
È un comportamento istintivo, brutale, connaturato alla ferocia dell'uomo ma è anche un deterrente della violenza altrui. Può essere temprata dalla fede e dall'educazione, ma è biologica e bisogna tenerla in conto quando si organizza la societàvendetta / 1«Chi la fa, l'aspetti» è un altro assioma con una solida base biologica. La vendetta è un comportamento istintivo che ristabilisce una qualche brutale forma di giustizia e che un po' di giustizia la garantisce. Se un aggressore sa che si espone al rischio di vendetta, prima di aggredire ci pensa due volte. Quando in Francia le banlieue, le periferie, andarono in fiamme, auto furono bruciate e vetrine furono spaccate, il fenomeno si estese al resto del paese, alla Germania, all'Austria, alla Svezia e alla Gran Bretagna.In Corsica e in Svizzera non è bruciato però nemmeno un copertone. Svizzeri e corsi sono popoli armati, sono i due popoli con il maggior numero di armi in mano a civili. La maggior parte degli uomini corsi tiene in casa un fucile da caccia. Fino a pochi anni fa un discreto numero di uomini svizzeri teneva in casa un mitragliatore da guerra con un caricatore, nell'ottica del servizio militare permanente con richiami periodici. Se qualcuno avesse bruciato la loro auto gli avrebbero sparato dalle finestre. Questo ha garantito la pace sociale e ha impedito che molti cadessero nella tentazione della violenza. Sosteneva George Orwell che l'unica democrazia vera e possibile è quella dove tutti gli uomini sono armati. Aggiungo che i crimini diminuiscono dove gli uomini sono armati e il rischio di vendetta è reale. Dove solo alcuni uomini sono armati, lì c'è il disastro, perché si armano i peggiori. Dove gli uomini sono tutti armati, obbligatoriamente, sia la banda di Arancia meccanica che le bande mafiose dovrebbero essere obbligatoriamente composte di aspiranti suicidi per operare, e senza questi due tipi di aggregazioni lo stato sociale migliorerebbe.Gli stati paternalistici, che sono diventati i nostri proprietari, inorridiscono davanti a questa idea, partendo dal granitico presupposto che il cittadino sia un inabile pazzerello, mentre il ministro degli Interni e quello della Difesa, gli unici che possono dare ordini agli unici uomini armati autorizzati sul suolo nazionale, siano sempre sani di mente. Entrambe le affermazioni sono estremamente discutibili. «Se tutti fossero armati, tutti ucciderebbero allora» squittisce in televisione l'anatroccolo/a di turno mentre sgrana i suoi occhioni di anima scandalizzata dalla violenza, certo/a che i cittadini siano dei dementi che vanno protetti da se stessi. Noi in realtà siamo già armati. Le automobili sono armi, i coltelli da cucina anche. Eppure non investiamo la professoressa che ci ha bocciato il figlio e non accoltelliamo la persona che ci sta portando via il coniuge. Essere armati ci salverebbe dalla morte innumerevoli volte. Se almeno una delle persone sul lungomare di Nizza fosse stata armata quella terribile notte in cui un terrorista con un camion fece una strage, avrebbe salvato innumerevoli vite. Il bar dove 50 uomini sono stati assassinati da un unico terrorista si trovava a Orlando, in Florida, dove il possesso di armi è limitato. Fosse stato in Texas le vittime sarebbero state due, al massimo tre perché qualcuno degli avventori avrebbe freddato l'aggressore. Stesso discorso per il Bataclan, stesso discorso per la terribile strage commessa in Norvegia sull'isola di Utoya: una sola persona armata avrebbe salvato la situazione.L'uomo è naturalmente feroce, aprite a caso un libro di storia e avrete una conferma di questa informazione. Sono quattro i possibili deterrenti della ferocia: la paura della giustizia, la paura della vendetta, il timor di Dio (paura della giustizia divina) e l'amore per il prossimo, la vocazione al perdono. L'amore per il prossimo non è istintivo, deve essere istillato con autodisciplina ed educazione continue, ed è più facile riscontrarlo quando è sostenuto da un anelito divino.La vendetta è biologica. Può essere temprata dalla fede, dall'autodisciplina e dall'educazione, ma è biologica e deve essere tenuta presente come struttura costituente dell'essere umano. Le pene devono essere certe e proporzionate, perché uno dei loro scopi è quello di limitare il desiderio di vendetta dei cittadini. Se rincontriamo la persona che ha ucciso qualcuno che noi abbiamo amato, che ha distrutto la nostra vita, libero e fiero pochi anni dopo l'arresto, abbiamo due strade: una frustrazione che acuisce il dolore o la vendetta. Il perdono è una scelta di tipo religioso che non può essere imposta al cittadino in quanto virtù religiosa non civile e dove una virtù religiosa viene imposta abbiamo la teocrazia. Lo stesso vale per l'accoglienza degli estranei. In uno stato laico il cittadino deve avere il diritto costituzionale di andare all'inferno. Se uno stato tanto buono mi impone le virtù religiose dell'accoglienza e del perdono salva la mia anima contro la mia volontà, un crimine tanto grave quanto salvare la mia salute contro la mia volontà iniettandomi cosiddetti vaccini di efficacia discutibile e pericolosità meno discutibile.Un esempio di giustizia che si potrebbe considerare anche vendetta, o, se preferite, di vendetta che è anche giustizia, è la pena di morte. La pena di morte è prevista negli Atti degli Apostoli, e nel cristianesimo è una forma estrema di tentativo di salvare l'anima del reo che, davanti all'orrore della morte, potrebbe finalmente chiedere perdono a Dio. Nel cristianesimo l'anima è considerata più importante del corpo. I pretini che scrivono sulla porta delle loro chiese che l'ingresso ai non vaccinati è vietato hanno idee confuse sia sui vaccini che sul cristianesimo. Per aver osato cacciare via qualcuno dalla casa di Dio, per aver osato allontanare qualcuno dall'altare, incontreranno la collera di Dio, anzi la sua vendetta. «O Dio delle vendette, o eterno, Iddio delle vendette, apparisci nel tuo fulgore!» (Salmo 94:1)Quando fu giustiziato Gilles de Rais, il nobile francese che rapendo e uccidendo bambini ispirò la fiaba di Barbablù, si dice che il patibolo fosse circondato dalle madri delle sue piccole vittime che pregavano per la sua anima, perché prima di morire si era pentito. Davanti a un crimine così atroce, innumerevoli bimbi rapiti, violati e assassinati, ha senso una pena detentiva?La pena di morte può essere comminata solo in una società religiosa, in una società laica è insopportabile. E poi nessuno deve fare il boia, nessuno deve essere il boia, nessuno deve essere il figlio del boia. Quindi? Quindi la soluzione è quella adottata fino a pochi anni fa dal Belgio: pena di morte tramutata in ergastolo per mancanza del boia. In questo modo si segnala al reo che è il crimine ad averlo messo fuori dalla società civile per quanto è stato grave. Ma poiché è già stato graziato, dovrà scontare la pena fino alla fine dei suoi giorni, anche se sarà irreprensibile, perché nessuno deve rischiare di trovarsi davanti per strada chi gli ha assassinato il figlio dopo averlo torturato. E questo è anche un gesto di misericordia, l'unico reale, verso l'assassino, l'unica strada che ha per la redenzione.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





