Un video satirico di «Russia Today» mette alla berlina l’ossessione per il gender.
Un video satirico di «Russia Today» mette alla berlina l’ossessione per il gender.Che un certo progressismo politicamente corretto tenda sempre più a comportamenti parossistici, non è esattamente una novità. È proprio questo il tema di un ironico video, pubblicato lo scorso 24 dicembre da Russia Today e intitolato Come il woke ha rubato il Natale: un riferimento all’ideologia woke che, pregna di fanatismo e di cancel culture, sta sempre più caratterizzando alcune correnti progressiste. È quindi in tal senso che il video mette alla berlina una serie di stereotipi tipici di questo mondo, raccontando le feste natalizie di un’immaginaria famiglia ideologizzata. È così che viene mostrata una fantomatica (ma non poi così irrealistica) Guida alla tolleranza e alla diversità per il Natale, sulla cui base risultano montati i vari sketch del video. I due figli -fratello e sorella- devono quindi scattare una foto al padre e alla madre che indossano rigorosamente felpe con scritto sopra «genitore 1» e «genitore 2». Si prospetta poi un vero e proprio dilemma sul genere a cui deve appartenere il pupazzo di neve appena realizzato in giardino, con la voce fuori campo che, sempre sulla scorta del suddetto manuale politicamente corretto, suggerisce che sia il pupazzo stesso a dover decidere. Neppure i doni natalizi scampano dalle occhiute pretese del pensiero unico, con i bambini perplessi che, dopo aver scartato i pacchetti sotto l’albero, si ritrovano con dei libri dedicati alla teoria del gender. Ma questo è ancora niente rispetto alla ragazzina che viene minacciata di azioni legali da una renna risentita (sì, proprio una renna) in quanto «colpevole» di essersi messa in testa un cerchietto con finte corna da cervidi: un comportamento prontamente tacciato di appropriazione culturale (che, come sovente ci ricordano alcuni progressisti, è una forma di colonialismo). Dal politicamente corretto della famiglia non si salva infine neppure il povero Babbo Natale, a cui viene impedito di entrare in casa in quanto «maschio bianco cisgender» (e quindi non adeguatamente inclusivo), oltre che bieco sfruttatore di elfi. Esagerazioni? Fino a un certo punto, visto il tipo di mentalità che si sta sempre più diffondendo. Non sarà del resto un caso che, un anno fa, a intitolarsi Come il woke ha rubato il Natale fosse stato un editoriale del Wall Street Journal a firma di Gerard Baker, in cui si denunciava il nuovo puritanesimo del politicamente corretto. «Le pratiche delle autorità di contrasto al razzismo sono tratte direttamente da Salem. Riconosci il tuo razzismo e sarai condannato come razzista. Rifiutati di riconoscere il tuo razzismo e sarai condannato per il più grave peccato della tua negazione. In ogni caso bruci», si leggeva nell’articolo. Ecco: l’editoriale del Wall Street Journal e il video di Russia Today mettono in luce proprio questo aspetto. L’essenza più profonda dell’ideologia woke è costituita da un nucleo di fanatismo puritano, che vede il male ovunque, anche nelle tradizioni più innocenti. Un puritanesimo secolarizzato e laicamente bigotto nella sua logica, nei suoi meccanismi e finanche nei suoi tic. La dialettica viene quindi soppressa dall’anatema, il dibattito è soppiantato dalla scomunica. Non si valuta più un argomento dalla sua solidità, ma si ragiona (per così dire) secondo uno schema amico-nemico, squalificando moralmente i non allineati. Tutto questo ha ben poco a che fare con il rispetto reciproco e - quando non si configura come vero e proprio delirio di onnipotenza - si rivela talvolta una tecnica messa strumentalmente al servizio di lotte di potere. Certo parossismo può anche farci sorridere. Ma è la logica di Salem che c’è dietro. E questo un po’ preoccupante lo è.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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