2021-03-31
Nessuna reticenza sul colonialismo italiano
Maaza Mengiste (Leonardo Cendamo/Getty Images)
Pubblicato in Italia il romanzo di una scrittrice etiope che ci accusa di non avere fatto abbastanza i conti con gli orrori provocati dai nostri soldati nel 1935. La storica Federica Saini Fasanotti: «Fu un conflitto sbagliato, ma sulla vicenda non è mai calato il silenzio, anzi». «Diranno che non è vero. Che i loro aerei non volavano sull'armata di Kidane e non hanno lanciato l'iprite sui combattenti, sui fiumi e la terra. Negheranno i bambini morti, le donne scorticate, le acque avvelenate, gli uomini traumatizzati». Varie volte, nelle 426 pagine che compongono il suo romanzo, Il re ombra, le frasi di Maaza Mengiste pesano come una condanna. Perché quelli che «negano i bambini morti» sarebbero gli italiani, saremmo noi. Il libro della Mengiste (nata ad Addis Abeba, residente a New York e docente al Queens College) racconta l'invasione italiana dell'Etiopia nel 1935 dal punto di vista di alcune donne africane, anch'esse combattenti come e forse più degli uomini. Il testo è frutto di un lungo lavoro, e ha avuto un grande successo. È stato finalista al prestigioso Booker Prize nel 2020, e nel 2019 ha vinto il premio italo-americano The Bridge (sostenuto dalla Casa delle letterature di Roma e dal Centro per il libro e la lettura). Grazie anche a questo secondo riconoscimento, il romanzo è stato tradotto in italiano e pubblicato - pochi giorni fa - da Einaudi. In fondo tanta eco non sorprende. Nel pieno delle rivendicazioni da «cancel culture», un romanzo che ricordi la colonizzazione - magari insistendo un po' sulle malefatte dei perfidi italiani (che sono pur sempre maschi-bianchi-oppressori) - non poteva passare inosservato. Ed è pure comprensibile, intendiamoci, che un filo di risentimento affiori da parte degli eredi di chi la colonizzazione l'ha subita dolorosamente. È più sgradevole, tuttavia, che si cerchi di far passare l'idea che l'Italia non abbia fatto i conti con i fantasmi del passato. In un'intervista rilasciata al Guardian in occasione dell'uscita del romanzo, la Mengiste ha raccontato di aver vissuto una curiosa esperienza dalle nostre parti. «Ero in tournée per il primo libro e sono andata in Calabria, nel sud Italia. Ho capito che molti dei fanti del 1935 erano calabresi e siciliani. I generali venivano dal nord. Il popolo dal sud Italia: il loro sangue è rimasto in terra etiope», ha detto la scrittrice. «Ero in una piccola libreria in una piccola città della Calabria, e durante la sessione di domande e risposte un uomo si è alzato e ha detto: “Vorrei parlarti del 1935". L'intera stanza si è irrigidita. L'Italia non ha parlato di questa storia; è ancora difficile per gli italiani capire cosa hanno fatto in Africa orientale». In realtà, gli italiani dell'Etiopia hanno parlato eccome. Anzi, il più delle volte - almeno fino a qualche anno fa - storici e giornalisti ne hanno parlato in chiave ferocemente anti italiana. Lo sguardo sugli avvenimenti di quegli anni è stato in molti casi filtrato dall'ideologia: bisognava mettere da parte la ricerca storica e concentrarsi sulle demonizzazione sfrenata dei fascisti colonizzatori e assassini. Ogni tentativo di raccontare i fatti in maniera leggermente più lucida è sempre stato guardato con sospetto: «roba da fascisti», appunto. C'è stato persino chi, come Angelo Del Boca, ha avuto l'onestà di confessare una certa parzialità: «Lo ammetto, nelle mie ricostruzioni sulla guerra in Africa orientale mi sono schierato dalla parte degli etiopi», disse Del Boca al Corriere della Sera nel 2011. «Sono da sempre un nemico del colonialismo e mi sembrava giusto sottolineare soprattutto le nostre responsabilità di Paese cosiddetto civile rispetto a popolazioni che avevamo aggredito con estrema violenza. Inoltre avevo un'enorme ammirazione per il negus Hailé Selassié e questo mi confortava nell'idea che bisognava evidenziare in primo luogo i crimini italiani». Sia chiaro: qui non si tratta di tirare in ballo gli «italiani brava gente» o di sminuire gli orrori della colonizzazione. Bensì di chiarire che una elaborazione - storica, civile, morale - dei fatti d'Etiopia c'è stata eccome. «Dalla fine degli anni Settanta in poi sono stati fatti enormi passi avanti», dice alla Verità Federica Saini Fasanotti, storica e autrice di importanti studi sulla campagna d'Etiopia. «Riflessioni e rielaborazioni su quanto avvenuto ci sono state eccome, a partire dalle importanti pubblicazioni di Del Boca, Dominioni, Labanca e tantissimi altri… Dell'Etiopia hanno parlato vari governi italiani. È vero, non è stata istituita una giornata della memoria o qualcosa di simile, ma non si può dire che sul tema sia calato il silenzio, anzi». La Fasanotti parte da un presupposto: «La colonizzazione italiana è stata tutta sbagliata. Sbagliata prima di tutto nei confronti degli etiopi, che hanno sofferto tantissimo. Ma sbagliata pure per gli italiani, che di certo non sono andati lì a divertirsi. La guerra d'Etiopia portò all'Italia soltanto danni, e contribuì a farla arrivare impreparata alla Seconda guerra mondiale». La storica spiega che «il Regio esercito sicuramente utilizzò i gas. Per lo più furono usati nel 1935-36 per lo più sull'esercito regolare, ma purtroppo vittime civili ci sono state. Su tutto questo c'è stata una lunga e approfondita riflessione. Quel che è mancato è una sorta di attenzione antropologica, un approfondimento sul comportamento degli italiani. Perché si sono comportati in un certo modo in Libia e in un altro modo, molto diverso, in Etiopia? Me lo sono chiesta tante volte. Mi sono risposta che la truppe italiane in Etiopia avevano molta paura. Quando sai che rischi di essere evirato non la prendi alla leggera. ... E a livello di comando sono spesso stati commessi errori madornali anche per questo motivo». Il conflitto etiope è stato terrificante. Ci furono atrocità italiane, e brutalità da parte degli africani che si difendevano. «Era molto comune fra i comandi italiani un grandissimo rispetto per il nemico», dice la Fasanotti. «Sapevano che gli etiopi non erano da sottovalutare. Gli etiopi combattevano per la propria libertà, e per questo motivo si tende a dire “non importa come combattessero". E invece allo storico deve importare. L'invasione dell'Etiopia è stata un errore, ma credo che questo errore sia stato analizzato, sviscerato, metabolizzato. L'accademia italiana oggi è molto sensibile all'argomento».Vengano pure, allora, i romanzi storici e le più che legittime memorie dei colonizzati. Ma si eviti di far passare gli italiani per colonizzatori mai pentiti. Le guerra d'Etiopia fu un errore: lo è pure la guerra politicamente corretta delle minoranze che si combatte oggi.
Jose Mourinho (Getty Images)