2020-07-02
«Napolitano aprì all’ipotesi grazia»
Gaetano Quagliariello (Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)
Il senatore Gaetano Quagliariello: «Fui testimone della trattativa. Alcuni uffici del Colle la fecero naufragare».Onorevole Quagliariello, che effetto le fanno le rivelazioni di questi giorni sul caso Berlusconi-Franco?«Per chi ha voluto a suo tempo leggere gli eventi nella loro cruda oggettività, la conferma di qualcosa che era già evidente. Sono andato a rileggermi il capitolo dedicato a questa vicenda in un libro in cui raccontavo i retroscena della scorsa legislatura, e la coincidenza con le parole di Amedeo Franco è sorprendente».Nel marzo 2013, mentre erano serrate le manovre politiche per dare un governo all'Italia dopo il risultato elettorale che non consegnò maggioranze parlamentari, Giorgio Napolitano incontrò i vertici del Pdl e in serata scrisse un comunicato in cui definiva «comprensibile la preoccupazione» del partito «che il suo leader possa partecipare adeguatamente a questa complessa fase politico-istituzionale». Cosa accadde in quei mesi di così importante da spingere Napolitano a una nota così?«Ricordiamo il contesto. Il Pdl e il suo leader, oggetto di un tentativo di delegittimazione ventennale, si erano offerti di partecipare a uno sforzo condiviso per tirare fuori l'Italia dalle secche. Berlusconi era in ospedale per una brutta uveite e il ricovero era stato funestato da una raffica di visite fiscali disposte dalle varie Corti di fronte alle quali avrebbe dovuto comparire e alle quali aveva chiesto un rinvio per ragioni di salute. Il Pdl aveva risposto con una sfilata forse un po' sgangherata davanti al Palazzo di Giustizia di Milano. Scoppiò un putiferio. Il capo dello Stato ascoltò le ragioni del partito e le rimostranze del Csm. Ne venne fuori quella nota per certi versi storica, che legittimava la preoccupazione di una piena agibilità politica per il Cav, soprattutto nel momento nel quale da lui ci si attendeva uno sforzo di coesione nazionale». Nel luglio 2013, pochi giorni prima della sentenza di condanna da parte della cassazione nei confronti di Silvio Berlusconi, il nostro direttore, Maurizio Belpietro, auspicò che l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, potesse concedere la grazia al Cavaliere in caso di condanna. Lei cosa ricorda di quei giorni? L'ipotesi della grazia circolava ai piani alti di Forza Italia? Riceveste cenni indiretti o diretti dal Colle, che - chiamato in causa - smentì l'eventualità?«Il riferimento che lei fa è a un tempo precedente la sentenza: la posizione pubblica di qualunque capo dello Stato sarebbe stata la stessa. Dopo la sentenza, invece, Napolitano aprì all'ipotesi della grazia. Ne sono testimone diretto. Con me, non pose la condizione di un ritiro di Berlusconi dalla politica, quanto quella del riconoscimento della legittimità della sentenza, fermo restando il diritto di criticarla. I problemi più seri, piuttosto, furono di natura tecnico-giuridica, e rendevano meno conveniente per Berlusconi l'ipotesi della grazia. In ciò, per quella che è la mia testimonianza, ancor più che la volontà del capo dello Stato pesò il giudizio di alcuni uffici del Colle». Crede che Napolitano abbia architettato un complotto?«Ribadisco: la sentenza su Berlusconi è stata scandalosa e ancor più l'applicazione della legge Severino. Non credo però che Napolitano sia stato l'artefice di un complotto e nemmeno che vi abbia partecipato. Innanzi tutto per ragioni di convenienza politica: Napolitano era in quel tempo il “tutore" di un governo di unità nazionale e aveva l'obiettivo storico di una grande riforma dello Stato. Per questo aveva accettato il secondo mandato che in primis Berlusconi gli aveva proposto. Il suo interesse politico, dunque, era quello che il clima esterno potesse restare il più possibile tranquillo. Se un complotto o forzature ci sono stati - ed è assai probabile che sia così -, più realisticamente cercherei fra i nemici di Napolitano e di quel suo tentativo». Oltre che di grazia, si parlò anche della nomina di Berlusconi a senatore a vita: ipotesi che torna attuale in queste ore. Lei pensa che sarebbe una scelta giusta?«Berlusconi ha subìto una grave ingiustizia per la decadenza comminata a voto palese: un assurdo. La sua nomina a senatore a vita ad oggi non è però una ipotesi politica percorribile, perché i cinque posti previsti dalla Costituzione sono tutti occupati».Pensa, in cuor suo, che Berlusconi sia stato un perseguitato politico dalla magistratura? Vede contatti con le rivelazioni della Verità sulle intercettazioni di Palamara?«Negli ultimi 25 anni una parte della magistratura è stata fortemente politicizzata e si è considerata al di sopra della legge. Il caso Palamara ha scoperchiato una realtà nota. Per un lungo tratto di questo periodo, Berlusconi è stato il principale bersaglio della magistratura politicizzata. E questa è una verità scontata che gli storici del futuro non avranno difficoltà a sostanziare».
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