimenti ma non vogliono condividere i loro dati».Il premier Giuseppe Conte sostiene che le prime dosi di vaccino anti Covid potrebbero arrivare in Italia addirittura all'inizio di dicembre. Un annuncio un po' vago che sa tanto di promessa politica per tacitare l'insofferenza verso le nuove misure restrittive e che ha diviso la comunità scientifica tra chi sostiene sia verosimile e chi invece ritiene ci voglia più tempo. Abbiamo girato la domanda a Silvio Garattini, scienziato di fama internazionale, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche, Mario Negri. Ecco la risposta: «L'università di Oxford che, in collaborazione con l'azienda farmaceutica AstraZeneca, sta lavorando su uno dei principali vaccini sperimentali a livello mondiale, ha parlato della prossima primavera. Ha detto che dovrebbe essere pronto entro marzo».A che punto è la sperimentazione?«La fase 3, quella definitiva, è in corso di completamento. Poi i risultati saranno presentati per la registrazione all'autorità regolatoria, l'Agenzia europea per i medicinali (Ema), che deve autorizzare la commercializzazione. Servono due indicazioni: il grado di protezione dal virus che deve essere almeno del 50% e la conoscenza degli effetti collaterali». La sperimentazione però è stata più volte interrotta. Il vaccino ha creato problemi?«Ci sono state interruzioni ma poi la sperimentazione è ripresa perché si è scoperto che gli effetti preoccupanti non erano causati dal vaccino. Gli effetti più comuni sono qualche linea di febbre, un po' di mal di testa, un malessere simile a quello causato da un'influenza leggera. Tutto emergerà più chiaramente dai risultati definitivi della sperimentazione». Lei ha parlato di fase 3: come si arriva a questo stadio?«Prima di tutto ci sono studi preclinici effettuati sugli animali per essere sicuri che non ci sia tossicità. Poi si passa alle fasi 1 e 2 che indicano se c'è un'attività, cioè se si formano gli anticorpi e quali sono le dosi migliori per avere il massimo effetto di copertura senza tossicità. La fase 3 prevede il test su decina di migliaia di persone per stabilire quale è il grado di efficacia e la protezione dalla malattia. I dati vengono presentati all'autorità regolatoria e se approvato, il vaccino diventa commercializzabile». Quante sperimentazioni si stanno facendo nel mondo?«Ce ne sono 42 in fase clinica e 8 che hanno raggiunto la fase 3. Da questo escludo il vaccino russo perché è fatto solo per la Russia, e quello cinese, circoscritto alla Cina».A che punto è il vaccino russo?«Non è ancora alla fase 3».E quello cinese? Le indiscrezioni dicono che sarebbero pronti.«Se sono pronti, perché non hanno fatto richiesta di autorizzazione all'Ema o all'americana Food and drug administration, che negli Usa si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici? Probabilmente non sono interessati a metterlo sul mercato europeo o americano. Può darsi che Pechino preferisca privilegiare la sua popolazione, molto numerosa, o che non intenda condividere i dati».Quanto tempo deve passare tra la presentazione dei dati all'autorità regolatoria per l'approvazione e l'arrivo del vaccino sul banco delle farmacie? Considerato che si è alla fase 3, è poco probabile che le prime dosi possano arrivare la prossima primavera e assolutamente da escludere per dicembre.«In una condizione normale, un farmaco per entrare in commercio impiega diversi mesi dal momento dell'autorizzazione. Ma noi siamo in una situazione di emergenza. I governi stanno investendo nella ricerca del vaccino e ciò ha consentito di avviare la produzione durante la sperimentazione, prima del via libera definitivo delle autorità del farmaco. Se al termine della fase 3 il vaccino dovesse risultare non attivo, bisognerà buttare tutto. Ma in caso contrario, si sarà risparmiato tanto tempo, con il vantaggio di avere in commercio le dosi subito dopo l'autorizzazione». Ma non sarà subito per tutti: ci saranno categorie di persone che avranno la priorità?«È inevitabile. Probabilmente prima saranno vaccinati gli operatori sanitari, chi è esposto a contatti con il pubblico, le persone a rischio». Per avere una vaccinazione diffusa quanto tempo servirà?«Di sicuro gran parte del 2021. Molto dipenderà dalla volontà della gente di farsi vaccinare. Vedremo se si rifaranno sentire i No vax».A questo punto della sperimentazione, quali informazioni mancano ancora?«Ci sono tante domande che attendono una risposta. Non sappiamo per quanto tempo il vaccino è efficace, se risolveremo il problema una volta per tutte o se bisognerà fare la dose ogni anno». Per dare una risposta a questi interrogativi occorre tempo, o sbaglio?«Solo dopo averlo commercializzato sapremo quanto dura la copertura». Il vaccino che si sta producendo all'università di Oxford, e a cui l'Italia partecipa, come sarà distribuito?«L'Italia fa parte del gruppo europeo che ha contribuito a realizzarlo e quindi riceveremo subito un parte delle dosi».A che punto è la sperimentazione negli altri laboratori europei?«Non abbiamo informazioni su come procedono gli altri Paesi.Solo la Oxford University ha dato alcune indicazioni sullo stadio degli studi e ha indicato la prossima primavera, forse marzo, come momento della commercializzazione del vaccino. La sperimentazione si sta facendo negli Stati Uniti, in Sudafrica e in Brasile». Non c'è il rischio che nel frattempo il Covid muti compromettendo l'efficacia del vaccino?«Il virus è stabile nella sua essenza. Ci sono tante chiacchiere su questo tema, ma mancano dati solidi per dare questo tipo di giudizi. Sappiamo che la risposta al virus è molto varia. La maggior parte delle persone che vengono infettate sono asintomatici ma possono trasmettere il virus. Poi c'è una frazione, piccola che ha la malattia e deve andare in terapia intensiva». Il Covid colpisce soprattutto chi ha già altre patologie. Quindi chi è in buona salute non dovrebbe correre rischi?«Non è detto che si ammala chi è già malato. Chi è anziano e ha altre patologie ha più probabilità di contrarre il virus in modo grave. Parliamo sempre di probabilità. Alcuni morti avevano 50 anni. Dal punto di vista statistico gli anziani con malattie croniche come diabete e insufficienza respiratoria e cardiaca, se si contagiano, corrono più rischi di avere una risposta grave al virus».Considerato che gli anziani sono più esposti e ricorrono quindi più facilmente al pronto soccorso, sono sacrificabili come qualcuno ha detto?«Sa, il 12 novembre compio 92 anni e alla mia età sono in conflitto d'interessi per rispondere a questa domanda. Gli anziani hanno pagato molto questa situazione e sono i più attenti: non escono se non è necessario. È inutile girare attorno ai problemi. La possibilità di star bene dipende da noi: se usiamo i dispositivi di sicurezza come mascherina e distanziamento, il virus non lo prendiamo. Tanti giovani non lo hanno capito e continuano la vita come se non ci fosse il virus in circolazione. Gli anziani devono ricevere il vaccino per primi, vanno protetti. Chi sostiene che sono sacrificabili ignora che tutte le vite hanno lo stesso significato ed eticamente gli anziani non vanno esclusi perché hanno una durata di vita più corta. Il Comitato di bioetica in un documento ribadisce che il valore della vita è uguale per tutti e l'età non deve essere un fattore discriminante».La chiusura delle scuole può arginare il contagio?«È una valutazione di tipo politico, non compete a me dare una risposta. I dati indicano che fra i giovani c'è una percentuale molto infettiva mentre in altri poco. Il contagio dipende da tanti fattori, soprattutto dai contatti che si hanno. Ma su questo facciamo parlare gli epidemiologi».L'istituto Mario Negri che studi ha in corso?«Abbiamo distribuito questionari a 45.000 persone per capire il tipo di reazione durante il lockdown».E che cosa avete scoperto?«La costrizione in casa ha avuto conseguenze a livello psicologico soprattutto tra le fasce meno abbienti, che vivono in spazi ristretti. Sono emerse forme di ansia e depressione anche in persone sane. Abbiamo in corso uno studio sulle sostanze che possono favorire o aggravare l'infezione e sulla predisposizione genetica ad ammalarsi. Si potrebbe fare di più se ci fossero maggiori risorse. In Italia la ricerca è considerata una spesa, non un investimento. Non per niente abbiamo la metà dei ricercatori dell'Europa».Cosa pensa dell'ipotesi che il Covid sia nato in laboratorio?«È una delle tante falsità che girano sul virus. Non ci sono elementi per affermare una cosa del genere. I virologi hanno stabilito che il Covid ha origine dal pipistrello e per propagarsi ha avuto come intermediario un mammifero».