2019-06-23
Negli ospedali 100.000 infermieri in meno
Non mancano soltanto i camici bianchi. Con quota 100 vanno in pensione 22.000 paramedici. E altri 75.000 vi sono vicini L'allarme lanciato della federazione di categoria: «Senza lo sblocco del turn over si pregiudica la qualità dell'assistenza».Circa 22.000 infermieri in meno nelle corsie e almeno altri 75.000 a un passo dal pensionamento. Sono gli effetti della cosiddetta quota 100 su una categoria che, nel nostro Paese, presenta già enormi problemi di organico. L'allarme parte dalla Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche, che ha diffuso i dati elaborati dal proprio centro studi. Perché non sono solo i medici a essere preoccupati dall'emorragia causata da quota 100, ma anche gli operatori sanitari. «Il rapporto numerico infermieri-pazienti era già ai limiti del rischio prima di quota 100», spiega il portavoce di Fnopi, Tonino Aceti. «Adesso, con questa ulteriore uscita di professionisti, la situazione si aggrava. Sia l'Oms sia l'Ocse hanno spiegato che riducendo il numero di persone assistite da ogni infermiere (il numero ideale per abbattere la mortalità del 20% sarebbe 1:4) l'assistenza migliora la sua qualità e si riduce il pericolo. Invece, con la fuoriuscita di oltre 20.000 lavoratori, i numeri salgono in modo preoccupante». In alcune Regioni, quelle più colpite dai piani di rientro e quindi dal blocco del turn over, il rapporto è già adesso alle stelle. In Campania, per esempio, se con la carenza di oltre 50.000 infermieri questo rapporto era 1:17, ora si rischia di sfiorare l'1:19-20. Inoltre, più del 36% delle nuove fuoriuscite dagli ospedali avverranno proprio nelle Regioni in piano di rientro, gravemente colpite dal blocco delle assunzioni. Il risultato è che il livello dell'assistenza rischia di peggiorare di molto, mentre liste di attesa e ricorso al privato segnerebbero un primato.A confermare le preoccupazioni sono i numeri: dalla fine del 2018 quota 100 è stata teoricamente raggiunta da 75.000 paramedici, il 28% di tutti quelli dipendenti dal Ssn. Nei prossimi anni, senza sblocchi del turn over, la cifra è destinata a superare le 100.000 unità e in un triennio si potrebbe andare oltre la soglia dei 130.000. Questo per diverse ragioni: intanto mediamente la professione infermieristica inizia presto (la laurea abilitante è triennale) e quindi si cumulano più anni di servizio, in secondo luogo i blocchi delle assunzioni decennali hanno innalzato l'età della categoria che raggiunge una media di 53 anni. Con punte fino a 55,9 in Campania e situazioni più leggere in Trentino Alto Adige, con una media di 49,4 anni. Tutto questo preoccupa la categoria: «Chi esce dalla professione attiva per quota 100 deve essere subito rimpiazzato, al di là dell'economia e della politica», dice Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi. «Anche il blocco del turn over va superato. È assolutamente impensabile indebolire servizi che riguardano i cittadini più fragili, perché caratterizzati da forme di cronicità, età avanzata e spesso non autosufficienza. Il nostro allarme indicava già che, seguendo il trend attuale, si sarebbe raggiunta nel 2021 una carenza di quasi 64.000 unità, oggi siamo già a 53.000. E almeno 22.000 infermieri potrebbero venire a mancare da un giorno all'altro per effetto del nuovo regime pensionistico».Ciò che la categoria teme, a questo punto, è un collasso annunciato. Gli esperti indicano che, affinché l'assistenza sia efficiente, ogni infermiere non dovrebbe seguire più di quattro pazienti. In Italia la media è di oltre sei, ma in alcune Regioni la situazione è nettamente peggiore. In pratica, ogni professionista ha mediamente in carico almeno due persone in più di quelle che gli standard di sicurezza consiglierebbero. Quando va bene. Ma queste regole generali variano da un'area all'altra di assistenza. Il rapporto dovrebbe essere di 3 o 4 a uno nelle aree chirurgica e medica, e di 1 o persino 0,5 per le cosiddette aree critiche, come terapie intensive e rianimazioni. Numeri molto lontani dalla realtà rilevata dall'indagine, che ha calcolato un rapporto di 5,93 per la chirurgia, 5,7 per quella medica e 3,55 per l'area critica.Il risultato è che nel nostro Paese un infermiere su tre è a rischio «burnout», cioè di forte stress causato dalla vita professionale, anche se oltre il 70% di loro si dice soddisfatto dal proprio lavoro e non lascerebbe l'ospedale. «Questi dati potrebbero portare a un aumento del rischio di mortalità del 25-26%», prosegue Mangiacavalli, «per fortuna, grazie alla buona volontà dei professionisti e alla capacità del management delle aziende, non siamo a questo punto. Ma se ne deve tenere conto al momento della scelta delle politiche di programmazione. Oggi abbiamo una carenza di infermieri in costante aumento. Senza contare quota 100». Conclude Mangiacavalli: «Nel sistema sanitario nazionale mancano tanti professionisti. Come dimostra lo studio, a essere carenti in modo allarmante sono proprio gli infermieri. Quei lavoratori, cioè, che prendono in carico il malato dopo qualunque intervento e fino alle sue dimissioni. Sono professionisti che hanno il compito di seguire i malati in ospedale come a domicilio per assicurare che si curino, lo facciano bene e non abbiano complicazioni. E se queste dovessero subentrare, a casa come in ospedale, sono proprio gli infermieri a far scattare l'allarme con tutti gli interventi che, come dimostrano i dati, sono anche salvavita».
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello (Imagoeconomica)
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello: «Dopo il 2022 il settore si è rilanciato con più iscritti e rendimenti elevati, ma pesano precariato, scarsa educazione finanziaria e milioni di posizioni ferme o con montanti troppo bassi».