2022-04-28
Musk scatena lo psicodramma dem e la paura di perdere le donazioni
(Illustration by Scott Olson/Getty Images)
Il padrone della Tesla dovrà scardinare una monocultura che ha nei dipendenti della Silicon Valley la propria cassaforte in vista del voto Usa 2024. Avvisi di barricate Ue. E resta l’ interrogativo sul suo modello di business.Va bene: la crisi isterica di massa, a sinistra, dopo l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, dura da ormai 48 ore, fino ai piani più alti dei dem Usa. «Pericolo per la democrazia», grida la senatrice Elizabeth Warren. E il medesimo urlo di dolore viene dall’ex consigliere di Barack Obama Alec Ross, sentito da La Stampa. Ross mette nello stesso calderone considerazioni personali ai limiti dell’offesa («Quel che mi preoccupa è da dove viene Musk, una sorta di fraternita maschilista, popolata da miliardari libertari di San Francisco, il mondo di Thiel e della cosiddetta Paypal mafia»), un’evidente paura rispetto al free speech («temo che prendano la libertà di parola e la trasformino in un’arma») e perfino una crociata preventiva contro le posizioni di chi è per l’abbassamento delle tasse («Lui e Peter Thiel fanno di tutto per evitare di pagare le tasse (…). Ho l’impressione che questo porterà Twitter a essere veicolo di questa visione». Il quadro è paradossale e perfino comico: a sinistra non si preoccupano se qualcuno era o è ancora censurato o «bannato», ma non si danno pace all’idea che qualcuno che a loro non piace possa non esserlo più. E oltre allo psicodramma politico, iniziano le minacce sul piano regolatorio. Il primo a sparare è stato il commissario Ue al mercato interno, il francese Thierry Breton, che ha subito sottolineato che ogni compagnia operante anche nel Continente deve adeguarsi alle regole comunitarie, per esempio quelle contro l’hate speech, il cosiddetto linguaggio d’odio. E ha aggiunto che, se necessario, l’Ue potrebbe agire per costringere Twitter ad adeguarsi. Significativamente, immaginando quello che Musk dovrà sopportare avendo a che fare con le autorità regolatorie, il Times di Londra ha scritto che «si tratterà per lui di una sfida maggiore che andare nello spazio». E le prime scene del film sono già scritte, con chi, per perpetuare la gabbia, userà gli argomenti più suggestivi: i pericoli della pornografia estrema, del terrorismo, del jihadismo, e così via. Realistico che Musk dovrà trovare un equilibrio più avanzato rispetto ad oggi sulla cosiddetta «moderazione dei contenuti», e che proverà, come ha scritto il Wsj, a «rompere la cultura di conformismo progressista della Silicon Valley». In realtà Musk avrebbe un primo colpo da sparare tanto semplice quanto rivoluzionario: introdurre una totale trasparenza sugli algoritmi utilizzati, cioè sui meccanismi di funzionamento del «giocattolo». Attenzione, però. Non è in gioco solo una questione di principio, pur di capitale importanza, e cioè l’estensione della libertà di parola. Il punto è la possibilità di scardinare un mondo, un’impostazione a senso unico, un orientamento monoculturale. Perfidamente e sarcasticamente, mentre si attende di capire se tornerà o no l’account ufficiale di Donald Trump (@realdonaldtrump) o se Trump preferirà lanciare il suo social (Truth), l’account satirico @RealDonaldJT457 ha buttato lì: «Alzate la mano se siete d’accordo sul fatto che Musk dovrebbe comprare Dominion», alludendo ai contestati software elettorali.Non si tratta, qui, di rilanciare la polemica mai sopita dal fronte trumpiano sui risultati del 2020, ma di guardare a un’evidenza sottolineata ieri da Holman W. Jenkins sul Wsj: sia nel 2016 che nel 2020, le due ultime elezioni presidenziali sono state decise da meno di 70.000 voti in tre Stati. E realisticamente le elezioni del 2024 saranno decise da un margine strettissimo. La presenza di Musk cambierebbe molte cose: non solo non sarebbero più facili colpi di mano come quelli che portarono alla sospensione su Twitter (alla vigilia del voto del 2020) di una storia del New York Post sul famigerato laptop di Hunter Biden (figlio di Joe), ma sarebbe reso contendibile quello che i dem continuano a considerare un loro terreno esclusivo di caccia. Secondo un’analisi del Pew research center ripresa dal Financial Times, gli utenti Twitter sono in media più giovani, più istruiti e più di sinistra del resto della popolazione, e tendono a essere «opinion formers», cioè formatori dell’opinione altrui. Per non dire dell’orientamento politico di chi ci lavora: un’impressionante tabella (fonte: Center for responsive politics) mostra le donazioni fatte dai dipendenti delle principali aziende a candidati politici: il 98,7% delle donazioni fatte da dipendenti di Twitter è andata ai democratici, come il 99,6% di quelli di Netflix, il 97,5 di quelli di Apple, il 94,5% di quelli di Facebook e così via. Intendiamoci: Musk non è un kamikaze pronto a immolarsi per nessuno. Lui ha sempre suddiviso in modo sostanzialmente equo le sue donazioni tra democratici e repubblicani. Ma già questo senso di equilibrio ha un che di rivoluzionario, vista l’aria che tira. Resta il grande interrogativo sul modello di business che Musk cercherà di realizzare. Qualcuno ipotizza che possa lanciarsi in un’operazione «cripto Twitter», e quindi inserirsi in modo significativo nella partita delle criptovalute; altri che possa dare vita a una piattaforma alternativa per l’acquisto di beni e servizi. Sfida alle banche centrali nel primo caso, ad Amazon nel secondo. Intanto le difficoltà non mancano: Moody’s e Standard & Poor’s hanno messo Twitter sotto osservazione (minacciando un downgrade), mentre Tesla è andata male in Borsa. Ma suggeriremmo di prendere Musk molto sul serio, e non solo perché è la persona più ricca del mondo: la sua Tesla è stata capace di aumentare le vendite dell’80% in un anno terribile come il 2021.