2020-11-26
«Niente scuola senza test rapido»
Una mamma altoatesina: «I miei figli segnalati all'Asl per non aver fatto lo screening». L'istituto replica: «La classe era in quarantena e sono rientrati prima i negativi».I suoi bambini non li ha sottoposti allo screening «Test rapidi anti Covid» dello scorso fine settimana in Alto Adige, per questo i loro nomi sarebbero diventati pubblici, assieme a quelli di altri piccoli alunni della scuola materna di San Cassiano, in Alta Badia. In classe, gli otto «disobbedienti» sono potuti rientrare solo oggi, due giorni dopo i loro compagni. «Non c'era scritto da nessuna parte che fare il test era la condizione per la riammissione a scuola», denuncia Annegret Vescoli, avvocato a Brunico ma residente nella nota località turistica, dove si parla come terza lingua il ladino e dove tre dei quattro figli frequentano la scuola primaria. Con la sua famiglia è stata protagonista di una vicenda che definisce «gravissima». Perché la partecipazione al test dell'antigene, che fino a ieri ha coinvolto più di 356.000 altoatesini, era in forma anonima e su base volontaria, invece i nomi di alcuni bambini non testati sono circolati senza autorizzazione. Partiamo dall'inizio, dalle scuole di ogni ordine e grado chiuse in Alto Adige dal 16 al 22 novembre, per fronteggiare l'alto numero dei contagi in una zona che era diventata rossa prima della decisione del Cts. Nella stessa settimana, dal venerdì alla domenica la Provincia autonoma di Bolzano organizza una campagna di massa di test rapidi, chiedendo alla popolazione di collaborare. «Mio marito e io l'abbiamo fatto, però i nostri figli no», spiega la Vescoli. «Così ci aveva consigliato il pediatra, spiegando che dopo dieci giorni in casa o eravamo tutti positivi o tutti negativi. Quindi niente stress per i più piccoli. Una scelta ponderata, non da irresponsabili. So che in molte famiglie si è agito nello stesso modo dietro suggerimento medico». Il sabato pomeriggio, sull'app di messaggistica delle 50 mamme che hanno i pargoli alle elementari, è arrivata la richiesta della maestra fiduciaria, che a nome della direttrice Claudia Canins chiedeva «di mandare entro sera i nomi dei bambini che si sono sottoposti al test, perché quelli che non l'hanno fatto li segnalo alla direzione e alla sanità», riferisce l'avvocato. «Ho preferito rispondere per email, ricordando che stava violando il diritto alla privacy e che non davo nessuna indicazione. Mi ha replicato che era solo una formalità, nulla di obbligatorio». Due ore dopo, invece, sempre sul cellulare dell'avvocato arrivano dall'Asdaa, l'Azienda sanitaria dell'Alto Adige, tre sms: «Uno per ciascuno dei nostri figli, con tre appuntamenti perché si sottoponessero a test rapidi il lunedì seguente. Quindi a dispetto dell'obbligo di riservatezza, i nomi dei miei bambini erano già stati segnalati senza mio consenso», tuona la Vescoli, che rimane ferma nel proposito di non portare i figli al distretto sanitario. Lunedì mattina le maestre annunciano in videoconferenza il rientro a scuola il giorno seguente, ma alle 18.45 arriva un'email della direttrice in cui si comunica che «le lezioni in presenza sarebbero avvenute solo per coloro che erano risultati negativi al test». L'avvocato, che ha segnalato l'accaduto anche alla garante per infanzia e l'adolescenza dell'Alto Adige, valuta di presentare una denuncia penale contro i responsabili. Non accetta accuse invece la direttrice provinciale delle scuole ladine, Edith Ploner, secondo la quale «tutti i bambini erano in quarantena in seguito alla positività di una docente che aveva insegnato nelle cinque classi nella settimana dal 9 al 13 novembre». Aggiunge: «È rientrato prima chi aveva un test negativo e aveva approfittato dello screening per farselo fare. Non rappresentava più un pericolo. Chi non ha seguito le indicazioni dell'unità sanitaria, torna a scuola oggi». La Ploner nega che si sia trattata di discriminazione «per loro è proseguita la didattica a distanza. Ma il protocollo imponeva i 14 giorni dal possibile contagio con l'insegnante positiva».