Le mosse di Macron, le mire di Draghi. Corsa ai posti chiave della nuova Ue

- Il capo dell’Eliseo ha rotto con Ursula von der Leyen e vuol giocare la carta dell’ex premier italiano, riservando alla Francia la vicepresidenza della Commissione. Green, informazione, Ia: ecco le poltrone più ambite da Stati e partiti.
- Le due emergenze (pandemia e guerra) hanno sminuito il ruolo dell’organo legislativo. Che però adesso potrebbe diventare il contraltare a un Consiglio orientato a sinistra.
Lo speciale contiene due articoli.
È altamente improbabile che i cittadini europei che entro domenica 9 giugno andranno a votare per rinnovare i seggi che compongono il Parlamento europeo siano consapevoli delle dinamiche che metteranno in moto recandosi alle urne. Dinamiche che in questo momento sono più vicine al caos che all’ordine, in virtù della teoria secondo la quale «quando una farfalla batte le ali a Pechino, a New York arriva la pioggia anziché il sole». Qualunque cosa accada, la posta in gioco è l’agenda Ue che, secondo i sondaggi, non coincide con quella dell’elettorato europeo, tendente più a destra del Partito popolare europeo (Ppe), laddove i candidati in lizza per i cosiddetti «top jobs» - le poltrone più importanti delle istituzioni europee - sono invece appartenenti a famiglie politiche più a sinistra del Ppe. Il vento potrebbe dunque cambiare (e le tempeste non sono escluse), a dispetto delle intemerate del «Partito Qualunquista», che caldeggia l’astinenza dal voto.
I 27 capi di Stato e di governo nelle prossime settimane dovranno raggiungere un accordo per riconfermare o sostituire la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo (posto occupato oggi dal belga Charles Michel) e del Parlamento europeo (dove siede la maltese Roberta Metsola), nonché l’alto rappresentante per la politica estera (lo spagnolo Josep Borrell).
Nulla è ancora definito. La stessa Ursula von der Leyen, candidata a succedere a sé stessa alla presidenza della Commissione europea, è entrata in conclave come Papa ma potrebbe uscirne come cardinale, vista l’aria che tira. La tedesca era partita a febbraio con il via libera di Francia e Germania. Già a inizio marzo, al congresso del suo stesso partito, il Ppe, solo 400 delegati a favore, su 801 aventi diritto, hanno votato a favore della sua ricandidatura. Nello stesso mese l’ex premier belga Michel si è defilato, così come l’ex primo ministro irlandese Leo Varadkar, popolare, che non ha condiviso le sue posizioni su Israele. Anche uno dei suoi maggiori elettori socialisti, lo spagnolo Pedro Sánchez, ha deciso di non votarla.
Von der Leyen non può neanche più contare sul presidente francese Emmanuel Macron, avendo parzialmente tradito l’accordo sulla difesa che i due avevano stretto a febbraio: la presidente uscente, nel tessere le sue trame di potere per assicurarsi la rielezione, ha offerto la poltrona di commissario alla difesa a un Paese dell’Europa centrale e ha posto il suo veto all’emissione di debito congiunto per finanziare l’industria della difesa Ue, fortemente voluta da Macron. Le preferenze francesi sono adesso, neanche troppo velatamente, orientate su Mario Draghi. La Francia vuole un posto «di alto livello a Bruxelles» per l’ex primo ministro italiano: deve soltanto capire se sarà la presidenza della Commissione o quella del Consiglio.
L’ex presidente della Bce è considerato un alleato strategico per quelle che sono le priorità di Parigi: trovare investimenti pubblici (stimati da Draghi in 600 miliardi annui) per finanziare la doppia transizione ecologica e digitale e sviluppare la politica industriale della difesa. Non sarà facile, così come non è automatico che l’Italia di Giorgia Meloni lo voti. La premier italiana, che Von der Leyen corteggia da due anni, ha preso le distanze dal totonomine. Sosterrà Ursula von der Leyen, come aveva maliziosamente ventilato Marine Le Pen nel suo intervento alla kermesse leghista Wind of Change a fine marzo? «Von der Leyen era presidente della Commissione europea e il mio lavoro era quello di far cambiare (la posizione dell’Europa, ndr) su alcune cose che non condividevo», ha chiosato Meloni, chiudendo ogni speculazione su un suo possibile sostegno alla presidente uscente. Giorgia tuttavia non condivide, almeno sulla carta, neanche l’agenda di Draghi e Macron; sarà tuttavia complicato, per la premier italiana, dire di no a un italiano al timone europeo.
Al di là dei «top jobs», la Francia punta a ottenere una vicepresidenza esecutiva o comunque uno dei portafogli più importanti, a cominciare da quello per la concorrenza o per il mercato interno. Ai socialisti interessa invece il commissario per le politiche green e l’informazione, ai liberali quello sull’intelligenza artificiale.
Ovunque porti l’accordo dei Ventisette, l’indicazione del futuro presidente della Commissione da parte degli Stati membri dell’Unione europea dovrà passare al vaglio del voto del nuovo Europarlamento: se il Ppe si sposterà più a destra, come indicano i sondaggi, Ursula farebbe più fatica a ottenere la maggioranza. Non solo: tra i popolari potrebbero esserci circa 40 franchi tiratori e anche il gruppo Renew di Macron e Renzi potrebbe farle mancare il sostegno, come ha accennato il commissario francese Thierry Breton. Sulla presidente pende inoltre il coinvolgimento nell’inchiesta penale al tribunale di Liegi sui negoziati per l’acquisto dei vaccini anti Covid: un business da 35 miliardi di euro negoziati via sms. È per tutte queste incognite che il voto sulla nomina del nuovo presidente della Commissione europea, inizialmente previsto alla prima sessione dell’Europarlamento del 16 luglio, slitterà a quella di settembre, ha annunciato il portavoce dell’Eurocamera Jaume Duch.
Se i giochi di potere dietro le quinte sono già iniziati mesi fa, sarà dopo le elezioni che le trattative entreranno nel vivo. Considerata la grande incertezza che ancora persiste a pochi giorni dal voto, la tabella di marcia sulle nomine dei «top jobs» potrebbe subire ritardi: dopo il voto e fino al 3 luglio, il Parlamento sarà impegnato a formare le commissioni parlamentari e i gruppi politici. Dal 13 al 15 giugno si terrà il G7 in Puglia e per la prima volta Von der Leyen, Michel, Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, insieme con Meloni, discuteranno sulle nomine. I negoziati tra i Ventisette continueranno due giorni dopo a Bruxelles: Michel ha programmato una cena con i capi di Stato e di governo, cui Von der Leyen non parteciperà in quanto direttamente interessata. Il 27-28 giugno a Bruxelles in occasione del Consiglio europeo, nuovo incontro al vertice dedicato esplicitamente alle nomine. Alla prima sessione plenaria del nuovo Parlamento europeo i 720 eurodeputati eleggeranno il loro presidente e i vicepresidenti: Metsola, candidata alla poltrona così come a quella di presidente della Commissione europea, ha poche chances di essere rieletta.
Quanto al presidente del Consiglio europeo, toccherà ai socialisti esprimere il primo candidato: in lizza ci sono la premier danese Mette Frederiksen e il primo ministro portoghese uscente, Antonio Costa. L’incarico di alto rappresentante, invece, potrebbe essere assegnato o a un esponente liberale del gruppo Renew (il primo ministro belga Alexander de Croo, il vicepremier lussemburghese Xavier Bettel o la premier estone Kaja Kallas), ma è tutto da vedere, considerando che nei sondaggi i liberali non risultano più essere il terzo gruppo in ordine d’importanza a Strasburgo, com’è stato finora.
Un Parlamento ridotto a «votificio»
Alla vigilia dell’apertura dei seggi, le polemiche sull’utilità del Parlamento europeo e dei suoi rappresentanti hanno puntualmente rifatto capolino. Dal 6 al 9 giugno (in Italia sabato 8 giugno dalle 15 alle 23, e domenica 9 giugno dalle 7 alle 23), gli elettori dei 27 Paesi dell’Unione europea saranno chiamati alle urne per votare i nuovi eurodeputati. La grande incognita è la partecipazione: sul voto incombe l’opposizione degli astensionisti - secondo i quali votare «non serve» - e la polarizzazione dello scontro. Il voto si è ormai trasformato in un referendum pro o contro l’Europa, il sostegno all’Ucraina e il secondo mandato di Ursula von der Leyen. L’emergenza sanitaria e poi quella bellica hanno peggiorato la situazione: pur avendo conquistato tecnicamente più potere nell’ambito del bilanciamento fra le tre istituzioni Ue (Parlamento, Commissione e Consiglio dei capi di Stato e di governo) l’organo legislativo, sia in pandemia che durante la guerra in Ucraina, è stato ridotto a «votificio» di decisioni già adottate dai governi nazionali. L’ultima plenaria a Strasburgo è stata praticamente un tour de force: gli eurodeputati hanno votato 89 proposte di legge in tre giorni, pari al 20% di tutte le direttive e regolamenti adottati nell’arco dei cinque anni di legislatura.
L’andamento del voto, secondo i sondaggi - che indicano uno spostamento più a destra del Ppe e delle forze conservatrici che lo compongono - potrebbe però ribaltare la situazione, conferendo al Parlamento europeo il potere di ridefinire le politiche dell’Unione attraverso la sconfessione della cosiddetta «maggioranza Ursula» e della Commissione europea che le ha portate avanti. Se con le elezioni del 2019 il Ppe era il primo partito europeo con 172 seggi, i socialisti il secondo con 145 e i liberali di Renew (Macron e Renzi) il terzo con 106 seggi, oggi l’aria è cambiata. Marine Le Pen ha proposto a Giorgia Meloni di formare un super gruppo di destra al Parlamento europeo. Il Rassemblement National di Le Pen e Jordan Bardella attualmente siede nel gruppo Identity and Democracy (Id) insieme con i deputati della Lega di Matteo Salvini, mentre Fratelli d’Italia fa parte del gruppo European Conservatives and Reformists (Ecr). Se Id e Ecr si unissero e conquistassero rispettivamente i 69 e 75 seggi indicati dai sondaggi, per un totale di 144 seggi, diventerebbero di fatto il secondo partito dopo il Ppe, scardinando quelle che la stessa Meloni ha definito «alleanze innaturali» e spostando inevitabilmente il baricentro europeo a destra del Ppe. Certo, tre dei Paesi europei più influenti - Francia, Germania e Spagna - sono attualmente guidati da socialisti o liberali e tenteranno di fare il bello e il cattivo tempo in sede di Consiglio Ue, sfidando il Parlamento. Ma al blocco Ecr-Id potrebbero aggiungersi alla bisogna e su temi ad hoc anche altri partiti minori come Afd in Germania, che si prevede possa ottenere 16 seggi, i deputati del partito Fidesz di Viktor Orbán (altri 10 seggi), la Konfederacja polacca (6 seggi) e il partito bulgaro Revival (3 seggi), portando la proiezione del blocco di destra a 184 seggi, 14 in più di quelli attualmente attribuiti ai popolari (170) e 42 in più rispetto ai socialisti, cui vengono attribuiti 142 seggi. E alcune direttive, come la famigerata Legge Natura, avrebbero meno possibilità di passare. È per questo motivo che Meloni spinge per una partecipazione di massa al voto, auspicando che a livello nazionale Fratelli d’Italia ottenga il 26% dei consensi.






