2020-03-19
Nelle Marche mai guarite dal sisma nessuno pensa all’ospizio focolaio
Tre decessi e 37 casi nel ricovero di Cingoli. Ma per la Regione è un problema comunale.Una casa di riposo in un borgo incantevole è diventata l'emblema della burocrazia che ammazza, dello scaricabarile di chi per antipatia politica addossa le colpe agli altri. È un focolaio di coronavirus che nessuno ha messo sotto controllo. Siamo a Cingoli, il balcone delle Marche in provincia di Macerata. C'è una casa di riposo gestita dal Comune, di colpo dei 39 anziani ospitati 37 s'infettano. Nel giro di poche ore muoiono in due, restano quattro infermiere, anche loro infettate. Il sindaco, Michele Vittori, fa un appello: aiutateci. Filippo Saltamartini, già onorevole di Forza Italia, oggi vicesindaco, rivela che sono state comprate tute e mascherine da dare alle infermiere e al solo medico di base che a Cingoli non è stato contagiato, ma il carico è bloccato a Fiumicino perché l'Iss e la Protezione civile non danno il via libera. Del caso, che finisce in tv, si interessa anche Matteo Salvini, che scrive a Giuseppe Conte: fattene carico. Qui temono che sia un terremoto bis e in effetti Cingoli, che ha già un ospedale a scartamento ridotto per volere della Regione, resta in isolamento. Ma come sentono odore di Lega, i vertici della sanità marchigiana, totalmente in mano al Pd, si scatenano. Il direttore dell'area vasta del Maceratese, Alessandro Maccioni, e l'assessore regionale Angelo Sciapichetti, che si occupa di Protezione civile - e che per come è andata la (non) ricostruzione post terremoto forse dovrebbe avere toni più dimessi - accusano Vittori di dire bugie, di scaricare sulla Regione responsabilità che sono solo sue. Sta di fatto che la Regione ha ridotto alla minima operatività l'ospedale di Cingoli e non ritiene di ricoverare le nonnine negli altri ospedali. Forse a Cingoli la legge che bisogna comunque prestare assistenza non vale. Intanto le vittime sono diventate tre, le infermiere sono tutte contagiate e la casa di riposo è un focolaio del Covid-19, ma per le ripicche politiche nessuno sa perché non sono stati fatti i tamponi e quanto vasto sia il contagio. Così Cingoli diventa l'emblema del caos che regna nelle Marche per il Covid-19, fotocopia del disastro del post sisma. Già il presidente, Luca Ceriscioli, che non ha mai mollato l'assessorato alla Sanità e che ha spinto molto per far posto ai privati, in particolare alla Kos di Carlo De Benedetti (che in questa regione fa un considerevole fatturato), si era distinto per il braccio di ferro con il presidente del Consiglio sulla chiusura delle scuole. Ora il focolaio di Cingoli riaccende le polemiche. Le Marche sono la quinta regione per contagi, ma la prima in percentuale sugli abitanti. I malati sono 1.567 (salgono al ritmo di quasi 200 al giorno), i morti 91, i ricoverati in terapia intensiva 119, 580 quelli in semi intensiva, mentre in isolamento domiciliare ci sono al momento 4.408 marchigiani su una popolazione inferiore al milione e mezzo di abitanti. Questa pressione ha già portato alla saturazione due terapie intensive. La prima è quella di Camerino, l'ospedale della città simbolo del sisma, che è diventato un Covid hospital, trasformando quel che resta della città in un luogo fantasma. A Civitanova, altro ospedale dedicato, i letti a disposizione sono pochissimi e così a Fermo, mentre a Pesaro, la provincia più colpita, il presidio del San salvatore e già al limite così come il policlinico di Ancona (al momento fuori dalla lista dei Covid hospital). Luca Ceriscioli insiste per fare tamponi a tutti, è sulla linea del suo omologo veneto, Luca Zaia. Ma da Roma non arrivano risposte e la Protezione civile, che qui nelle Marche ha fallito con la ricostruzione, s'è fatta di nebbia. Intanto a Cingoli le nonnine aspettano l'ultimo respiro.