Nepal in crisi, tra tensioni politiche ed emigrazione
- Il Nepal oggi ha un premier ad interim, dopo che i violentissimi scontri di piazza hanno destituito il comunista Sharma Oli. Il futuro del Paese è incerto tra emigrazione di massa, giovani senza futuro e squilibri socio-economici gravi.
- Dall'Himalaya all'Appennino: storia dei Gurkha, i soldati nepalesi inquadrati nell'esercito britannico che parteciparono alle più importanti battaglie della Campagna d'Italia tra il 1944 e il 1945.
Lo speciale contiene due articoli e una gallery fotografica.
Incastonato fra le vette più alte del mondo il Nepal ha sempre dato di sé un’idea di paese sospeso ed etereo, ma la sua storia racconta un vissuto profondamente diverso. Fino al dicembre del 2007 la piccola nazione himalayana è stata una monarchia, ma per anni le strade della capitale Kathmandu erano state teatro di proteste e manifestazioni verso governi oscurantisti e retrogradi. Nel 2001 l’erede al trono Dipendra aveva assassinato il padre e altri nove membri della famiglia reale, prima di suicidarsi e la corona era passata allo zio sopravvissuto Gyanendra, ma il prestigio della casa reale era stato definitivamente compromesso. Intanto nelle campagne cresceva il peso del partito comunista maoista che, sfruttando la svolta autocratica del nuovo re, aumentò il suo seguito arrivando a controllare intere province delle aree interne.
In circa 10 anni di guerra civile lo scontro provocò 18mila morti e centinaia di migliaia di sfollati interni fino al 2006, quando il partito maoista si accordò con gli altri partiti per abolire la monarchia, ormai vista come distante e avulsa dalla società nepalese. Alle prime elezioni del 2008 a trionfare fu un’alleanza proprio fra i maoisti ed il partito marxista-leninista. L’estrema sinistra ha dominato la scena nepalese ininterrottamente fino al 2014, quando è diventato Primo ministro il leader del Partito del Congresso nepalese, fortemente influenza dall’India, per poi tornare più o meno stabilmente nelle mani degli ex rivoluzionari filo-maoisti e comunisti. L’ultimo Primo ministro, o meglio penultimo perché la piazza inferocita ne ha chiesto la testa, è stato Khadga Prasad Sharma Oli, ex Presidente del Partito Comunista nepalese, che ha deluso tutti. La rabbia nella nazione abbarbicata sull’Himalaya è scoppiata definitivamente l’8 settembre del 2025, quando nella capitale e nelle principali città i giovanissimi della Generazione Z si sono riversati nelle strade e nelle piazze. Le manifestazioni sono spesso degenerate in vere e proprie battaglie urbane e linciaggi diretti a colpire i vertici della politica e delle élite locali colpevoli, a detta dei giovani, di aver fatto precipitare il paese in una spirale di declino economico senza prospettive per il futuro. Il Nepal ha poco più di 30 milioni di abitanti, ma meno di un quarto vive in città e la situazione delle campagne è di estrema povertà. Soltanto il 67% è alfabetizzato, un percentuale che scende al 59% nel genere femminile. La cosiddetta Generazione Z, i nati fra il 1997 ed il 2012, sono un numero molto importante in un paese che ha un’età media di 25 anni. Il governo di Khadga Prasad Sharma Oli ha dimostrato una totale incapacità, ma i problemi del Nepal sono profondi. La sua difficile posizione geografica non facilita l’accesso ai mercati dei suoi prodotti che si sono diventati non competitivi per le difficoltà di trasporto, soprattutto a livello agricolo, la spina dorsale della nazione.
I giovani soffrono particolarmente questa situazione e le emigrazioni sono nell'ordine di oltre 2000 persone al giorno. Ma la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo è stato un provvedimento che mira a porre la gestione dei social network e delle piattaforme digitali sotto la tutela del Ministero delle Comunicazioni. Questa legge consente alle istituzioni governative di bloccare piattaforme e siti web – come Facebook, Instagram e YouTube – che non si conformino al nuovo sistema, di fatto controllando le opinioni della popolazione. La rabbia si è scagliata anche verso i figli delle elite politiche ed economiche: giovani estremamente privilegiati che ostentano lusso e ricchezza, con uno stile di vita distante dalla realtà quotidiana della maggioranza della popolazione. Questa ostentazione insieme alla corruzione e al sistema di nepotismo che spalanca le porte solo ai figli delle caste, ha portato all’esasperazione. La reazione è stata violentissima con il parlamento in fiamme ed i politici presi casa per casa e pubblicamente linciati. Sul campo sono rimasti 51 morti e la piazza ha scelto il nuovo Primo ministro, tutto guardato con estrema preoccupazione dagli ingombranti vicini del Nepal: la Cina e l’India. Nuova Delhi resta il principale partner commerciale di Kathmandu, detenendo il 65% del totale, mentre la Cina ad oggi rappresenta circa il 18% del commercio. La crescita del peso economico cinese è dovuta agli sforzi di cooperazione tra Pechino e Kathmandu, inclusi aiuti economici, perché il Nepal sta cercando da anni di sganciare la sua economia da quella indiana che vanta però enormi crediti con la piccola nazione himalayana.
Dall'Himalaya all'Appennino: i nepalesi e la Campagna d'Italia (1944-45)
I soldati nepalesi che combatterono la seconda guerra mondiale si riconoscevano dal khukri che portavano al cinturone. Un coltellaccio dalla lama di 40 cm ricurva come una scimitarra, che li distingueva dagli altri soldati dell’Impero britannico. I Gurkha (così erano chiamati i soldati nati ai piedi dell’Himalaya) combatterono già nella Grande Guerra impegnati sul fronte Orientale. Dei 90.000 impegnati, 20.000 non fecero mai più ritorno alle loro montagne. La storia si ripeté poco più di vent’anni dopo e i soldati nepalesi entreranno ancora nei ranghi del British Royal Army (nella 4° Divisione Indiana) combattendo in Medio Oriente (Iraq, Siria, Palestina) per poi passare prima al fronte nordafricano e, dopo lo sbarco alleato, a quello italiano. Abituati al clima estremo delle loro terre, i Gurkha diedero prova di grande coraggio e abnegazione, rispettando appieno il loro motto «Kaphar hunu bhanda marnu ramro», che in lingua nepalese suona come «Meglio morire che vivere da codardi». Durante la Seconda Guerra Mondiale moriranno in 9.000, mentre altri 14.000 rimarranno feriti.
La «Collina del boia»: Montecassino, quota 435
I Gurkha seguirono l’avanzata dell’esercito britannico sin dall’inizio del 1944 e presto vennero a contatto con le difese della Linea Gotica. Parteciparono, nel marzo di quell’anno, ad una delle battaglie più importanti della Campagna d’Italia: quella di Montecassino. I soldati nepalesi del 1/9 Gurkha Rifles furono impiegati nella terza offensiva contro il monastero difeso dai paracadutisti tedeschi il 15 marzo 1944. Dopo una serie di bombardamenti sulla roccaforte, la Quarta Divisione Indiana fu incaricata di occupare le alture che circondavano le mura dell’abbazia.
Ai nepalesi fu affidata la collina a 250 metri dal perimetro, che i soldati battezzarono «collina del boia» (Hangman’s Hill) a quota 435 metri. Il nome sinistro fu ispirato dai resti spettrali del pilone della funivia che collegava Cassino con l’abbazia, danneggiata prima da un aereo tedesco che si schiantò sui cavi per una manovra azzardata e poi dal fuoco alleato. Ai Gurkha, quel macabro rudere che si stagliava sulla ripida parete, ricordava una forca. Nella notte l’azione fu subito intercettata dal fuoco tedesco, che spazzò in breve le vite di 15 nepalesi. Solo tre tra gli uomini del commando riuscirono a giungere all’obiettivo, rimanendo al momento isolati dal resto delle forze della Divisione indiana e minacciati dalle armi del nemico a poche centinaia di metri. Soltanto il giorno successivo fu possibile, al costo di altre vittime, inviare rinforzi ai Gurkha. Nonostante l’arrivo di nuovi uomini, il contingente dovette resistere rimanendo isolato dal resto delle forze. Per lunghi giorni respinsero gli attacchi tedeschi che si facevano sempre più pressanti, mentre cibo e munizioni scarseggiavano. I nepalesi del 1/9 furono al centro della terza battaglia di Montecassino, tra il 15 e il 24 marzo 1944. Senza acqua, cibo e proiettili i Gurkha non avrebbero potuto resistere a lungo. Fu organizzato così un aviolancio di viveri e munizioni, che sembrò poter dare nuovo vigore all’offensiva. Il 19 marzo i carri armati neozelandesi iniziarono l’attacco contro l’abbazia dall’altro lato rispetto alla collina del boia. Nonostante la sorpresa iniziale, i paracadutisti tedeschi che difendevano la roccaforte riuscirono a fermare il nemico, minacciando anche la tenuta delle posizioni tra cui quella di quota 435. Il comandante britannico Freyberg cercò un’ultima avanzata il 22 marzo, ma fu respinto nuovamente. I Gurkha, ormai esausti, rimasero sulla collina isolati e senza poter ricevere ordini. La loro ritirata fu organizzata con l’uso di segnali luminosi e piccioni viaggiatori. Si concluse il 24 marzo con una marcia verso valle durante la quale anche i soldati sani furono medicati come i compagni feriti per cercare di evitare il fuoco tedesco. L’operazione riuscì alla conclusione della terza battaglia di Montecassino, che risultò in una battuta d’arresto per gli Alleati. L’abbazia a guardia della Linea Gotica sarà conquistata soltanto il 18 maggio 1944.
Una lotta all’arma bianca: I Gurkha a Tavoleto (settembre 1944)
Durante l’operazione «Olive», l’attacco a tenaglia alla Linea Gotica, I Gurkha nepalesi furono impiegati sul fianco sinistro delle forze britanniche. Risalirono le alture appenniniche dell’Italia centrale tra Umbria e Marche dove le forze germaniche avevano precedentemente approntato uno sbarramento difensivo potente. Il piccolo borgo di Tavoleto rappresentava uno dei punti nevralgici dello sbarramento per la sua posizione sopraelevata e strategicamente dominante per un tiro micidiale delle artiglierie. La presa del caposaldo fu affidata al 2/7 Gurkha Rifles il 30 agosto 1944. Come prevedibile, i nepalesi dovettero subire un pesantissimo fuoco nemico che rallentò l’attacco alle alture dove sorgeva Tavoleto. La notte del 2 settembre due compagnie, la «A» e la «C» tentarono nuovamente l’assalto. Dopo ingenti perdite, solo la compagnia «C» riuscì a raggiungere l’abitato. Nacque subito un durissimo scontro a fuoco con i tedeschi, che furono messi in fuga dalla furia dei nepalesi che, casa per casa, usarono le lame dei loro micidiali khukri per affrontare il nemico. Nonostante un tentativo di contrattacco della Wehrmacht, le due compagnie nepalesi riunitesi più tardi a Tavoleto riuscirono a tenere la postazione fino all’arrivo di rinforzi e di blindati. Dal 2018 un’unità Gurkha dell’esercito nepalese è stata battezzata «Tavoleto» in onore di quella battaglia combattuta corpo a corpo.
Dagli Appennini alla Pianura Padana: le ultime battaglie dei nepalesi in Italia
Nelle ultime fasi della Campagna d’Italia un altro contingente Gurkha raggiunse l’Ottava armata britannica nella risalita lungo la Penisola. Si trattava del 43rd Gurkha Lorried Infantry Brigade, un gruppo motorizzato dotato di carri Kangaroo, che erano Sherman convertiti a trasporto truppa ai quali era stata tolta la torretta. Inquadrati sotto il comando britannico della Seconda Brigata corazzata, seguirono l’avanzata lungo il litorale adriatico. Giunti in Italia nell’agosto del 1944, iniziarono la Campagna d’Italia proprio nei giorni in cui i commilitoni nepalesi conquistavano Tavolara. I fucilieri Gurkha, con i loro blindati, ebbero il primo contatto con la Linea Gotica nei pressi di Coriano, nell’entroterra di Riccione. Il 12 settembre iniziò l’attacco in direzione di Rimini, reso difficoltoso dalle artiglierie di difesa tedesche e dalle bombe sganciate dagli Stukas. Avanzare anche di poco fu difficilissimo e costò numerosissime vite tra i nepalesi, sia per la fortissima resistenza tedesca che per la continua presenza di fiumi nella zona, che richiedevano intervento di genieri rallentando la marcia. La lotta cruenta fu nei primi giorni una ripetizione di quanto avvenuto a Tavolara, con i Gurkha che casa per casa stanavano il nemico a colpi di kukhri. Lo stesso fu per l’1/9 Gurkha che prese parte all’assalto alla rocca di San Marino. Per 12 giorni la battaglia infuriò con i tedeschi che resistevano tenacemente mettendo in seria difficoltà gli Alleati, che temevano di trovarsi di fronte ad una seconda Montecassino. Per la Quarantatreesima meccanizzata Gurkha iniziò una lunga e sanguinosa marcia che dall’entroterra romagnolo sarebbe proseguita lungo la dorsale appenninica. Da Santarcangelo di Romagna, espugnata con gravi perdite il 23 settembre 1944, fino a Faenza attraversando il corso di cinque fiumi e venendo bersagliati dalle armi della Wehrmacht, che non lasciava la posizione senza prima combattere duramente. Dalla riviera fino alle porte di Bologna, i soldati dell’Himalaya si scontrarono 10 volte con le difese tedesche. Quella di Medicina, combattuta il 16 e 17 aprile 1945, fu l’ultima. L’ultimo fiume guadato dai nepalesi fu l’Idice. Poi la strada fu aperta verso la capitale felsinea dove i Gurkha arrivarono il 20 aprile 1945. Per loro la guerra era finita.





