L’Organizzazione mondiale della sanità è al lavoro. Sarebbe già una notizia, visto quanto ci ha messo per scoprire la pericolosità del Covid. È al lavoro sì, ma per cambiare nome al vaiolo delle scimmie. Gli esperti internazionali guidati da Tedros Adhanom Ghebreyesus non sanno ancora come fermare il contagio e se i 900 casi finora registrati nel mondo costituiscano un’emergenza internazionale oppure no. Ma una certezza ce l’hanno: il virus deve cambiare nome. La nomenclatura delle infezioni è un tema di assoluta importanza. Parlare di scimmie porta a pensare all’Africa. E il vaiolo delle scimmie getta un’ombra di vergogna sul continente nero, uno stigma che dev’essere cancellato. Di conseguenza, secondo quanto comunicato dal direttore generale dell’Oms, c’è «l’urgente bisogno» di trovare un nome che non sia discriminatorio.
Ci vorrà un mese per decidere il nuovo appellativo: la scelta sarà fatta nella prossima riunione del Comitato di emergenza dell’Organizzazione, convocato per il 23 giugno. «Stiamo lavorando a una soluzione con partner ed esperti di tutto il mondo», fa sapere Tedros. Ma fino ad allora si potrà continuare a chiamarlo vaiolo delle scimmie o di non so chi? I babbuini di Città del Capo che si divertono a saltare addosso ai turisti in gita continueranno a offendersi? I mandrilli del Congo tireranno un sospiro di sollievo? E sarà finalmente fatta giustizia per i macachi del Giappone, da mesi trattati da untori senza motivo al pari dei loro cugini africani?
Per non parlare dei virus del vaiolo, un nome che ancora incute terrore al solo evocarlo per l’incalcolabile numero di morti provocati nei secoli. La stessa Oms che ora vuole cambiare nome al «monkeypox» aveva dichiarato eradicata questa malattia nel 1979. L’ultimo caso era stato diagnosticato in Somalia nel 1977, cioè 45 anni fa. Due generazioni or sono. Dopo massicce campagne di vaccinazione, gli immunologi si sono fatti un vanto di averlo cancellato, la prima malattia completamente eradicata nella storia dell’umanità. E adesso, d’improvviso, una variante di quella infezione torna fuori impunemente. Molto meglio cambiarle nome, così il vaiolo resterà sepolto come un capitolo chiuso nella storia della medicina.
La decisione annunciata da Tedros arriva dopo l’appello di 30 scienziati che la scorsa settimana avevano segnalato l’ingiusta discriminazione dei confronti del continente africano, tanto più che è ancora ignota l’origine geografica dell’epidemia. E qui l’Oms non fa una gran figura, perché le scimmie sono diffuse in tutti i continenti, Europa compresa, se consideriamo le simpatiche bertucce di Gibilterra. Ma all’Organizzazione mondiale della sanità s’intendono di animali come di virus, e sarà meglio togliere ogni dubbio: con una nuova sigla, magari non troppo astrusa, nessuno più sarà terrorizzato al pensiero che il vaiolo sia riapparso o che le scimmie siano parenti lontane dei pipistrelli di Wuhan. È la stessa cosa fatta con il Covid: guai a chiamarlo virus cinese per evitare che le colpe del Dragone venissero enfatizzate. Un bel colpo di spugna cancella tante preoccupazioni.
Naturalmente non poteva mancare il commento dei virologi nostrani, che si aggrappano al «monkeypox» per riguadagnare qualche ora di visibilità dopo che il regresso del Covid li sta ricacciando poco alla volta nell’ombra. Roberto Burioni ha fatto un tweet dai toni sarcastici: «Dopo avere risolto questa intollerabile ingiustizia nei confronti delle scimmie», ha scritto il professore del San Raffaele, «sono certo che l’Oms si occuperà del nome del virus della varicella che in inglese si chiama “chickenpox”, ovvero “vaiolo dei polli”. Poi ci lamentiamo che la gente non si fida». Matteo Bassetti, invece, difende Tedros: «Il nome “vaiolo delle scimmie” è discriminante nei confronti dell’Africa», conferma il direttore della clinica di malattie infettive al policlinico San Martino di Genova. «Inoltre le scimmie c’entrano pochissimo con quello che sta succedendo». Brava Oms, sette più.
L’immunologo Sergio Abrignani, del Comitato tecnico scientifico, non ha dubbi: «È improbabile che il ceppo possa bucare la protezione». Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, usa un altro giro di parole: «La nuova variante non saprà sfuggire al vaccino». Se il Covid formato Sudafrica, insomma, non buca né sfugge all’antidoto, l’allarme che si sta creando per la nuova variante Omicron non ha motivo di esistere. Anche i medici sudafricani confermano che i sintomi provocati dalla mutazione del virus sono lievi e non portano ad accrescere né il numero di ricoverati né quello dei morti.
La dottoressa Angelique Coetzee, la ricercatrice sudafricana che per prima ha isolato il nuovo ceppo virale, conferma quello che nel mondo scientifico è ormai una certezza: «Non allarmatevi», ha detto ieri in un’intervista a Repubblica, «i sintomi sono molto lievi. La variante si manifesta con stanchezza, mal di testa, prurito in gola, leggero raffreddore. Finora non abbiamo registrato nessun caso grave, la contagiosità della Omicron sembra simile alla Delta». E poi l’accusa contro l’Occidente: «È stata un’esagerazione isolarci dal mondo». Anche il ministero degli Esteri del Sudafrica ha definito «abbastanza deplorevole, molto spiacevole e direi anche triste» la pioggia di limitazioni alle frontiere. «Avrei capito la chiusura e la paura se avessimo assistito all’esplosione di effetti gravi, ma non li abbiamo visti», specifica la dottoressa Coetzee. «Nessuno dei pazienti infettati dalla Omicron è stato mai ricoverato. Non dovete farvi prendere dal panico. Se avvertite i sintomi descritti per più di due giorni, fatevi il test. Vaccinatevi, indossate la mascherina e non state in posti affollati». Nessuna novità, sono le raccomandazioni che ci inseguono ormai da quasi due anni.
Molto rumore per nulla, dunque? Non proprio. Perché il Regno Unito ha convocato un vertice G7 dei ministri della Salute, incluso Roberto Speranza, per esaminare l’andamento dei contagi da variante Omicron. «L’Italia da sola non basta, l’azione comune, a livello europeo e mondiale, è irrinunciabile», ha spiegato il nostro rappresentante. E il messaggio arrivato dal G7 è di panico. «La variante è molto contagiosa», hanno detto i ministri, che pure hanno elogiato il «lavoro esemplare» del Sudafrica che ha rilevato il ceppo e l’ha comunicato subito. «La comunità globale si trova, a una prima valutazione, di fronte alla minaccia di una nuova variante di Covid molto contagiosa, che richiede un’azione urgente», si legge in una nota. Anche Anthony Fauci, consigliere della Casa Bianca per la pandemia, ha incontrato, allarmato, il presidente Joe Biden per preparare gli Stati Uniti al rischio dell’ennesima ondata di contagi.
Da noi lo spettro della mutazione viene agitato come una minaccia gravissima per spingere ancora gli indecisi verso la vaccinazione. E per preparare il terreno alla prossima forzatura, cioè il prolungamento dello stato d’emergenza in Italia che dura già da due anni e, secondo la legge, sarebbe al capolinea. Ma il governo vuole forzare le normative. C’è da chiedersi il perché di tanta agitazione, scoppiata improvvisamente quando la variante circolava già da un pezzo. Remuzzi ha detto che «il più bravo virologo del Sudafrica è al lavoro su questo virus dall’11 novembre»: sono passati 20 giorni. La dottoressa Coetzee svela di avere individuato la Omicron il 18 novembre. Perché il bubbone è scoppiato il 25? I maliziosi collegano l’affaire alla richiesta, inoltrata a Pfizer il 24, di sospendere le consegne delle dosi, perché ce n’erano già troppe in deposito.
L’agitazione di Speranza, comunque, non trova riscontro nei numeri delle autorità internazionali. L’Organizzazione mondiale della sanità ha fatto sapere che al momento «non sono stati confermati decessi riconducibili alla variante Omicron», che pure è stata classificata come «oggetto di preoccupazione» perché «il rischio globale complessivo è valutato come molto elevato». In Europa, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) conferma 33 casi in otto Paesi del Vecchio continente, nessuno dei quali ha reso necessario il ricovero ospedaliero. Eppure bastano pochi contagi per scatenare il panico, come è successo in Portogallo dove nella squadra di calcio del Belenenses nove giocatori sono risultati positivi: nonostante sia il Paese più vaccinato d’Europa (87% della popolazione, 100% degli over 65), il premier Antonio Costa ha disposto il ritorno dello stato di calamità da domani con 3.300 nuovi casi e 12 decessi.
Il ministero della Salute di Pretoria ha comunicato ieri che domenica i morti da Covid sono stati soltanto 6 con 2.273 nuovi casi nelle 24 ore, in calo rispetto ai 3.200 di venerdì 26 novembre e ai 2.858 di sabato 27. Il Sudafrica ha 56 milioni di abitanti (poco meno dell’Italia); ha registrato quasi 3 milioni di contagiati con 2,8 milioni di ricoveri e circa 90.000 morti. Dai dati ufficiali non si evince quanti dei nuovi casi di positività siano imputabili alla variante Omicron. L’andamento generale, comunque, non lascia dubbi: non c’è progressione nel contagio. E tutto sommato non sembra neppure che il vaccino faccia tutta questa differenza. Le dosi finora somministrate nella punta meridionale dell’Africa sono 25,3 milioni (95,5 milioni in Italia) e le persone attualmente positive sfiorano le 24.000. È la fotografia di una situazione molto meno allarmante che da noi. Eppure il Paese viene additato come la nuova minaccia che incombe sul pianeta.
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La campagna di delegittimazione del centrodestra dopo gli scontri di sabato è arrivata al limite, occorre intervenire per placare i toni. È il messaggio portato ieri pomeriggio da Matteo Salvini a Palazzo Chigi in un incontro non programmato. La settimana scorsa il leader leghista aveva annunciato che avrebbe visto più spesso il premier, ma il faccia a faccia di ieri non rientrava in quel calendario. L'accelerazione è imposta dalle polemiche sulla destra fascista alla vigilia dei ballottaggi in città come Roma e Torino. «Chiederò al presidente Draghi di guidare un percorso di pacificazione nazionale», aveva detto Salvini durante la conferenza stampa del centrodestra a sostegno di Enrico Michetti. La sua è stata un'ambasciata anche a nome di Forza Italia e Fratelli d'Italia.
L'incontro è durato un'ora. Una nota di Palazzo Chigi riferisce che si è discusso «dei provvedimenti economici di prossima emanazione, con particolare riferimento alla legge di bilancio e al decreto fiscale». Nessun cenno alle roventi polemiche sugli scontri di sabato. Che invece non mancano nel comunicato diffuso da parte leghista: il partito di Salvini fa sapere che sul tappeto c'erano sì «i prossimi provvedimenti economici», con la comune «intenzione di non aumentare le tasse». Ma si parla anche di un confronto sull'«attualità»: il segretario ha infatti rimarcato «l'esigenza di ritrovare al più presto un clima di unità e concordia nel Paese, a partire dalle forze politiche».
La richiesta del centrodestra a Draghi è quella che si faccia promotore di una «pacificazione nazionale». Il premier dovrebbe invitare tutti i partiti della coalizione di governo «a tenere i toni bassi» e «intervenire per appellarsi alla responsabilità e frenare le campagne di delegittimazione che nelle ultime settimane sono state particolarmente feroci contro il centrodestra, a partire da Lega e Fratelli d'Italia». La preoccupazione di Salvini è altissima. «Ho chiesto un incontro a Draghi perché il Paese così non va lontano», ha detto nella conferenza stampa per Michetti prima di salire a Palazzo Chigi. «Il 30 ottobre Roma è sulle tv di tutto il mondo con il G20 e noi come ci presentiamo? Non possiamo fallire, però se non fermiamo un disadattato con il braccialetto elettronico io sono preoccupato».
Il riferimento è a Luciana Lamorgese che non ha impedito a Giuliano Castellino, colpito da Daspo, di partecipare alla manifestazione di sabato degenerata nella devastazione della sede Cgil. «Tirare fuori gli scheletri dagli armadi non fa bene all'Italia e non fa bene al governo», ha detto Salvini. «E siccome di alcuni ministri non ho particolare stima né fiducia, ne parlerò con il manager, con l'amministratore delegato di questo governo. Prevenire è meglio che curare. Altrimenti puoi avere anche un genio come premier, ma se la macchina è fuori controllo non vai lontano. Se poi Repubblica o La 7 continuano ad agitare lo spauracchio fascista non fanno un buon servizio al Paese. L'Italia ha bisogno di unità, dobbiamo pacificare realmente questo Paese mettendo al centro il lavoro e non l'ideologia».
Sul tavolo dell'incontro tra Draghi e Salvini è finito anche il green pass obbligatorio da domani e la richiesta, diffusa anche nel governo, che i tamponi diventino gratuiti. Nei comunicati di Lega e Palazzo Chigi non se ne fa cenno. Ma la sfiducia di Salvini verso «alcuni ministri» non riguardava soltanto la gestione dell'ordine pubblico della Lamorgese, ma anche le rigidità di Roberto Speranza e Andrea Orlando sui luoghi di lavoro.
Ieri c'è stata una levata di scudi contro la domanda di tamponi gratis avanzata da Lega, 5 stelle, Fdi e tante categorie di lavoratori. Orlando è stato molto chiaro: «Se ci sono risorse da mettere in campo in questo momento, vanno utilizzate soprattutto per gestire gli effetti che la pandemia ancora produce», ha detto il ministro del Lavoro. Quindi, zero risorse per i tamponi. «Nessuna marcia indietro, nessuna deroga, nessun trattamento di favore», gli ha fatto eco il viceministro alle Infrastrutture, Teresa Bellanova (Italia viva). «Il green pass sui luoghi di lavoro è obbligatorio e da questa decisione, assunta a tutela di tutti i cittadini e con la piena deliberazione, responsabilità e consapevolezza delle forze politiche di governo, non si può derogare».
Nemmeno Andrea Costa, sottosegretario alla Salute (Noi con l'Italia), è disposto a un dietrofront. «Non c'è dubbio che stiamo chiedendo un sacrificio agli italiani e alle aziende», ha detto, «ma non possiamo permetterci passi indietro: questo sforzo ci permetterà di proseguire questo percorso positivo. È chiaro che con una misura così ci può essere qualche problematica e qualche criticità, ma siamo sicuri che sia la scelta giusta e opportuna». Altolà anche alla richiesta di tamponi gratis: «Li darei a chi si è vaccinato per permettergli un costante monitoraggio», è la sua idea. «La via maestra scelta dal governo per uscire dalla pandemia è il vaccino, non il tampone».
Diviso invece il fronte dei governatori. Massimiliano Fedriga (Lega), presidente del Friuli Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, auspica «che con il buon senso si possa arrivare a un equilibrio», altrimenti «rischiamo di fare un danno enorme, non soltanto all'economia della città ma anche a tutti quei lavoratori che con l'indotto del porto lavorano, e non solo nel porto». Per Fedriga la strada da intraprendere dovrebbe essere quella di «tamponi nasali meno fastidiosi e fai da te da effettuare con la supervisione responsabile d'ufficio». Di tutt'altro avviso Giovanni Toti (Coraggio Italia), governatore della Liguria: «Il principio di base che introduce il green pass nei luoghi di lavoro è quello di spingere i lavoratori a vaccinarsi, non a tamponarsi una volta ogni due giorni. Dopodiché, per ammorbidire i disagi che indubitabilmente ci saranno nelle prime ore, siamo a disposizione come sistema sanitario per dare tutti gli aiuti alle imprese di cui hanno bisogno».




