2021-11-20
Morsa del governo sulla manovra. Solo 2 miliardi per ridurre l’Irap
Il Mef preme affinché il Parlamento usi quasi tutti i fondi disponibili per tagliare il cuneo. Nuovo tavolo lunedì Iv vuole correre per approvare allo stesso tempo bilancio e legge delega sul fisco: Matteo Renzi cerca Matteo SalviniIl leader del M5s, sempre più solo dentro il partito, valuta la possibilità di far cadere l'esecutivo. Così potrebbe candidare i fedelissimi e blindare la sua poltronaLo speciale contiene due articoliIl tavolo dei rappresentanti delle forze politiche di maggioranza, riunitosi ieri sulla legge di bilancio, tornerà a essere convocato lunedì 22. Intanto, da qui ad allora, dalle parti del Mef saranno messe a punto alcune simulazioni più puntuali sulle ipotesi discusse nella riunione di questa settimana. Tuttavia, a meno di colpi di scena, per ora le notizie sono due, e tutt'altro che brillanti dal punto di vista dei contribuenti. La prima: il governo non sembra intenzionato a incrementare la dotazione del fondo per il taglio delle tasse in manovra. Nelle intenzioni dell'esecutivo, 8 miliardi erano e 8 miliardi resteranno, né più né meno. Al Parlamento, in questo schema, resterebbe solo la scelta del dosaggio dei fondi, la decisione su come e dove distribuirli e utilizzarli: ma la dimensione della torta (piccola) non si allargherebbe. La seconda: sempre nelle intenzioni del Mef (e del Pd), di quegli 8 miliardi ben 6 andrebbero utilizzati per un intervento sul cuneo fiscale e solo 2 per altri tagli fiscali. Il che - inutile girarci intorno - depone a sfavore dell'operazione complessiva, nel senso della sua pressoché totale impercettibilità dal punto di vista dei contribuenti. Giova ricordare che ai tempi del governo guidato da Romano Prodi, nel 2006, il taglio del cuneo ebbe una dimensione ancora maggiore (7-8 miliardi), ma i benefici furono limitatissimi per i lavoratori. Figurarsi stavolta. E figurarsi (a maggior ragione) l'impalpabilità dell'intervento residuo, pari ad appena 2 miliardi. Sullo sfondo, restano altri tre elementi politici, due emersi al tavolo e uno a margine della riunione. Nell'incontro, in rappresentanza della Lega, il responsabile economico del partito Alberto Bagnai ha sostenuto una tesi razionale: che, anche in considerazione della loro portata quantitativamente limitata, gli interventi debbano almeno essere comunicabili, comprensibili, intellegibili da parte dell'opinione pubblica. In questo senso, la Lega propone un intervento sull'Iva e un intervento sull'Irap dei soggetti cosiddetti non Ires (quindi dei soggetti Irpef). Sempre al tavolo, su tutt'altro versante politico, è invece parsa a molti singolare l'insistenza del presidente della commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin (Italia viva), su una tempistica ultra accelerata dell'iter di un altro provvedimento, la legge delega fiscale. Nello schema preferito da Marattin, la legge delega dovrebbe andare in Gazzetta Ufficiale (avendo quindi già ricevuto l'approvazione definitiva da entrambe le Camere) ai primi di gennaio. A questo fine, con decisione inconsueta, sono state radicalmente sforbiciate le audizioni, dando spazio pressoché esclusivamente a documenti scritti. La tesi alla base della decisione di tagliar corto è che già sia avvenuta una raffica di audizioni nei mesi scorsi, davanti alle due commissioni Finanze, nell'ambito della loro recente indagine conoscitiva sui temi fiscali. E questo è indubbiamente vero: ma una cosa è fare audizioni in termini generali, altro conto è decidere di non farle pur in presenza di un testo base del governo su cui le parti sociali avrebbero interesse a discutere con i parlamentari. Più in generale, i sostenitori dell'accelerazione dell'iter della legge delega sottolineano l'utilità di un suo cammino cronologicamente parallelo rispetto alla manovra: l'una e l'altra - in questa ipotesi - destinate a essere chiuse entro fine anno. Ciò consentirebbe - dicono - di avere uno sguardo d'insieme, di stabilire cosa debba essere inserito in un veicolo e cosa nell'altro. Sul versante opposto, non senza validissime ragioni, si fa notare che una simile fretta appare innaturale. Anche perché le uniche «armi», sulla legge delega, il Parlamento le ha ora, attraverso la fissazione di precisi paletti che condizionino i futuri decreti delegati che il governo dovrà scrivere. Ma una volta licenziata dalle Camere la legge delega, quando il governo varerà i singoli decreti delegati, su questi ultimi le commissioni parlamentari potranno solo esprimere pareri (cioè non potranno modificarli in nulla).Fonti di Italia viva parlano invece di un contatto telefonico tra Matteo Renzi e Matteo Salvini: come se, al di là dell'urgenza di Marattin, Renzi comprendesse l'esigenza di un dialogo costruttivo tra le forze politiche di maggioranza. Tornando alla Lega, sembra infine acquisito che tra gli emendamenti leghisti un posto significativo sarà occupato dalla proposta di trasferire risorse dal rifinanziamento del reddito di cittadinanza all'irrobustimento del troppo misero taglio di tasse previsto dal governo in manovra. Su questo Salvini è stato esplicito anche con Mario Draghi, preannunciando una forte iniziativa parlamentare del suo partito su questo tema. Le prossime settimane si incaricheranno di mostrare se la Lega troverà sponde e collaborazione rispetto a questa operazione emendativa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/morsa-del-governo-sulla-manovra-solo-2-miliardi-per-ridurre-lirap-2655765647.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-ora-sogna-elezioni-anticipate" data-post-id="2655765647" data-published-at="1637361740" data-use-pagination="False"> Conte ora sogna elezioni anticipate La pattuglia di parlamentari M5s fedeli a Giuseppe Conte si assottiglia ogni giorno che passa, la leadership dell'ex premier è già debolissima, e così i pochi contiani rispolverano il mai definitivamente archiviato obiettivo di far cadere il governo e andare al voto anticipato, indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. La figuraccia sulla Rai ha afflosciato il ciuffo di Giuseppi, che medita vendetta. Sono ore incandescenti. L'altro ieri pomeriggio, a Palazzo Madama, si è svolta una riunione informale di una trentina di senatori M5s, alla presenza del ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, molto vicino a Conte. A quanto apprende La Verità, gli interventi dei contiani sono stati più che bellicosi: «Sulla manovra», ha attaccato un senatore, «dobbiamo scatenare in Parlamento un vero e proprio Vietnam. Presentiamo centinaia di emendamenti, facciamo ostruzionismo duro». Tuttavia, l'ultima figuraccia, quella sulla Rai, ha fatto esplodere i malumori della stragrande maggioranza dei parlamentari pentastellati nei confronti di Conte e dei suoi «pulcini», come vengono etichettati i vicepresidenti del M5s Paola Taverna, Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Alessandra Todde e Mario Turco, battuta mutuata da Lucia Annunziata. Uno di questi, Turco, è finito sulla graticola quando è diventato di pubblico dominio il suo incontro di martedì scorso a Palazzo Chigi con Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier Mario Draghi. I due hanno discusso delle nomine in Rai, senza che i gruppi parlamentari fossero informati. Dall'entourage dell'ex premier raccontano che il vicepresidente M5s è stato convocato a Palazzo Chigi e semplicemente informato della lista dei nomi dei direttori dei tg, che la mattina dopo, mercoledì 17, è arrivata al cda di Viale Mazzini, scatenando l'ira di Giuseppi e la decisione di impedire ai pentastellati di partecipare ai programmi della Rai. «Turco», racconta alla Verità una fonte di primissimo piano del M5s, «è andato a trattare per conto di Conte, senza informare nessuno. Altro che semplice informativa: si è trattato di un vertice del quale nessuno ha saputo nulla, finché la notizia non è uscita sui giornali, mettendo in grandissimo imbarazzo i capigruppo Davide Crippa e Mariolina Castellone, apparsi in diretta video insieme con Conte mentre l'ex premier pronunciava il suo “editto bulgaro" annunciando il boicottaggio dei programmi della tv di Stato. Crippa e la Castellone non fanno riferimento a Conte, ci hanno messo la faccia e ora si trovano a fronteggiare le giuste proteste dei parlamentari, imbestialiti dalla notizia dell'incontro tra Turco e Funiciello. Siamo al punto più basso della storia del M5s, totalmente scollati dalla realtà. La proposta di Conte di un referendum sulla Rai, in questo momento, tra pandemia e ripresa economica da salvaguardare è incomprensibile, i cittadini penseranno che siamo diventati matti». La sfuriata sulla Rai, le intenzioni bellicose dei suoi fedelissimi sulla manovra: indizi che riaprono il discorso della voglia matta di Conte di andare alle elezioni. Il motivo? Semplice: pur di fronte a un crollo dei consensi, Conte sceglierebbe i candidati alla Camera e al Senato tra i suoi fedelissimi, con una quota della metà riservata a volti nuovi tutti individuati tra docenti universitari e imprenditori di stretta osservanza contiana. «Quella di staccare la spina al governo», conclude il big grillino, «è l'ossessione di Conte, che ha capito che se la legislatura arriva fino in fondo sarà già stato sostituito al vertice del M5s. I parlamentari lo hanno capito, e sono tutti infuriati. Il M5s può fare tutto tranne che mettersi a giocare con la manovra per interessi del suo leader: gli italiani non ce la perdonerebbero mai». Intanto Virginia Raggi, come anticipato dalla Verità, scalda i motori: la partita per la successione a Conte alla guida dei pentastellati è già iniziata.
Jose Mourinho (Getty Images)