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2024-08-07
Da quando non comanda la sinistra Mps macina utili e assicura dividendi
Pioggia di acquisti sul Montepaschi dopo la semestrale diffusa prima dell’avvio degli scambi a Piazza Affari. I conti sono caratterizzati dall’aumento delle stime rispetto alle previsioni degli analisti e del dividendo che proiettano il titolo in vetta al listino di giornata.
Le azioni della banca senese entrano in contrattazione in ritardo per poi arrivare a guadagnare oltre il 9%, con un massimo toccato a 4,814 euro, recuperando così parte delle perdite subìte in questi giorni di vendite furiose sui mercati di tutto il mondo. Il bilancio finale della seduta resta largamente positivo con il prezzo stabilizzato intorno a 4,7 euro con un rialzo dell’8,7%. Resta anche molto buono il bilancio del titolo in questo 2024, con una crescita pari al 46% rispetto ai livelli di inizio gennaio, quando viaggiava a 3,23 euro.
Un rialzo frutto del costante miglioramento della gestione culminato con un utile a metà anno di 1.159 milioni +87,3% sullo stesso periodo del 2023, di cui 827 milioni nel solo secondo trimestre. I risultati scontano minori tasse per 457 milioni come recupero delle perdite degli anni precedenti. I ricavi sono stati pari a 2.031 milioni di euro, in crescita del 9,7% rispetto allo stesso periodo 2023, e un margine d’interesse come differenza fra tassi attivi e passivi di 1.172 milioni, salito dell’8,3% (+89,4 milioni). Bene anche le commissioni nette, incrementate del 9,8% a 736 milioni.
Annunciato anche l’aumento del dividendo visto che, a fine anno verrà distribuito il 75% dell’utile contro il 50% precedente. Vuol dire distribuire 950 milioni di dividendi, 250 dei quali destinati allo Stato, se sarà ancora azionista l'anno prossimo. mantenendo fermo l’attuale livello di remunerazione tra il 2025 e il 2028 arriverebbero altri 4,1 miliardi.
Una buona notizia per il ministro Giorgetti visto che il Mef detiene ancora il 26,7% del capitale. In queste condizioni le scelte per il futuro diventeranno meno affannose. Il governo potrà decidere se vendere, come chiede Bruxelles, oppure cercare una combinazione diversa. Magari tenendo un presidio azionario per garantire l’ancoraggio territoriale della banca. In «pole position» per chiudere l’operazione c’è sempre Unipol attraverso Bper. Al momento si tratta solo di indiscrezioni che il gruppo assicurativo bolognese ha sempre smentito. Per venerdì è prevista la presentazione del semestre di Unipol. Difficilmente il presidente Carlo Cimbri, potrà sottrarsi alle domande di analisti e giornalisti.
Nel frattempo Giorgetti e la Meloni potranno godersi l’avvenuto risanamento di un gruppo che tre anni fa sembrava sul viale del tramonto ponendo termine a sei secoli di storia.
Ora invece Mps si trova ai vertici del sistema creditizio con un indice di solidità patrimoniale al 18%. La barca piena di buchi dopo anni di dissennata gestione dei partiti di sinistra a cominciare dal vecchio Pci è oggi una delle realtà più solide e capitalizzate del Paese. Chi l’avrebbe mai detto? L’aggiornamento del piano industriale indica una crescita costante con un con utile lordo di 1,4 miliardi di euro al 2026 e 1,7 miliardi al 2028. Sono anche previste 800 assunzioni. Oggi Mps è ricco a tal punto da poter pensare anche a possibili acquisizioni avendo due miliardi di capitale in eccesso.
«Abbiamo molte opportunità che cercheremo di cogliere, nell’interesse dei nostri azionisti», ha detto il ceo Luigi Lovaglio rispondendo alle numerose domande degli analisti al riguardo durante l’incontro con la comunità finanziaria.
«Siccome abbiamo molto capitale in eccesso saremo pronti a cogliere opportunità per allargare gli introiti da commissioni», ha evidenziato ancora l’ad. Alla domanda se, tra le varie ipotesi, c’è anche un programma di riacquisto di azioni proprie (buyback) per sostenere le quotazioni del titolo e investire la liquidità, Lovaglio ha risposto: «Noi ora siamo una banca normale. Nel momento in cui si ha un importante livello di capitale in eccesso, se ci sono opportunità che si presentano preferiamo coglierle per crescere sul mercato».
Circa l’eventuale riacquisto della quota del gruppo assicurativo francese Axa nella società di bancassicurazione, Lovaglio ha risposto: «Nel nuovo piano al 2028 noi abbiamo messo tutto ciò che dipende da noi. Però», ha aggiunto, «qualora ci fosse l’opportunità di incorporare la joint venture questo potrebbe avere un impatto positivo sul nostro piano, ma non lo consideriamo in questo momento». Ovviamente l’arrivo di Unipo potrebbe cambiare le carte.
Riguardo, infine, all’eventualità che Mps possa tornare a considerare una partnership con Anima (di cui in passato deteneva una quota del 10%, poi ceduta a Poste Italiane), Lovaglio ha replicato: «Il piano è basato più sulla parte commerciale. Siamo concentrati sul servizio alla clientela. Poi, come dicevo, se ci sono opportunità le coglieremo».
In attesa di Fed e Bce le Borse «ballano»: Piazza Affari in rosso
Tentativi di rimbalzo, più o meno riusciti, dopo il crollo delle borse di lunedì. Dopo il -12,4% dell’altro ieri, il peggior dato giornaliero dal 1987, il Nikkei giapponese ha chiuso in rialzo del 10,2%. Parigi, dopo aver perso l’1,61% lunedì, ha subito un’ulteriore contrazione del -0,27%, mentre Francoforte supera di poco la cifra tonda con un +0,09% (da -1,73%). Il risultato migliore in Europa lo fa Londra, con un +0,23% (dal -2,05% di lunedì), mentre il dato peggiore è ancora una volta quello di Piazza Affari, che chiude in negativo dello 0,6% (da notare, però, il +8,69% di Mps in seguito alla divulgazione dei dati del primo semestre e all’approvazione del nuovo piano industriale).
Il Vix, «l’indice della paura» che misura la volatilità attesa a 30 giorni del S&P500, il principale indice azionario americano, dopo il picco di 65,7 è apparso in discesa. Già lunedì, alla chiusura di Wall Street, si era attestato intorno a 38,57, ma ieri - fino alla chiusura delle borse italiane - è rimasto stabilmente al di sotto dei 30, avvicinandosi ai livelli della fine di settimana scorsa (poco più di 20). Segno che forse, almeno in parte, si sono ridimensionate le preoccupazioni, o quantomeno si prevede un intervento deciso delle banche centrali.
Tra le cause identificate dagli analisti per il crollo di ieri, iniziato con un tonfo storico della borsa di Tokyo, figura l’apprezzamento dello yen registrato in seguito alla stretta monetaria decisa dalla Banca centrale giapponese. A rinforzare i timori dei mercati, sono poi subentrati i dati al di sotto delle aspettative sull’occupazione negli Stati Uniti e le semestrali deludenti dei colossi della tecnologia (Google, Apple e Tesla su tutte). A questi fattori, naturalmente, vanno sommate le preoccupazioni per un eventuale allargamento del conflitto in Medio Oriente, visto che l’attacco dell’Iran a Israele - in risposta al raid israeliano a Teheran che ha ucciso il leader di Hamas, Ismail Haniyeh - è considerato imminente, oltre che inevitabile.
Pertanto, i timori di una recessione globale sono forti. Motivo per cui tutti invocano l’intervento della Fed e della Bce. A Wall Street, dopo il crollo di lunedì, tutti accusano la Banca centrale statunitense di aver ignorato i segnali di debolezza già presenti e di aver sbagliato a non tagliare i tassi settimana scorsa. La prossima riunione sarà tra oltre un mese, il 17-18 settembre, data in cui - a meno di convocazioni di emergenza, che tuttavia indicherebbero un preoccupante aggravamento della situazione - sarà annunciato l’allentamento, che ora però è atteso dello 0,5% e non del 0,25%. D’altra parte, un ulteriore peggioramento dell’economia a così breve distanza dalle elezioni non farebbe altro che favorire l’ascesa di Donald Trump, visto anche il tentennamento dimostrato da Kamala Harris nel rispondere alle domande su questioni come l’inflazione.
Per quanto riguarda i Paesi europei, la prossima riunione della Bce è prevista per il 12 settembre, quindi prima che vengano ufficializzate le decisioni della Fed. Tuttavia, essendo ormai dato per certo il taglio nell’altra sponda dell’Atlantico, vengono meno anche i timori di Christine Lagarde sul fatto di agire per prima. Infatti, tra le motivazioni addotte per il rinvio dell’allentamento monetario, condivisibili o meno, vi era la paura che un’eventuale azione unilaterale potesse portare a un deprezzamento dell’euro e conseguentemente a importare inflazione. Considerando lo stato della prima economia europea, la Germania, non sarebbe neanche poi così male, ma la Bce, a differenza della Fed, ha come mandato primario la stabilità dei prezzi, lasciando in secondo piano le ragioni dell’occupazione.
Al momento la tempesta pare si sia calmata, ma con ogni probabilità (a meno, come detto, di tagli d’emergenza, su cui alcuni scommettono) occorrerà attendere settembre per gli interventi di politica monetaria. Fino ad allora, dunque, è lecito aspettarsi una certa volatilità dei mercati (al netto dell’imprevedibilità degli scenari geopolitici), nella speranza che non sarà troppo tardi per evitare la recessione.
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Missione compiuta per l’esecutivo: i profitti di Siena a metà anno crescono dell’87%. Aumenteranno le cedole (il Tesoro ha il 26%) e il titolo guadagna il 9%. Ora è possibile parlare di acquisizioni, ma attenzione a Unipol.Borse: Tokyo rimbalza e cala l’indice Vix della paura. Prevista volatilità fino alle riunioni sui tassi di metà settembre.Lo speciale contiene due articoli.Pioggia di acquisti sul Montepaschi dopo la semestrale diffusa prima dell’avvio degli scambi a Piazza Affari. I conti sono caratterizzati dall’aumento delle stime rispetto alle previsioni degli analisti e del dividendo che proiettano il titolo in vetta al listino di giornata. Le azioni della banca senese entrano in contrattazione in ritardo per poi arrivare a guadagnare oltre il 9%, con un massimo toccato a 4,814 euro, recuperando così parte delle perdite subìte in questi giorni di vendite furiose sui mercati di tutto il mondo. Il bilancio finale della seduta resta largamente positivo con il prezzo stabilizzato intorno a 4,7 euro con un rialzo dell’8,7%. Resta anche molto buono il bilancio del titolo in questo 2024, con una crescita pari al 46% rispetto ai livelli di inizio gennaio, quando viaggiava a 3,23 euro.Un rialzo frutto del costante miglioramento della gestione culminato con un utile a metà anno di 1.159 milioni +87,3% sullo stesso periodo del 2023, di cui 827 milioni nel solo secondo trimestre. I risultati scontano minori tasse per 457 milioni come recupero delle perdite degli anni precedenti. I ricavi sono stati pari a 2.031 milioni di euro, in crescita del 9,7% rispetto allo stesso periodo 2023, e un margine d’interesse come differenza fra tassi attivi e passivi di 1.172 milioni, salito dell’8,3% (+89,4 milioni). Bene anche le commissioni nette, incrementate del 9,8% a 736 milioni. Annunciato anche l’aumento del dividendo visto che, a fine anno verrà distribuito il 75% dell’utile contro il 50% precedente. Vuol dire distribuire 950 milioni di dividendi, 250 dei quali destinati allo Stato, se sarà ancora azionista l'anno prossimo. mantenendo fermo l’attuale livello di remunerazione tra il 2025 e il 2028 arriverebbero altri 4,1 miliardi. Una buona notizia per il ministro Giorgetti visto che il Mef detiene ancora il 26,7% del capitale. In queste condizioni le scelte per il futuro diventeranno meno affannose. Il governo potrà decidere se vendere, come chiede Bruxelles, oppure cercare una combinazione diversa. Magari tenendo un presidio azionario per garantire l’ancoraggio territoriale della banca. In «pole position» per chiudere l’operazione c’è sempre Unipol attraverso Bper. Al momento si tratta solo di indiscrezioni che il gruppo assicurativo bolognese ha sempre smentito. Per venerdì è prevista la presentazione del semestre di Unipol. Difficilmente il presidente Carlo Cimbri, potrà sottrarsi alle domande di analisti e giornalisti.Nel frattempo Giorgetti e la Meloni potranno godersi l’avvenuto risanamento di un gruppo che tre anni fa sembrava sul viale del tramonto ponendo termine a sei secoli di storia. Ora invece Mps si trova ai vertici del sistema creditizio con un indice di solidità patrimoniale al 18%. La barca piena di buchi dopo anni di dissennata gestione dei partiti di sinistra a cominciare dal vecchio Pci è oggi una delle realtà più solide e capitalizzate del Paese. Chi l’avrebbe mai detto? L’aggiornamento del piano industriale indica una crescita costante con un con utile lordo di 1,4 miliardi di euro al 2026 e 1,7 miliardi al 2028. Sono anche previste 800 assunzioni. Oggi Mps è ricco a tal punto da poter pensare anche a possibili acquisizioni avendo due miliardi di capitale in eccesso. «Abbiamo molte opportunità che cercheremo di cogliere, nell’interesse dei nostri azionisti», ha detto il ceo Luigi Lovaglio rispondendo alle numerose domande degli analisti al riguardo durante l’incontro con la comunità finanziaria. «Siccome abbiamo molto capitale in eccesso saremo pronti a cogliere opportunità per allargare gli introiti da commissioni», ha evidenziato ancora l’ad. Alla domanda se, tra le varie ipotesi, c’è anche un programma di riacquisto di azioni proprie (buyback) per sostenere le quotazioni del titolo e investire la liquidità, Lovaglio ha risposto: «Noi ora siamo una banca normale. Nel momento in cui si ha un importante livello di capitale in eccesso, se ci sono opportunità che si presentano preferiamo coglierle per crescere sul mercato». Circa l’eventuale riacquisto della quota del gruppo assicurativo francese Axa nella società di bancassicurazione, Lovaglio ha risposto: «Nel nuovo piano al 2028 noi abbiamo messo tutto ciò che dipende da noi. Però», ha aggiunto, «qualora ci fosse l’opportunità di incorporare la joint venture questo potrebbe avere un impatto positivo sul nostro piano, ma non lo consideriamo in questo momento». Ovviamente l’arrivo di Unipo potrebbe cambiare le carte. Riguardo, infine, all’eventualità che Mps possa tornare a considerare una partnership con Anima (di cui in passato deteneva una quota del 10%, poi ceduta a Poste Italiane), Lovaglio ha replicato: «Il piano è basato più sulla parte commerciale. Siamo concentrati sul servizio alla clientela. Poi, come dicevo, se ci sono opportunità le coglieremo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/mps-macina-utili-assicura-dividendi-2668908240.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-attesa-di-fed-e-bce-le-borse-ballano-piazza-affari-in-rosso" data-post-id="2668908240" data-published-at="1723009130" data-use-pagination="False"> In attesa di Fed e Bce le Borse «ballano»: Piazza Affari in rosso Tentativi di rimbalzo, più o meno riusciti, dopo il crollo delle borse di lunedì. Dopo il -12,4% dell’altro ieri, il peggior dato giornaliero dal 1987, il Nikkei giapponese ha chiuso in rialzo del 10,2%. Parigi, dopo aver perso l’1,61% lunedì, ha subito un’ulteriore contrazione del -0,27%, mentre Francoforte supera di poco la cifra tonda con un +0,09% (da -1,73%). Il risultato migliore in Europa lo fa Londra, con un +0,23% (dal -2,05% di lunedì), mentre il dato peggiore è ancora una volta quello di Piazza Affari, che chiude in negativo dello 0,6% (da notare, però, il +8,69% di Mps in seguito alla divulgazione dei dati del primo semestre e all’approvazione del nuovo piano industriale). Il Vix, «l’indice della paura» che misura la volatilità attesa a 30 giorni del S&P500, il principale indice azionario americano, dopo il picco di 65,7 è apparso in discesa. Già lunedì, alla chiusura di Wall Street, si era attestato intorno a 38,57, ma ieri - fino alla chiusura delle borse italiane - è rimasto stabilmente al di sotto dei 30, avvicinandosi ai livelli della fine di settimana scorsa (poco più di 20). Segno che forse, almeno in parte, si sono ridimensionate le preoccupazioni, o quantomeno si prevede un intervento deciso delle banche centrali. Tra le cause identificate dagli analisti per il crollo di ieri, iniziato con un tonfo storico della borsa di Tokyo, figura l’apprezzamento dello yen registrato in seguito alla stretta monetaria decisa dalla Banca centrale giapponese. A rinforzare i timori dei mercati, sono poi subentrati i dati al di sotto delle aspettative sull’occupazione negli Stati Uniti e le semestrali deludenti dei colossi della tecnologia (Google, Apple e Tesla su tutte). A questi fattori, naturalmente, vanno sommate le preoccupazioni per un eventuale allargamento del conflitto in Medio Oriente, visto che l’attacco dell’Iran a Israele - in risposta al raid israeliano a Teheran che ha ucciso il leader di Hamas, Ismail Haniyeh - è considerato imminente, oltre che inevitabile. Pertanto, i timori di una recessione globale sono forti. Motivo per cui tutti invocano l’intervento della Fed e della Bce. A Wall Street, dopo il crollo di lunedì, tutti accusano la Banca centrale statunitense di aver ignorato i segnali di debolezza già presenti e di aver sbagliato a non tagliare i tassi settimana scorsa. La prossima riunione sarà tra oltre un mese, il 17-18 settembre, data in cui - a meno di convocazioni di emergenza, che tuttavia indicherebbero un preoccupante aggravamento della situazione - sarà annunciato l’allentamento, che ora però è atteso dello 0,5% e non del 0,25%. D’altra parte, un ulteriore peggioramento dell’economia a così breve distanza dalle elezioni non farebbe altro che favorire l’ascesa di Donald Trump, visto anche il tentennamento dimostrato da Kamala Harris nel rispondere alle domande su questioni come l’inflazione. Per quanto riguarda i Paesi europei, la prossima riunione della Bce è prevista per il 12 settembre, quindi prima che vengano ufficializzate le decisioni della Fed. Tuttavia, essendo ormai dato per certo il taglio nell’altra sponda dell’Atlantico, vengono meno anche i timori di Christine Lagarde sul fatto di agire per prima. Infatti, tra le motivazioni addotte per il rinvio dell’allentamento monetario, condivisibili o meno, vi era la paura che un’eventuale azione unilaterale potesse portare a un deprezzamento dell’euro e conseguentemente a importare inflazione. Considerando lo stato della prima economia europea, la Germania, non sarebbe neanche poi così male, ma la Bce, a differenza della Fed, ha come mandato primario la stabilità dei prezzi, lasciando in secondo piano le ragioni dell’occupazione. Al momento la tempesta pare si sia calmata, ma con ogni probabilità (a meno, come detto, di tagli d’emergenza, su cui alcuni scommettono) occorrerà attendere settembre per gli interventi di politica monetaria. Fino ad allora, dunque, è lecito aspettarsi una certa volatilità dei mercati (al netto dell’imprevedibilità degli scenari geopolitici), nella speranza che non sarà troppo tardi per evitare la recessione.
Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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Riduci
Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.
Christine Lagarde (Ansa)
Come accade, ad esempio, in quel carrozzone chiamato Unione europea dove tutti, a partire dalla lìder maxima, Ursula von der Leyen, non dimenticano mai di inserire nella lista delle priorità l’aumento del proprio stipendio. Ne ha parlato la Bild, il giornale più letto e venduto d’Europa, raccontando come la presidente della Commissione europea abbia aumentato il suo stipendio, e quello degli euroburocrati, due volte l’anno. E chiunque non sia allergico alla meritocrazia così come alle regole non scritte dell’accountability (l’onere morale di rispondere del proprio operato) non potrà non scandalizzarsi pensando che donna Ursula, dopo aver trasformato l’Ue in un nano economico, ammazzando l’industria europea con il folle progetto del Green deal, percepisca per questo capolavoro gestionale ben 35.800 euro al mese, contro i 6.700 netti che, ad esempio, guadagna il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Allo stesso modo funzionano le altre istituzioni dell’Unione europea. L’Ue impiega circa 60.000 persone all’interno delle sue varie istituzioni e organi, distribuiti tra Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo (la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, la Corte di giustizia dell’Unione europea e il Comitato economico e sociale). La funzione pubblica europea ha tre categorie di agenti: gli amministratori, gli assistenti e gli assistenti segretari. L’Ue contrattualizza inoltre molti agenti contrattuali. Secondo i dati della Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 2019, questi funzionari comunitari guadagnano tra 4.883 euro e 18.994 euro mensili (gradi da 5 a 16 del livello 1).
Il «vizietto» di alzarsi lo stipendio ha fatto scuola anche presso la Banca centrale europea (Bce), che ha sede a Francoforte, in Germania, ed è presieduta dalla francese, Christine Lagarde. Secondo quanto riassunto nel bilancio della Bce, lo stipendio base annuale della presidente è aumentato del 4,7 per cento, arrivando a 466.092 euro rispetto ai 444.984 euro percepiti nel 2023 (cui si aggiungono specifiche indennità e detrazioni fiscali comunitarie, diverse da quelle nazionali), ergo 38.841 euro al mese. Il vicepresidente Luis de Guindos, spagnolo, percepisce circa 400.000 euro (valore stimato in base ai rapporti precedenti, di solito corrispondente all’85-90% dello stipendio della presidente). Gli altri membri del comitato esecutivo guadagnano invece circa 330.000-340.000 euro ciascuno. Ai membri spettano anche le indennità di residenza (15% dello stipendio base), di rappresentanza e per figli a carico, che aumentano il netto effettivo. Il costo totale annuale del personale della Bce è di 844 milioni di euro, valore che include stipendi, indennità, contributi previdenziali e costi per le pensioni di tutti i dipendenti della banca. Il dato incredibile è che questa voce è aumentata di quasi 200 milioni in due anni: nel 2023, infatti, il costo totale annuale del personale era di 676 milioni di euro. Secondo una nota ufficiale della Bce, l’incremento del 2024 è dovuto principalmente a modifiche nelle regole dei piani pensionistici e ai benefici post impiego, oltre ai normali adeguamenti salariali legati all’inflazione, cresciuta del 2,4 per cento a dicembre dello scorso anno. La morale è chiara ed è la stessa riassunta ieri dal direttore, Maurizio Belpietro: per la Bce l’inflazione va combattuta in tutti i modi, ma se si tratta dello stipendio dei funzionari Ue, il discorso non vale.
Stessa solfa alla Corte di Giustizia che ha sede a Lussemburgo: gli stipendi variano notevolmente a seconda della posizione (avvocato, cancelliere, giudice, personale amministrativo), ma sono generalmente elevati, con giuristi principianti che possono guadagnare da 2.000 a 5.000 euro al mese e stipendi più alti per i magistrati, anche se cifre precise per i giudici non sono facilmente disponibili pubblicamente. Gli stipendi si basano sulle griglie della funzione pubblica europea e aumentano con l’anzianità, passando da 2.600 euro per il personale esecutivo a oltre 18.000 euro per alcuni alti funzionari.
Il problema, va precisato, non risiede nel fatto che le persone competenti siano pagate bene, com’è giusto che sia, ma che svolgano bene il proprio lavoro e soprattutto che ci sia trasparenza sui salari. Dei risultati delle politiche di Von der Leyen e Lagarde i giudici non sono esattamente entusiastici, ma il conto lo pagano, come al solito, i cittadini europei.
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