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2021-10-14
Muro politico contro i tamponi gratis Salvini a Draghi: «Faccia da paciere»
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La campagna di delegittimazione del centrodestra dopo gli scontri di sabato è arrivata al limite, occorre intervenire per placare i toni. È il messaggio portato ieri pomeriggio da Matteo Salvini a Palazzo Chigi in un incontro non programmato. La settimana scorsa il leader leghista aveva annunciato che avrebbe visto più spesso il premier, ma il faccia a faccia di ieri non rientrava in quel calendario. L'accelerazione è imposta dalle polemiche sulla destra fascista alla vigilia dei ballottaggi in città come Roma e Torino. «Chiederò al presidente Draghi di guidare un percorso di pacificazione nazionale», aveva detto Salvini durante la conferenza stampa del centrodestra a sostegno di Enrico Michetti. La sua è stata un'ambasciata anche a nome di Forza Italia e Fratelli d'Italia.
L'incontro è durato un'ora. Una nota di Palazzo Chigi riferisce che si è discusso «dei provvedimenti economici di prossima emanazione, con particolare riferimento alla legge di bilancio e al decreto fiscale». Nessun cenno alle roventi polemiche sugli scontri di sabato. Che invece non mancano nel comunicato diffuso da parte leghista: il partito di Salvini fa sapere che sul tappeto c'erano sì «i prossimi provvedimenti economici», con la comune «intenzione di non aumentare le tasse». Ma si parla anche di un confronto sull'«attualità»: il segretario ha infatti rimarcato «l'esigenza di ritrovare al più presto un clima di unità e concordia nel Paese, a partire dalle forze politiche».
La richiesta del centrodestra a Draghi è quella che si faccia promotore di una «pacificazione nazionale». Il premier dovrebbe invitare tutti i partiti della coalizione di governo «a tenere i toni bassi» e «intervenire per appellarsi alla responsabilità e frenare le campagne di delegittimazione che nelle ultime settimane sono state particolarmente feroci contro il centrodestra, a partire da Lega e Fratelli d'Italia». La preoccupazione di Salvini è altissima. «Ho chiesto un incontro a Draghi perché il Paese così non va lontano», ha detto nella conferenza stampa per Michetti prima di salire a Palazzo Chigi. «Il 30 ottobre Roma è sulle tv di tutto il mondo con il G20 e noi come ci presentiamo? Non possiamo fallire, però se non fermiamo un disadattato con il braccialetto elettronico io sono preoccupato».
Il riferimento è a Luciana Lamorgese che non ha impedito a Giuliano Castellino, colpito da Daspo, di partecipare alla manifestazione di sabato degenerata nella devastazione della sede Cgil. «Tirare fuori gli scheletri dagli armadi non fa bene all'Italia e non fa bene al governo», ha detto Salvini. «E siccome di alcuni ministri non ho particolare stima né fiducia, ne parlerò con il manager, con l'amministratore delegato di questo governo. Prevenire è meglio che curare. Altrimenti puoi avere anche un genio come premier, ma se la macchina è fuori controllo non vai lontano. Se poi Repubblica o La 7 continuano ad agitare lo spauracchio fascista non fanno un buon servizio al Paese. L'Italia ha bisogno di unità, dobbiamo pacificare realmente questo Paese mettendo al centro il lavoro e non l'ideologia».
Sul tavolo dell'incontro tra Draghi e Salvini è finito anche il green pass obbligatorio da domani e la richiesta, diffusa anche nel governo, che i tamponi diventino gratuiti. Nei comunicati di Lega e Palazzo Chigi non se ne fa cenno. Ma la sfiducia di Salvini verso «alcuni ministri» non riguardava soltanto la gestione dell'ordine pubblico della Lamorgese, ma anche le rigidità di Roberto Speranza e Andrea Orlando sui luoghi di lavoro.
Ieri c'è stata una levata di scudi contro la domanda di tamponi gratis avanzata da Lega, 5 stelle, Fdi e tante categorie di lavoratori. Orlando è stato molto chiaro: «Se ci sono risorse da mettere in campo in questo momento, vanno utilizzate soprattutto per gestire gli effetti che la pandemia ancora produce», ha detto il ministro del Lavoro. Quindi, zero risorse per i tamponi. «Nessuna marcia indietro, nessuna deroga, nessun trattamento di favore», gli ha fatto eco il viceministro alle Infrastrutture, Teresa Bellanova (Italia viva). «Il green pass sui luoghi di lavoro è obbligatorio e da questa decisione, assunta a tutela di tutti i cittadini e con la piena deliberazione, responsabilità e consapevolezza delle forze politiche di governo, non si può derogare».
Nemmeno Andrea Costa, sottosegretario alla Salute (Noi con l'Italia), è disposto a un dietrofront. «Non c'è dubbio che stiamo chiedendo un sacrificio agli italiani e alle aziende», ha detto, «ma non possiamo permetterci passi indietro: questo sforzo ci permetterà di proseguire questo percorso positivo. È chiaro che con una misura così ci può essere qualche problematica e qualche criticità, ma siamo sicuri che sia la scelta giusta e opportuna». Altolà anche alla richiesta di tamponi gratis: «Li darei a chi si è vaccinato per permettergli un costante monitoraggio», è la sua idea. «La via maestra scelta dal governo per uscire dalla pandemia è il vaccino, non il tampone».
Diviso invece il fronte dei governatori. Massimiliano Fedriga (Lega), presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, auspica «che con il buon senso si possa arrivare a un equilibrio», altrimenti «rischiamo di fare un danno enorme, non soltanto all'economia della città ma anche a tutti quei lavoratori che con l'indotto del porto lavorano, e non solo nel porto». Per Fedriga la strada da intraprendere dovrebbe essere quella di «tamponi nasali meno fastidiosi e fai da te da effettuare con la supervisione responsabile d'ufficio». Di tutt'altro avviso Giovanni Toti (Coraggio Italia), governatore della Liguria: «Il principio di base che introduce il green pass nei luoghi di lavoro è quello di spingere i lavoratori a vaccinarsi, non a tamponarsi una volta ogni due giorni. Dopodiché, per ammorbidire i disagi che indubitabilmente ci saranno nelle prime ore, siamo a disposizione come sistema sanitario per dare tutti gli aiuti alle imprese di cui hanno bisogno».
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Il leghista stizzito («Non mi fido di alcuni ministri») vede il premier: «Riportiamo la concordia nel Paese». L'esecutivo chiude agli esami Covid a carico dello Stato. Divisi i presidenti di Regione del centrodestra«Verifica ad hoc» sul sistema solo poche ore prima che entri in vigore il decreto Gestori in trincea: «Prenotazioni piene». E si teme possano mancare gli antigeniciLo speciale contiene due articoliLa campagna di delegittimazione del centrodestra dopo gli scontri di sabato è arrivata al limite, occorre intervenire per placare i toni. È il messaggio portato ieri pomeriggio da Matteo Salvini a Palazzo Chigi in un incontro non programmato. La settimana scorsa il leader leghista aveva annunciato che avrebbe visto più spesso il premier, ma il faccia a faccia di ieri non rientrava in quel calendario. L'accelerazione è imposta dalle polemiche sulla destra fascista alla vigilia dei ballottaggi in città come Roma e Torino. «Chiederò al presidente Draghi di guidare un percorso di pacificazione nazionale», aveva detto Salvini durante la conferenza stampa del centrodestra a sostegno di Enrico Michetti. La sua è stata un'ambasciata anche a nome di Forza Italia e Fratelli d'Italia.L'incontro è durato un'ora. Una nota di Palazzo Chigi riferisce che si è discusso «dei provvedimenti economici di prossima emanazione, con particolare riferimento alla legge di bilancio e al decreto fiscale». Nessun cenno alle roventi polemiche sugli scontri di sabato. Che invece non mancano nel comunicato diffuso da parte leghista: il partito di Salvini fa sapere che sul tappeto c'erano sì «i prossimi provvedimenti economici», con la comune «intenzione di non aumentare le tasse». Ma si parla anche di un confronto sull'«attualità»: il segretario ha infatti rimarcato «l'esigenza di ritrovare al più presto un clima di unità e concordia nel Paese, a partire dalle forze politiche». La richiesta del centrodestra a Draghi è quella che si faccia promotore di una «pacificazione nazionale». Il premier dovrebbe invitare tutti i partiti della coalizione di governo «a tenere i toni bassi» e «intervenire per appellarsi alla responsabilità e frenare le campagne di delegittimazione che nelle ultime settimane sono state particolarmente feroci contro il centrodestra, a partire da Lega e Fratelli d'Italia». La preoccupazione di Salvini è altissima. «Ho chiesto un incontro a Draghi perché il Paese così non va lontano», ha detto nella conferenza stampa per Michetti prima di salire a Palazzo Chigi. «Il 30 ottobre Roma è sulle tv di tutto il mondo con il G20 e noi come ci presentiamo? Non possiamo fallire, però se non fermiamo un disadattato con il braccialetto elettronico io sono preoccupato».Il riferimento è a Luciana Lamorgese che non ha impedito a Giuliano Castellino, colpito da Daspo, di partecipare alla manifestazione di sabato degenerata nella devastazione della sede Cgil. «Tirare fuori gli scheletri dagli armadi non fa bene all'Italia e non fa bene al governo», ha detto Salvini. «E siccome di alcuni ministri non ho particolare stima né fiducia, ne parlerò con il manager, con l'amministratore delegato di questo governo. Prevenire è meglio che curare. Altrimenti puoi avere anche un genio come premier, ma se la macchina è fuori controllo non vai lontano. Se poi Repubblica o La 7 continuano ad agitare lo spauracchio fascista non fanno un buon servizio al Paese. L'Italia ha bisogno di unità, dobbiamo pacificare realmente questo Paese mettendo al centro il lavoro e non l'ideologia». Sul tavolo dell'incontro tra Draghi e Salvini è finito anche il green pass obbligatorio da domani e la richiesta, diffusa anche nel governo, che i tamponi diventino gratuiti. Nei comunicati di Lega e Palazzo Chigi non se ne fa cenno. Ma la sfiducia di Salvini verso «alcuni ministri» non riguardava soltanto la gestione dell'ordine pubblico della Lamorgese, ma anche le rigidità di Roberto Speranza e Andrea Orlando sui luoghi di lavoro. Ieri c'è stata una levata di scudi contro la domanda di tamponi gratis avanzata da Lega, 5 stelle, Fdi e tante categorie di lavoratori. Orlando è stato molto chiaro: «Se ci sono risorse da mettere in campo in questo momento, vanno utilizzate soprattutto per gestire gli effetti che la pandemia ancora produce», ha detto il ministro del Lavoro. Quindi, zero risorse per i tamponi. «Nessuna marcia indietro, nessuna deroga, nessun trattamento di favore», gli ha fatto eco il viceministro alle Infrastrutture, Teresa Bellanova (Italia viva). «Il green pass sui luoghi di lavoro è obbligatorio e da questa decisione, assunta a tutela di tutti i cittadini e con la piena deliberazione, responsabilità e consapevolezza delle forze politiche di governo, non si può derogare». Nemmeno Andrea Costa, sottosegretario alla Salute (Noi con l'Italia), è disposto a un dietrofront. «Non c'è dubbio che stiamo chiedendo un sacrificio agli italiani e alle aziende», ha detto, «ma non possiamo permetterci passi indietro: questo sforzo ci permetterà di proseguire questo percorso positivo. È chiaro che con una misura così ci può essere qualche problematica e qualche criticità, ma siamo sicuri che sia la scelta giusta e opportuna». Altolà anche alla richiesta di tamponi gratis: «Li darei a chi si è vaccinato per permettergli un costante monitoraggio», è la sua idea. «La via maestra scelta dal governo per uscire dalla pandemia è il vaccino, non il tampone».Diviso invece il fronte dei governatori. Massimiliano Fedriga (Lega), presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, auspica «che con il buon senso si possa arrivare a un equilibrio», altrimenti «rischiamo di fare un danno enorme, non soltanto all'economia della città ma anche a tutti quei lavoratori che con l'indotto del porto lavorano, e non solo nel porto». Per Fedriga la strada da intraprendere dovrebbe essere quella di «tamponi nasali meno fastidiosi e fai da te da effettuare con la supervisione responsabile d'ufficio». Di tutt'altro avviso Giovanni Toti (Coraggio Italia), governatore della Liguria: «Il principio di base che introduce il green pass nei luoghi di lavoro è quello di spingere i lavoratori a vaccinarsi, non a tamponarsi una volta ogni due giorni. Dopodiché, per ammorbidire i disagi che indubitabilmente ci saranno nelle prime ore, siamo a disposizione come sistema sanitario per dare tutti gli aiuti alle imprese di cui hanno bisogno». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/muro-politico-contro-i-tamponi-gratis-salvini-a-draghi-faccia-da-paciere-2655293076.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="particle-1" data-post-id="2655293076" data-published-at="1634165618" data-use-pagination="False"> A 24 ore dell'entrata in vigore dell'obbligo di green pass per entrare nei luoghi di lavoro, il governo annuncia che sarà fatta una «verifica ad hoc» per capire se le farmacie saranno in condizione di reggere una massiccia campagna di tamponi come quella che si preannuncia. Considerato da quanto si sapeva della scadenza, siamo di fronte a un tempismo veramente perfetto. Perfetto per aumentare i tanti problemi, già annunciati da lavoratori e imprenditori. Non ci si poteva pensare prima? E se si dovesse accertare che no, il sistema non può reggere lo screening di massa, che contromisure si prendono? Quello dei test, in effetti, diventa ora il vero nodo, poiché alcune farmacie già hanno prenotazioni fino a dicembre. Tanto che, da Bologna a molte altre città d'Italia, non se ne prendono oltre i 30 giorni, mentre a Napoli c'è già stata un'impennata di richieste. Potrebbero essere circa 2,5 milioni i lavoratori che in Italia non si sono vaccinati. E che, da domani, per tornare al lavoro dovranno effettuare un tampone. Se si ricorrerà ai test antigenici rapidi - che valgono per 48 ore - ne serviranno anche tre a settimana e quindi, a regime, si arriverebbe a eseguirne fino a 7,5 milioni, in pratica oltre un milione al giorno. Una domanda enorme, che difficilmente la rete di farmacie e laboratori riuscirebbe a soddisfare anche se, come si legge sul sito di Federfarma, i farmacisti si dicono pronti. «La domanda è aumentata, le farmacie si stanno organizzando per far fronte alle richieste», dice infatti il presidente Marco Cossolo. «Le farmacie si sono rese disponibili a effettuare i tamponi fin dall'inizio dell'emergenza sanitaria da Covid-19, anche prima della norma che ne stabilisse un prezzo calmierato. Al protocollo di intesa hanno aderito 7.500 farmacie su 9.000 e in questi giorni sono prevedibili ulteriori adesioni». Intanto, nelle località dove le agende delle farmacie sono già piene di appuntamenti fino a fine anno, molte persone tentano di ammassarsi nelle prime fasce orarie della giornata, prima di recarsi al lavoro. Anche da Riccardo Maria Iorio, presidente di Federfarma Napoli, arrivano rassicurazioni sull'onda d'urto dei test. In particolare, sull'ipotesi, paventata in questi giorni, che possano scarseggiare addirittura le «materie prime» per le diagnosi, cioè i test antigenici. «Sento parlare», ha detto Iorio, «di allarmi per mancanza di tamponi: posso rassicurare i cittadini napoletani che nelle farmacie aderenti non troveranno alcuna difficoltà nella somministrazione dei tamponi». Le farmacie si stanno preparando allungando gli orari di servizio e allestendo nuovi spazi, e in alcune realtà dei centri più piccoli, offriranno il servizio anche durante gli orari di chiusura. Ma, appunto, considerato il grande numero di tamponi sia antigenici sia molecolari, la macchina, nel suo complesso, potrebbe non essere in grado di farcela. E allora sorgerà un altro problema.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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