2022-03-07
Nicola Bux: «Bergoglio mediatore? Troppo progressista per farsi sentire a Est»
Il teologo: «La visione ortodossa ha un ruolo in questo conflitto. Ed è agli antipodi del cristianesimo desacralizzato del Papa».Ci sono le bombe, che dilaniano città e spezzano vite. Ci sono i tavoli negoziali, che allontanano le parti anziché avvicinarle, rendendo più concreta la prospettiva che il «peggio» debba ancora venire. E poi c’è l’altra guerra, quella religiosa, che lacera le Chiese di Russia e Ucraina. «Questo conflitto mette fortemente in imbarazzo anche il Vaticano», racconta alla Verità don Nicola Bux, teologo ed esperto di Chiese e liturgie orientali. «Dopo aver portato avanti un ecumenismo falso, papa Francesco è bloccato, non sa che pesci prendere: se si muove in favore di Mosca, si espone alle accuse dell’Occidente; se si muove contro, rischia di pregiudicare la parata in agenda con il patriarca russo Kirill». Don Bux, il mondo arabo è diviso da un conflitto religioso che va avanti da secoli. Si aspettava anche una nuova guerra tra cristiani, combattuta sul continente europeo? «Mi torna in mente l’intervista che l’ideologo russo Alexander Dugin ha rilasciato al quotidiano Il Foglio, qualche anno fa: “Da patria del logos, l’Europa è diventata la caricatura di sé stessa, tutta spostata sulle ideologie gender e liberal”. Di fronte al tradimento delle radici cristiane, penso che Vladimir Putin si sia sentito investito di una missione, una sorta di ritorno al passato. Con l’appoggio della Chiesa ortodossa di Mosca». Oltre alla presenza dei missili Nato al confine ci sarebbe altro, secondo lei?«Prima dei missili, c’è una questione culturale: la Russia ha recuperato le radici cristiane che l’Europa ha smarrito». Cosa c’entra la guerra in tutto questo? «La guerra è anche l’esito di tutto ciò: il conflitto poggia sulla visione, per noi assurda, che per frenare la deriva antropologica europea si possa ricorrere anche alle armi».Ecco, per noi è assurdo.«Il problema è che l’Occidente, in particolar modo gli Stati Uniti, hanno fatto la stessa cosa: abbiamo visto che cosa ha comportato l’idea di esportare la democrazia nei regimi mediorientali».Siamo di fronte a due concetti diametralmente opposti di democrazia, non trova?«Putin ha un’idea corrotta della democrazia: visti i frutti prodotti dall’immigrazionismo dissennato e le teorie gender portate avanti dall’Occidente, per lui questa democrazia ha fallito». A ciò si aggiungono gli interessi della Chiesa ortodossa russa: lo scisma tra il patriarcato di Mosca e quello di Kiev è stato un duro colpo per il patriarca Kirill. Il riconoscimento della Chiesa ucraina indipendente da parte del patriarcato di Costantinopoli ha indebolito la sua figura. La sua è una partita parallela? «Qui entra in gioco la famosa “sinfonia”, che per noi era l’alleanza tra il Trono e l’Altare». Cioè? «Per gli ortodossi deve esserci una sinfonia tra la Chiesa e lo Stato: le due realtà, seppur distinte, devono marciare in armonia se vogliono raggiungere la salvezza dell’umanità. Chi conosce la “sinfonia” può comprendere come Mosca voglia proteggere la parte di nazione russa presente in Ucraina con una sua Chiesa, anche se ciò contrasta con la visione della cultura e della politica proprie della Chiesa ortodossa ucraina, su cui ha steso il manto Bartolomeo di Costantinopoli, almeno per quel che riguarda la politica ecclesiastica».È stato proprio Bartolomeo a riconoscere l’indipendenza della Chiesa ucraina, per questo è finito nel mirino di Mosca. «Lui è supportato dagli americani. Il patriarcato di Costantinopoli a Istanbul sta lì, tollerato dai turchi, perché dietro c’è l’America. Anche il Vaticano, con il nunzio apostolico ad Ankara, protegge il patriarcato, altrimenti lo avrebbero già buttato a mare: turchi e greci sono come cane e gatto». Dopo i 236 sacerdoti e diaconi della Chiesa ortodossa russa, anche il capo della Chiesa ucraina sottoposta al patriarcato di Mosca chiede a Putin di mettere fine alla guerra. L’unico a non aver espresso parole di condanna chiare resta proprio Kirill: c’è imbarazzo nella Chiesa di Mosca?«Non ne sono convinto, non credo ci sia imbarazzo nel patriarcato moscovita. Anche i russi contrari alla guerra nei confronti di Kiev, che è la culla del cristianesimo slavo, in larga parte non sono favorevoli ai “diritti” che l’Unione europea propone, condivisi invece dalla parte eurofila dell’Ucraina». In Russia, chi manifesta per la pace finisce in carcere, compresi bambini e anziani. Come può il Patriarca restare indifferente a tutto ciò?«Il quadro di riferimento è diverso dal nostro: i russi hanno l’idea della nazione, alla quale va sottomesso tutto. Nella strage dei Romanov, del resto, anche i bolscevichi non si sono fatti problemi ad uccidere i figli di Nicola II. Kirill viene dal mondo del Kgb: il Patriarca non parla perché il braccio secolare della Russia lo copre e lo benedice». Che ruolo potrebbe avere la Santa Sede in questa guerra? «Appiattita com’è sulla visione democratica americana e su quella popolar movimentista latinoamericana, temo che la Santa Sede non avrà alcun ruolo, almeno non di peso». Non la convince la prospettiva che papa Francesco possa porsi come mediatore in questa crisi?«Fatico a immaginarlo nelle vesti del mediatore: proprio lui che non ha mai nascosto tendenze progressiste? Il Papa sta cercando in tutti i modi di trasferire alla Chiesa cattolica l’idea di sinodalità degli ortodossi, pericolosa e fallimentare. Si è appiattito sulle posizioni del Patriarca di Costantinopoli e sulle sue battaglie “verdi”, credo che ciò sia imbarazzante anche per Mosca: come potrebbero accettarlo dopo aver ascoltato le proposte che in questi anni ha portato avanti?». Quali altre sarebbero?«Senza dubbio, l’appoggio all’immigrazionismo indiscriminato, per lo più di matrice islamica. Per i russi, quello islamico è un popolo da evangelizzare e non riescono a tollerare che l’Europa cristiana si lasci invadere in maniera passiva. Ricordo la lectio magistralis del metropolita Hilarion Alfeev, alto rappresentante del patriarcato moscovita, che dalla Facoltà teologica di Bari ha lanciato un duro attacco al cristianesimo europeo, asservito a una agenda che svende il continente e stravolge l’antropologia». Cosa pensa della visita di papa Francesco all’ambasciata russa presso la Santa Sede? La versione «turista per caso» del Santo Padre ha generato qualche malumore nella diplomazia vaticana. «Riprendo le parole con cui un cardinale l’ha commentata: “Si fa di tutto per essere ammirati dagli uomini”». Che cosa intende? «Francesco si lancia in questi atti spettacolari perché vuole farsi notare, far vedere che rompe gli schemi. Non si accorge che sta demolendo la sacralità della figura del papa». A proposito, c’è chi non ha gradito la sua presenza in un talk show qualche tempo fa. «Per la corrente interna al mondo cattolico che odia il sacro, tutto ciò non è un problema. Chi vede il papa come un vicario di Cristo e non come un funzionario, invece, non lo accetta. Il successore di Pietro non va da Fabio Fazio. Paolo VI diceva: “Montini non c’è più, c’è solo Paolo VI”. Oggi quella frase andrebbe letta al contrario: il papa è Bergoglio, non Francesco. Vuole che a emergere sia la persona, non la funzione di cui è stato investito».Secondo il capo della Chiesa greco-cattolico-ucraina, Sviatoslav Shevchuk, se Francesco fosse andato in Ucraina la guerra sarebbe finita ancor prima di iniziare. «Non credo che Francesco ascolti i greco-cattolici. Non ha mai amato i cosiddetti uniati, ha sempre preferito gli ortodossi ai cattolici come lui. A differenza di San Giovanni Paolo II, che conosceva bene le dinamiche interne al mondo slavo, ha una visione progressista, imbevuta della convinzione che i greco-cattolici siano da tenere a distanza perché impediscono l’ecumenismo con gli ortodossi. Mentre agli ortodossi vengono stesi i tappeti rossi in Vaticano, i greco-cattolici devono passare dalla porta di servizio, come se fossero dei credenti di seconda categoria. Un documento voluto dal cardinal Silvestrini a Balamand, in Libano, nel 1998 ripudia come metodo di unità del passato l’unione di una Chiesa ortodossa con Roma. O lo fanno tutte le 14 Chiese ortodosse o nessuna può farlo da sola: insomma, un’utopia. Mentre le Chiese ortodosse si scomunicano tra loro, l’ecumenismo dei cattolici è fallito».In cosa è fallito, secondo lei? «L’ecumenismo si basa sul principio che siamo tutti cristiani battezzati: chi passa da una Chiesa all’altra, per esempio, non deve essere ribattezzato. Invece, ortodossi russi e greci lo fanno. Di fronte all’inimmaginabile scristianizzazione dell’Europa, c’è da riprendere la strada dell’evangelizzazione: solo così la divisione tra i cristiani finirà».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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