2022-12-14
Pezzi grossi dei dem e amici di Gates. Musk scioglie il comitato dei censori
La rivoluzione di Twitter continua: chiuso il gruppo che si occupava di discorsi d’odio e sfruttamento di minori. Ovviamente la gran parte dei membri aveva interessi a sinistra, dagli Obama alla fondazione del miliardario.Prosegue il repulisti politico di Elon Musk all’interno di Twitter. Il nuovo Ceo ha smantellato ieri il Trust and safety council: comitato consultivo di Twitter, istituito nel 2016 per contrastare l’odio online. Qualcuno sta già gridando allo scandalo, sostenendo che, con questa mossa, Musk starebbe contribuendo a rendere la piattaforma una sorta di far west pericoloso e senza regole. Peccato però che di questo organo consultivo ne avessero fatto parte realtà non esattamente super partes, come l’Anti Defamation League: organizzazione che dal 2015 è guidata dall’ex direttore per l’innovazione sociale dell’amministrazione Obama, Jonathan Greenblatt. Ebbene, secondo i Twitter Files, furono proprio l’Anti Defamation League e Michelle Obama a chiedere, tra gli altri, il blocco del profilo di Donald Trump l’anno scorso. Del comitato faceva inoltre parte anche Alex Holmes, Advisory board member della Bill & Melinda Gates Foundation: una fondazione che, nel 2018 e (soprattutto) nel 2020, aveva pesantemente finanziato il Partito democratico americano. D’altronde, proprio l’altro ieri sera la giornalista Bari Weiss ha pubblicato una nuova tranche dei Twitter Files, dedicata alle ore immediatamente precedenti al blocco dell’account di Trump l’8 gennaio del 2021. Ebbene, secondo i nuovi documenti, quel ban è avvenuto sostanzialmente in spregio a quelle che erano le politiche societarie, sulla base non solo - come visto poc’anzi - di influenze esterne ma anche a seguito di pesanti pressioni arrivate da una parte consistente dei dipendenti di Twitter: dipendenti che, ricordiamolo, secondo il sito Open Secrets, avevano significativamente finanziato il Partito democratico americano tanto nel 2018 quanto nel 2020. «Nel primo pomeriggio dell’8 gennaio, il Washington Post ha pubblicato una lettera aperta firmata da oltre 300 dipendenti di Twitter al Ceo Jack Dorsey che chiedevano il blocco di Trump», ha riportato la Weiss. In particolare, quei dipendenti scrissero: «Dobbiamo esaminare la complicità di Twitter in ciò che il presidente eletto Biden ha giustamente definito insurrezione». «Tuttavia», riferisce ancora la giornalista, «lo staff di Twitter incaricato di valutare i tweet ha rapidamente concluso che Trump non aveva violato le politiche di Twitter». Eppure, nonostante questa timida obiezione, alla fine l’account fu censurato, mentre altri personaggi controversi (da Ali Khamenei a Nicolas Maduro) continuano ad averlo a disposizione. Non solo. Secondo la Weiss, poco dopo il blocco del profilo dell’allora presidente americano, «i dipendenti [di Twitter] hanno espresso il desiderio di affrontare la “disinformazione medica” il prima possibile». E veniamo qui al nodo della censura sanitaria. Negli scorsi giorni, le tranche precedenti dei Twitter Files avevano mostrato che a finire nella «lista nera delle tendenze» fu anche Jay Bhattacharya: professore di medicina all’Università di Stanford, «colpevole» di aver criticato i lockdown pandemici. Come da lui stesso spiegato l’altro ieri alla Verità, gli fu negata la spunta blu con la motivazione di non essere abbastanza conosciuto. Il professore si è detto inoltre convinto che, alla base della censura, ci siano state delle interferenze governative, citando anche la dura opposizione di Anthony Fauci alla Great Barrington Declaration (di cui Bhattacharya fu cofirmatario nell’ottobre del 2020). Da questo punto di vista, domenica scorsa Musk ha annunciato che presto verranno pubblicati i files specificamente dedicati alla censura in materia sanitaria, attuata ai tempi della gestione di Dorsey. È indubbiamente da rilevare il fatto che, negli ultimi giorni, l’attuale Ceo di Twitter ha aspramente criticato lo stesso Fauci, chiedendo che venga perseguito a livello penale e paragonandolo sarcasticamente al personaggio tolkieniano di Grima Vermilinguo. Musk ha inoltre accusato l’epidemiologo di aver «mentito al Congresso», con riferimento alla spinosa questione dei fondi governativi americani all’Istituto di virologia di Wuhan per ricerche sui cosiddetti «guadagni di funzione»: su questo tema, a ottobre 2021 la testimonianza parlamentare di Fauci venne (almeno in parte) smentita dal vicedirettore dei National Institutes of Health, Lawrence A. Tabak, scatenando così le ire dei repubblicani, a partire dai senatori Rand Paul e Ted Cruz. Non è quindi affatto da escludere che, dopo aver riconquistato la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, l’Elefantino possa avviare delle inchieste parlamentari per fare luce su alcuni aspetti controversi che aleggiano attorno allo stesso Fauci (a cominciare dai suoi rapporti con lo zoologo Peter Daszak). Da quanto emerso finora, è stato reso noto che, nelle settimane precedenti alle elezioni presidenziali statunitensi del 2020, i vertici di Twitter ebbero frequenti incontri con l’Fbi, il quale parlò a più riprese di possibili attività di hackeraggio e disinformazione. È proprio in uno di questi meeting che, secondo quanto raccontato alla Federal election commission dall’allora dirigente della società di San Francisco Yoel Roth, sarebbe spuntato il nome di Hunter Biden. Del resto, tra i responsabili dell’oscuramento dell’ormai famoso scoop del New York Post vi fu proprio un ex legale del Bureau, recentemente licenziato da Musk: James Baker. Lo zampino di enti governativi in queste censure è quindi apparso abbastanza chiaramente. I prossimi files ci diranno probabilmente fino a che punto ciò è avvenuto. Quel che invece è fuor di dubbio è la collusione tra la piattaforma e il Partito democratico americano. Un elemento gravissimo, su cui ancora in troppi fanno finta di niente.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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