2019-06-05
Noa, eutanasia a 17 anni: «Troppo depressa»
La legge dei Paesi Bassi consente il suicidio assistito ai minorenni. La ragazza ha scelto di morire domenica.Noa aveva biondissimi capelli nordici, la pelle delle guance leggermente increspata come spesso capita agli adolescenti. Noa aveva gli occhi celesti, e spesso, sul suo profilo Instagram, la si vedeva aprire le labbra in un bel sorriso. In alcune foto abbraccia le amiche, in altre si cimenta con l'arrampicata in palestra. Sorrideva anche il 12 maggio, mentre si scattava un selfie con sua madre per la festa della mamma. Venti giorni dopo, Noa Pothoven è morta. Si è uccisa. Anzi, si è fatta uccidere. Domenica si è sdraiata sul letto di casa sua ad Arnhem, nei Paesi Bassi, ed è spirata piano. Sua madre la guardava e l'ha lasciata andare. A portarla alla morte sono stati i medici di una clinica specializzata, professionisti dell'eutanasia che hanno semplicemente svolto il proprio lavoro. La legge dei Paesi Bassi, infatti, prevede l'eutanasia infantile. Dal 2002 ai bambini che abbiano compiuto 12 anni è consentito morire con l'aiuto di un dottore. Ai maggiori di 16 anni non serve nemmeno l'autorizzazione dei genitori.Nel 2014, addirittura, un'associazione di pediatri olandesi ha chiesto di togliere il limite dei 12 anni, così che anche i più piccini potessero optare per il suicidio medicalizzato. Qualche settimana fa, su questo giornale Alessandro Rico ha intervistato Theo Boer, studioso di etica olandese che fatto parte della commissione di controllo sull'applicazione della legge sull'eutanasia. Questo signore la «dolce morte» l'ha sostenuta, e ha contribuito a renderla legale. Ma alla Verità ha confessato: «Forse non avremmo mai dovuto legalizzarla, l'eutanasia. Perché l'offerta tende a creare la domanda». Tra le altre cose, Boer ha detto: «La gente potrebbe richiedere l'eutanasia perché si sente disperata o di troppo. Ed entrambe le cose sono veicolate dalle discussioni mediatiche». È proprio ciò che è accaduto nel caso di Noa Pothoven. Ad appena 17 anni, questa bambina delicata si sentiva troppo depressa per continuare a vivere. Da piccina aveva subito un'atroce violenza sessuale, una ferita che non è mai riuscita a curare. Un dolore a lungo sepolto che le ha provocato profonda depressione, anoressia e altri disturbi strazianti. Ha provato a combattere, per un po'. Ha persino scritto un libro autobiografico intitolato Vincere o imparare. Poi, però, ha mollato. Su Instagram ha pubblicato una specie di messaggio d'addio rivolto ai suoi 8.000 seguaci o poco più: «A lungo ho pensato se condividere questo ultimo post. Forse sembrerà inaspettato, ma questo è un progetto che ho da molto tempo, non è una decisione d'impulso», ha scritto. «Entro massimo 10 giorni morirò. Dopo anni di battaglie, il combattimento è finito. Ho smesso di bere e mangiare e dopo molte discussioni e valutazioni, è stato deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile». «Respiro, ma non vivo più», ha spiegato Noa. E ha aggiunto: «Amore è lasciare andare, in ogni caso». E così si è sdraiata sul letto in una casa trasformata in camera di morte. Tutto legittimo, tutto legale. Tutto perfetto, almeno fino a che non guardi le foto. Fino a che non vedi il sorriso che, nonostante tutto, appariva sul viso di Noa. Osservi i suoi occhi chiari, e non puoi fare a meno di pensare che lì in fondo, da qualche parte, la vita pulsava, anche se era soffocata da strati di sofferenza, anche se era impantanata in una palude di tristezza.E se quella vita qualcuno avesse potuto recuperarla? «Gli attuali sistemi attivi in Belgio e nei Paesi Bassi», ha scritto lo psichiatra Joris Vandenberghe sull'autorevole New England Journal of Medicine (citato qualche giorno fa da Avvenire) «falliscono in termini di valutazione attendibile dei pazienti, almeno per quel che riguarda le malattie psichiatriche». Sulla stessa rivista, Paul Appelbaum della Columbia University ha spiegato che «l'applicazione della morte assistita da parte di personale medico su persone con malattie mentali rimane problematica: il desiderio di morire può essere un sintomo della malattia stessa». Ritorna la stessa domanda: e se qualcuno avesse potuto riaccendere la fiamma di vita dentro Noa? Aveva 17 anni: troppo depressa per vivere, dicono. Ma anche troppo giovane per farsi ammazzare.
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