2023-09-21
Tregua in Nagorno Karabakh. Ma la popolazione armena manifesta contro il governo
La protesta di fronte al palazzo del governo a Yerevan (Ansa)
Accordo per il cessate il fuoco nella regione separatista dell’Azerbaijan che era sotto i bombardamenti di Baku. Uccisi peacekeeper russi. Folla inferocita a Erevan.Il leader ucraino parla alle Nazioni Unite. Sergej Lavrov si scaglia contro l’Occidente. Secondo la Cnn, le forze di Kiev hanno attaccato con i droni le milizie sudanesi.Lo speciale contiene due articoli.Secondo quanto dichiarato dall’Ufficio presidenziale del Nagorno Karabakh ieri sarebbe stato raggiunto un accordo «per completa cessazione delle ostilità nel Nagorno Karabakh a partire dalle 13.00 del 20 settembre», anche se il ministero della Difesa russo ha riferito che, sempre ieri, uomini armati hanno aperto il fuoco contro un’auto del contingente di peacekeeper russi uccidendo tutte le persone a bordo. Le ostilità sono cessate alle 13.00 ora locale (le 11.00 ora italiana) e il governo di Baku lo ha confermato all’agenzia Ria Novosti: «Il ministero della Difesa della Repubblica dell’Azerbaigian riferisce che, tenendo conto dell’appello dei rappresentanti degli armeni residenti nel Karabakh, ricevuto tramite il contingente russo di mantenimento della pace, è stato raggiunto un accordo per sospendere le misure antiterroristiche locali». L’accordo è stato raggiunto con la mediazione del comando russo di mantenimento della pace nel Nagorno Karabakh. Oggi è previsto un incontro tra i rappresentanti del Nagorno Karabakh e dell’Azerbaigian a Yevlakh (Azerbaigian) nel quale si parlerà secondo gli azeri «delle questioni sollevate dalla parte azerbaigiana sulla reintegrazione, sulla garanzia dei diritti e sulla sicurezza degli armeni del Nagorno Karabakh, nonché sulla questione di garantire il sostentamento della popolazione del Nagorno Karabakh nel quadro della Costituzione dell’Azerbaigian». Come atteso, attorno a questo documento i misteri non mancano. Primo mistero. L’Armenia non ha partecipato all’elaborazione del testo concordato con la missione russa di mantenimento della pace sul cessate il fuoco nel Nagorno Karabakh, ha detto ieri mattina il primo ministro Nikol Pashinyan, rilevando che l’Armenia ha un’osservazione a questo riguardo: «Il testo menziona erroneamente le forze armate armene, mentre l’Armenia non mantiene alcuna presenza militare nel Nagorno Karabakh» e questo non può essere certo un errore nella stesura del testo. In un discorso televisivo in diretta, Pashinyan ha affermato che l’Armenia è venuta a conoscenza dell’accordo di cessate il fuoco attraverso i canali di informazione ufficiali del Nagorno Karabakh: «Certamente, siamo venuti a conoscenza del testo e poiché l’Armenia non ha partecipato allo sviluppo di quel testo e non ha preso parte alle discussioni, la nostra prima osservazione è la seguente: il testo menziona le forze armate dell’Armenia, e menziona il ritiro delle rimanenti unità delle forze armate armene dal Nagorno Karabakh. Questo fatto non ci è chiaro dal momento che abbiamo ripetutamente affermato che l’Armenia non ha un esercito nel Nagorno Karabakh dall’agosto 2021. Ma in ogni caso, prendiamo nota di questa affermazione e che le autorità del Nagorno Karabakh l’hanno accettata». Ieri, comunque, migliaia di manifestanti si sono radunati per protestare contro il premier, accusando l’esecutivo di aver abbandonato la popolazione armena della regione contesa. L’opposizione ha avviato una procedura di impeachment.Secondo mistero. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto di conoscere il contenuto dell’accordo: «Non conosco i dettagli, quindi non posso dire nulla al riguardo. Ripeto ancora una volta che i contatti sono costantemente in corso, quindi non posso confermare con certezza», poi ha confermato che il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan «si sono accordati per una conversazione telefonica» mentre «una conversazione simile con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev non è ancora prevista, ma se necessario, potrà anche aver luogo», ha precisato Peskov. Il bilancio dell’operazione militare azera è pesante visto che sotto le bombe sono state uccise 32 persone tra cui sette civili, due dei quali bambini. I feriti sono più di 200, 35 civili e almeno 13 bambini. Come vi avevamo riferito ieri, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha mentito quando ha detto: «Durante l’applicazione delle misure anti terrorismo la popolazione civile e le infrastrutture non vengono presi di mira, ma vengono distrutti solo obiettivi militari legittimi». Una menzogna ripetuta anche al segretario di Stato Usa Antony Blinken con il quale ha avuto un colloquio telefonico. Un fatto che non dovrebbe restare impunito e qui si avverte l’assordante silenzio delle istituzioni internazionali che da anni lasciano che gli armeni vengano massacrati dagli azeri (ricchi produttori e fornitori di petrolio), girandosi dall’altra parte. Reggerà il cessate il fuoco? Impossibile saperlo visti i precedenti e solo i prossimi giorni ci daranno la risposta che attende anche la comunità armena di Roma: «Come armeni della diaspora non possiamo che essere molto addolorati per la sorte dei nostri fratelli in Artsakh, vittime ancora una volta della feroce campagna militare dell’Azerbaigian e già provati da mesi di malnutrizione a causa del blocco del corridoio di Lachin. Stante le ultime notizie di resa pressoché incondizionata di fronte alle bombe azere e di fronte ad una possibile pulizia etnica, siamo molto preoccupati per la sorte dei 120.000 armeni della regione». Anche il destino del patrimonio culturale e religioso armeno è a rischio: «Chiediamo alla comunità internazionale di non abbandonare al loro destino gli armeni dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) e di vigilare perché i loro diritti siano sempre tutelati, agendo con gli opportuni strumenti coercitivi, giuridici e politici. Non possiamo dimenticare che l’inerzia e/o la complicità di vari attori internazionali sta portando la popolazione di un paese libero a vivere in una delle peggiori dittature al mondo. Non abbassiamo la guardia».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/nagorno-karabakh-crisi-2665708924.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="zelensky-allonu-dateci-gli-f-16" data-post-id="2665708924" data-published-at="1695294155" data-use-pagination="False"> Zelensky all’Onu: «Dateci gli F-16» Le connessioni tra la crisi ucraina e il quadrante africano si fanno sempre più strette. Secondo Cnn, le forze speciali di Kiev potrebbero aver condotto degli attacchi con droni contro le Rsf: le milizie sudanesi che, attualmente in lotta con il leader del Sudan Abdel Fattah Al Burhan, risultano storicamente spalleggiate dai mercenari russi del Wagner Group. «Probabilmente i responsabili sono i servizi speciali ucraini», ha detto una fonte militare ucraina alla testata statunitense, la quale ha tuttavia precisato di non aver potuto verificare in modo indipendente questa informazione. Almeno per ora, Kiev non ha rivendicato gli attacchi, mentre una fonte militare sudanese ha fatto sapere di non essere «a conoscenza di un’operazione ucraina in Sudan». Ad aprile, Cnn aveva riportato che il Wagner Group aveva fornito missili alle Rsf: in particolare, nelle operazioni di sostegno ai paramilitari sudanesi avrebbe svolto un ruolo anche il generale Khalifa Haftar. Ricordiamo d’altronde che, nell’Est della Libia, Haftar è storicamente spalleggiato dai mercenari russi. Non è comunque la prima volta che emergono connessioni tra la crisi ucraina e il Mediterraneo allargato. L’anno scorso, Vladimir Putin reclutò mercenari siriani da schierare in territorio ucraino, mentre l’Iran ha fornito a Mosca droni da utilizzare nel corso della sua invasione dell’Ucraina. Guarda caso, il ministro della Difesa russo, Sergey Shoigu, si è appena recato a Teheran, per rafforzare la cooperazione con il regime degli ayatollah. Nel frattempo, il ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov, è arrivato ieri al Palazzo di Vetro, dove si è tenuto un vertice del Consiglio di sicurezza dell’Onu, a cui è stato invitato anche Volodymyr Zelensky: nel suo discorso, oltre a denunciare l’invasione, il leader ucraino ha criticato il potere di veto di cui gode Mosca nel Consiglio di sicurezza stesso. Tuttavia, mentre Zelensky parlava, Lavrov era assente. A sua volta il leader ucraino ha lasciato la sala prima dell’intervento del ministro russo, che, parlando subito dopo l’omologo statunitense Tony Blinken, ha criticato l’Occidente e difeso il potere di veto di Mosca in sede Onu. Nel frattempo, Putin ha ricevuto a San Pietroburgo il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi: nel corso del colloquio, i due hanno auspicato un incremento della cooperazione commerciale tra Mosca e Pechino. È stato inoltre reso noto che il presidente russo ha accettato l’invito a recarsi nella Repubblica popolare cinese il mese prossimo. Dall’altra parte, resta alta la tensione diplomatica tra Varsavia e Kiev sulla spinosa questione del grano ucraino. Frattanto la Russia ha detto di aver abbattuto diversi droni ucraini nei pressi di Sebastopoli, mentre Kiev ha annunciato di aver distrutto 17 dei 24 droni inviati da Mosca contro il proprio territorio. Gli attacchi ucraini in Crimea hanno inoltre portato alla sospensione del traffico sul ponte di Kerch. Zelensky, dal canto suo, ha chiesto i caccia F-16, esortando inoltre Donald Trump a rendere noto il piano di pace che avrebbe intenzione di attuare, nel caso riuscisse a tornare alla presidenza degli Usa. Oggi, il leader ucraino è atteso a Washington per una serie di incontri alla Casa Bianca e al Campidoglio. Se Joe Biden è pronto ad annunciare una nuova tornata di aiuti militari a Kiev, lo Speaker della Camera statunitense, Kevin McCarthy, si è mostrato piuttosto freddo. «Zelensky è eletto al Congresso? È il nostro presidente? Non penso di dover impegnarmi in nulla e penso di avere delle domande per lui», ha detto, per poi aggiungere: «Dove è la responsabilizzazione per i soldi che abbiamo già speso?». Lo Speaker ha definito l’invasione russa una «atrocità», ma ha detto di voler sapere come vengono spesi i soldi dei contribuenti americani e di volere «un piano per la vittoria». Maggiormente a favore del sostegno militare a Kiev si è invece detto il capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)