2019-08-25
Nell’attesa, la Lega allarga le fessure
Il Carroccio tiene aperta la porta agli ex alleati per rimettere in piedi l'esecutivo. Più che un'offerta reale è un elemento divisivo: se l'accordo salta, ci sono le urne. Lo stato d'animo del weekend, ai piani alti della Lega, è quello di chi ha fatto tutto il possibile, e ora attende con la coscienza politica a posto di vedere cosa accadrà negli accampamenti altrui. Tra i messaggi Whatsapp di Matteo Salvini a Luigi Di Maio, i segnali pubblici di Giancarlo Giorgetti (sui 10 punti grillini come parte del vecchio contratto di governo), le dichiarazioni esplicite di membri del governo come Gian Marco Centinaio e Claudio Durigon, si è dispiegata una diplomazia a tutto campo, con tre chiari obiettivi. Primo: alimentare dubbi nell'animo di Di Maio e della dirigenza grillina, non solo attraverso offerte (sia pure lusinghiere per i pentastellati), ma soprattutto mettendoli in guardia dall'impresentabilità di una loro foto di gruppo con Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, che - con tutta la buona volontà - Nicola Zingaretti non è comunque in grado di far uscire di scena, vista la loro golden share sugli attuali gruppi parlamentari Pd. Secondo: far capire all'opinione pubblica che la Lega non ha agito per uno scatto di nervi, e che sarebbe pronta - ma su basi di chiarezza - a riprendere un cammino con i vecchi alleati, rinegoziando un patto e un cronoprogramma. Terzo: che se questo non accadrà per volontà grillina, si certificherà l'inevitabilità di una rottura che nasce da lontano, dalla campagna che il M5s condusse alle europee sparando a palle incatenate contro Salvini, fino a una sostanziale paralisi dell'azione di governo nei mesi di giugno e luglio, passando per l'incredibile stampella offerta in Europa dai grillini a Ursula von der Leyen e al caravanserraglio Ppe-Pse. Il ragionamento degli uomini del Carroccio può essere sintetizzato così: avrebbero voluto e vorrebbero ancora, nella prossima legge di bilancio, fare sulle tasse l'equivalente di ciò che Salvini è riuscito a fare al Viminale sull'immigrazione, cioè dare il segno tangibile di una svolta. Ma se l'ultima parola dei grillini fosse non solo quella di impedire il taglio choc di tasse, ma addirittura quella di capovolgere la linea di Salvini sui porti, cambiando alleati e buttando a mare i decreti sicurezza, la maggioranza degli italiani, sia pure dopo l'inevitabile sconcerto delle ultime due settimane, finirebbe per apprezzare la coerenza leghista. Fonti autorevoli della Lega ci descrivono dunque una situazione a suo modo lineare. Prima e preferita opzione: andare alle urne, restituire agli elettori il giudizio su ciascun protagonista, e farlo presto, consentendo a un governo pienamente legittimato di impostare la legge di bilancio. Altra opzione altrettanto gradita al Carroccio, ripetutamente offerta ai grillini: riprendere insieme il cammino interrotto. Ultima opzione, per definizione mai disprezzabile in democrazia: una netta e dura opposizione, che potrebbe trasformare le prove elettorali già calendarizzate per i prossimi sei mesi (Calabria, Umbria, fino alla supersimbolica Emilia-Romagna) in un'autentica via crucis per il governo giallorosso. Non trova invece conferma una specie di piano diabolico (temuto dai grillini): quello per cui un Salvini luciferino, se riuscisse nelle prossime 72 ore a sganciare Di Maio da Zingaretti e a far saltare il primo forno, poi chiuderebbe immediatamente il secondo (cioè quello leghista), costringendo Sergio Mattarella a uno scioglimento inevitabile. Ma fonti leghiste assicurano che l'offerta leghista a Di Maio è sincera e senza tranelli. Semmai, ciò che rende i leghisti sicuri del fatto loro, comunque finisca la partita, è sapere che il campo grillino resterà diviso, inevitabilmente. Vero: in caso di riavvicinamento alla Lega, ci sarebbe un enorme nervosismo di Roberto Fico e dell'ala sinistra pentastellata. Ma è altrettanto certo che, in caso di concretizzazione dell'ipotesi giallorossa, tantissimi altri parlamentari M5s sarebbero in fortissima sofferenza. Per non dire dei social grillini, trasformati in un inferno da due giorni, tra insulti e autentica rabbia contro l'inciucio con il Pd. L'ultimo elemento di riflessione in casa leghista ha a che fare con la dimensione geopolitica della crisi. Era prevedibile che tutto un certo mondo a guida francotedesca o di matrice culturale dem producesse veleno contro Salvini (le parole di ieri pro Giuseppe Conte del solito Donald Tusk o l'improprio endorsement ai giallorossi di Nancy Pelosi ne sono stati solo le ultime prove), ma è interessante la divisione che si è prodotta anche tra i più autorevoli giornali economico-finanziari mondiali. Economist e Financial Times (testate basate in Uk, ma assai sensibili a Bruxelles e all'asse Parigi-Berlino) si sono schierati contro il voto e contro la Lega, ma l'americano Wall Street Journal, il quotidiano più autorevole del mondo, si è espresso per il voto, in ultima analisi anche per Salvini, contro i «mandarini Ue», e soprattutto per la priorità di un robusto taglio di tasse e di un vero rilancio dell'economia. È qui il cuore del confronto, a un livello ben superiore rispetto ai tatticismi di palazzo, alle dichiarazioni di giornata, e alle umane, umanissime - ma un tantino misere - speranze di conservare stipendio e mutuo in banca da parte di qualche centinaio di deputati e senatori.
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