2019-09-03
Non è certo il Bullo opportunista che può insegnare politica ai giovani
Se Matteo Renzi può ancora avere ambizioni, la colpa è di chi lo lascia fare e dell'inconsistenza degli avversari. Però furbizia, voltafaccia, trasformismo e incoerenza non possono essere le discipline da imparare.Gira una scommessa nelle stanze della politica: cioè che sarà Renzi a far cadere il governo che ha propiziato, quando deciderà che non gli serve più. Anche per dimostrare (ma in parte lo ha già fatto) che è tornato, è vivo ed è il regista di tutto: del prima e del dopo. Sembra la storia di quei vigili del fuoco che andavano a incendiare i boschi in modo da poter arrivare per primi a spegnere le fiamme e così guadagnarsi l'encomio. Annuncerà che il Conte bis ha già fatto quello che doveva fare ma ora basta. Per il bene del Paese. Proprio come oggi. Of course. Non sorprendetevi che si parli già del funerale prima che il governo sia nato, perché è difficile pensare che sui programmi, finora tenuti a debita distanza da un accordo fatto solo sulle poltrone, sia possibile concepire una scelta condivisa. Non si saprà a breve come i due attori del contratto decideranno di comportarsi sulla Tav, sull'aumento degli 80 euro, sul reddito di cittadinanza fin qui osteggiato con ogni mezzo dal Pd, sulle infrastrutture come l'aeroporto di Firenze, sulla concessione delle autostrade, sulla strada Tirrenica, sulla riforma che toglie l'autonomia ai nostri musei. Del resto, finché avrà in mano la maggioranza dei parlamentari del Pd e nessun leader o presunto tale avrà la forza e il coraggio per correggerlo, c'è il sospetto che il copione renziano sia virtualmente già scritto. Un manuale della politica discutibile ma che riflette la realtà. Come si fa a negare che, grazie ai suoi metodi spicci ma efficaci, Matteo Renzi sia l'uomo più scaltro del Paese? E anche, per carità, che la ricerca di una nuova maggioranza sia stata una operazione costituzionalmente legittima? Innegabile. Tutto. Ma come e perché si è arrivati all'immaginifico e, per ora, nebuloso accordo? Se Renzi è considerato il vincitore, e con lui Giuseppe Conte che resta in sella e quanti altri ne volete aggiungere a piacimento, c'è però uno sconfitto certo su cui credo non si possa discutere: si chiama Politica con la P maiuscola, quella intesa come servizio alla gente, quella di cui ogni tanto si sente parlare quando bisogna camuffare di nobiltà anche gli atti più ignobili. Come è stato possibile arrivare a questo punto? Trasformare un movimento antisistema in un ganglio del sistema, molto peggio dell'originale da abbattere. Se Matteo Renzi le trova tutte pur di mantenere in fresco le sue ambizioni, non è colpa sua ma di chi lo lascia fare e soprattutto, siamo sempre lì, della inconsistenza delle alternative e degli avversari. Viene sostanzialmente ignorato, per esempio, che se l'Italia si è affidata per un anno e mezzo al governo gialloblù e al tanto vituperato Matteo Salvini, la responsabilità va attribuita a chi dopo le elezioni del 4 marzo 2018 impedì al suo partito anche solo di avvicinare i 5 stelle per cercare un accordo di governo. Così che i grillini guardarono alla Lega. Oggi lo stesso Renzi mangiagrillini di allora ha deciso, come Frankenstein junior nel film di Mel Brooks, che invece il «mostro» si-può-fare, anzi si deve fare per il bene (sic) del Paese. Che, ovviamente per puro caso, coincide con il suo. E il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che avrebbe potuto fermarlo? Non pervenuto. S'è ingoiato pure lui i principi che aveva annunciato di petto, come se niente fosse.E vabbè. Se la politica nell'Italia che viviamo è questa, che rinnega nel volgere anche di poche ore («Mai con Conte»; «Mai con il partito di Bibbiano») quello che con tanta enfasi è stato sostenuto con finta definitiva intransigenza, è ciò che ci meritiamo. Male voluto non fu mai troppo. Però lasciateci l'illusione di cercare ancora, sotto le macerie, le tracce di un'altra vita politica: i richiami a Giorgio La Pira, la condivisione di don Lorenzo Milani, la statura mai abbastanza rimpianta di Aldo Moro e anche il rigore morale di Enrico Berlinguer. Luigi Di Maio magari ha solo vagamente sentito parlare di questi personaggi del pantheon italiano, e da lui non ci si può aspettare molto di più. Ma Renzi ne ha attinto a piene mani per la sua narrazione, facendoci credere all'inizio che fossero davvero gli ispiratori della sua svolta. Come quando diceva: «Noi siamo persone convinte che la parola “amministrare" sia un'estensione della parola amare"». Magari continua a dirlo ma ora quanto può essere credibile? Di sicuro l'avrà raccontato ai giovani della sua scuola politica Meritare l'Italia, nella quale Renzi è salito in cattedra per insegnare a 200 ragazzi (ma le richieste di partecipazione erano un migliaio) «come si batte il populismo». Resto perplesso se qualcuno dei protagonisti di questa stagione, si mette a insegnare anche alle future generazioni il modo di fare politica che ci è toccato vedere, concetto ovviamente esteso a tutti i partiti e movimenti, e quindi rischi di condannarci al sistema sfrontato e furbesco, fatto di sotterfugi, di trasformismo sistematico e di incoerenza, trasmesso ai giovani. Una disconnessione fra quello che si dice e quello che si fa.Mi pare una pretesa eccessiva. Per esempio, la scuola di politica al Ciocco di Castelvecchio Pascoli (impero della famiglia Marcucci, da Marialina ex vicepresidente veltroniana pd della Toscana ad Andrea, attuale capogruppo renziano pd alla Camera), a me sembra un'ipoteca sulle idee dei nostri ragazzi, una intenzione del resto già esibita nelle varie «leopolde». Se «piccoli Renzi crescono» e si clonano, un po' mi preoccupa. Già i cattivi maestri imperversano: basta osservare le giravolte di Giuseppe Conte, uomo nuovo della politica che ha imparato a comportarsi peggio dei vecchi arnesi. Allora mi chiedo che cosa ci sia di buono da imparare dalle giravolte politiche per restare a galla, dagli slogan senza contenuti, dall'arte di saper promettere senza mantenere, dalla bramosia dell'apparire piuttosto che dell'essere? Può rappresentare materia di lezione da apprendere e imitare per Meritare l'Italia (è il titolo della scuola di Renzi)? Semmai ci sarebbe da chiedersi se l'Italia merita questo circo che si esibisce e balla sulle disgrazie degli italiani. Ma c'è poco da fare, non sono più i tempi in cui in ritiro ci andavano Andreotti e Moro, a Camaldoli, in Toscana, nelle cui stanze monastiche nascevano le linee guida dell'azione politica della Democrazia cristiana. E nemmeno ci sono più le convention di una volta a sinistra: ricordate a Pontignano, con Massimo D'Alema? O a Gargonza, con Prodi? Spiegare la politica ai più giovani è sempre stato un pallino di Renzi, che sul tema ha anche scritto un libro a quattro mani con il suo ex mentore Lapo Pistelli, che s'intitolava Ma le Giubbe rosse non uccisero Aldo Moro, nel periodo in cui Matteo era il portaborse dall'allora parlamentare della Margherita, il quale credo si sia pentito per l'eternità di non essersi accorto del «talento» del giovanottino che si era messo accanto. Ma, tornando al punto, siamo sicuri che sia questa la politica giusta da insegnare alle nuove generazioni per meritare l'Italia?