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2021-11-20
Morsa del governo sulla manovra. Solo 2 miliardi per ridurre l’Irap
Luigi Marattin (Ansa)
Il tavolo dei rappresentanti delle forze politiche di maggioranza, riunitosi ieri sulla legge di bilancio, tornerà a essere convocato lunedì 22. Intanto, da qui ad allora, dalle parti del Mef saranno messe a punto alcune simulazioni più puntuali sulle ipotesi discusse nella riunione di questa settimana. Tuttavia, a meno di colpi di scena, per ora le notizie sono due, e tutt'altro che brillanti dal punto di vista dei contribuenti. La prima: il governo non sembra intenzionato a incrementare la dotazione del fondo per il taglio delle tasse in manovra. Nelle intenzioni dell'esecutivo, 8 miliardi erano e 8 miliardi resteranno, né più né meno. Al Parlamento, in questo schema, resterebbe solo la scelta del dosaggio dei fondi, la decisione su come e dove distribuirli e utilizzarli: ma la dimensione della torta (piccola) non si allargherebbe.
La seconda: sempre nelle intenzioni del Mef (e del Pd), di quegli 8 miliardi ben 6 andrebbero utilizzati per un intervento sul cuneo fiscale e solo 2 per altri tagli fiscali. Il che - inutile girarci intorno - depone a sfavore dell'operazione complessiva, nel senso della sua pressoché totale impercettibilità dal punto di vista dei contribuenti. Giova ricordare che ai tempi del governo guidato da Romano Prodi, nel 2006, il taglio del cuneo ebbe una dimensione ancora maggiore (7-8 miliardi), ma i benefici furono limitatissimi per i lavoratori. Figurarsi stavolta. E figurarsi (a maggior ragione) l'impalpabilità dell'intervento residuo, pari ad appena 2 miliardi.
Sullo sfondo, restano altri tre elementi politici, due emersi al tavolo e uno a margine della riunione. Nell'incontro, in rappresentanza della Lega, il responsabile economico del partito Alberto Bagnai ha sostenuto una tesi razionale: che, anche in considerazione della loro portata quantitativamente limitata, gli interventi debbano almeno essere comunicabili, comprensibili, intellegibili da parte dell'opinione pubblica. In questo senso, la Lega propone un intervento sull'Iva e un intervento sull'Irap dei soggetti cosiddetti non Ires (quindi dei soggetti Irpef).
Sempre al tavolo, su tutt'altro versante politico, è invece parsa a molti singolare l'insistenza del presidente della commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin (Italia viva), su una tempistica ultra accelerata dell'iter di un altro provvedimento, la legge delega fiscale. Nello schema preferito da Marattin, la legge delega dovrebbe andare in Gazzetta Ufficiale (avendo quindi già ricevuto l'approvazione definitiva da entrambe le Camere) ai primi di gennaio. A questo fine, con decisione inconsueta, sono state radicalmente sforbiciate le audizioni, dando spazio pressoché esclusivamente a documenti scritti.
La tesi alla base della decisione di tagliar corto è che già sia avvenuta una raffica di audizioni nei mesi scorsi, davanti alle due commissioni Finanze, nell'ambito della loro recente indagine conoscitiva sui temi fiscali. E questo è indubbiamente vero: ma una cosa è fare audizioni in termini generali, altro conto è decidere di non farle pur in presenza di un testo base del governo su cui le parti sociali avrebbero interesse a discutere con i parlamentari.
Più in generale, i sostenitori dell'accelerazione dell'iter della legge delega sottolineano l'utilità di un suo cammino cronologicamente parallelo rispetto alla manovra: l'una e l'altra - in questa ipotesi - destinate a essere chiuse entro fine anno. Ciò consentirebbe - dicono - di avere uno sguardo d'insieme, di stabilire cosa debba essere inserito in un veicolo e cosa nell'altro.
Sul versante opposto, non senza validissime ragioni, si fa notare che una simile fretta appare innaturale. Anche perché le uniche «armi», sulla legge delega, il Parlamento le ha ora, attraverso la fissazione di precisi paletti che condizionino i futuri decreti delegati che il governo dovrà scrivere. Ma una volta licenziata dalle Camere la legge delega, quando il governo varerà i singoli decreti delegati, su questi ultimi le commissioni parlamentari potranno solo esprimere pareri (cioè non potranno modificarli in nulla).
Fonti di Italia viva parlano invece di un contatto telefonico tra Matteo Renzi e Matteo Salvini: come se, al di là dell'urgenza di Marattin, Renzi comprendesse l'esigenza di un dialogo costruttivo tra le forze politiche di maggioranza.
Tornando alla Lega, sembra infine acquisito che tra gli emendamenti leghisti un posto significativo sarà occupato dalla proposta di trasferire risorse dal rifinanziamento del reddito di cittadinanza all'irrobustimento del troppo misero taglio di tasse previsto dal governo in manovra. Su questo Salvini è stato esplicito anche con Mario Draghi, preannunciando una forte iniziativa parlamentare del suo partito su questo tema. Le prossime settimane si incaricheranno di mostrare se la Lega troverà sponde e collaborazione rispetto a questa operazione emendativa.
Conte ora sogna elezioni anticipate
La pattuglia di parlamentari M5s fedeli a Giuseppe Conte si assottiglia ogni giorno che passa, la leadership dell'ex premier è già debolissima, e così i pochi contiani rispolverano il mai definitivamente archiviato obiettivo di far cadere il governo e andare al voto anticipato, indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. La figuraccia sulla Rai ha afflosciato il ciuffo di Giuseppi, che medita vendetta. Sono ore incandescenti. L'altro ieri pomeriggio, a Palazzo Madama, si è svolta una riunione informale di una trentina di senatori M5s, alla presenza del ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, molto vicino a Conte. A quanto apprende La Verità, gli interventi dei contiani sono stati più che bellicosi: «Sulla manovra», ha attaccato un senatore, «dobbiamo scatenare in Parlamento un vero e proprio Vietnam. Presentiamo centinaia di emendamenti, facciamo ostruzionismo duro».
Tuttavia, l'ultima figuraccia, quella sulla Rai, ha fatto esplodere i malumori della stragrande maggioranza dei parlamentari pentastellati nei confronti di Conte e dei suoi «pulcini», come vengono etichettati i vicepresidenti del M5s Paola Taverna, Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Alessandra Todde e Mario Turco, battuta mutuata da Lucia Annunziata. Uno di questi, Turco, è finito sulla graticola quando è diventato di pubblico dominio il suo incontro di martedì scorso a Palazzo Chigi con Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier Mario Draghi. I due hanno discusso delle nomine in Rai, senza che i gruppi parlamentari fossero informati. Dall'entourage dell'ex premier raccontano che il vicepresidente M5s è stato convocato a Palazzo Chigi e semplicemente informato della lista dei nomi dei direttori dei tg, che la mattina dopo, mercoledì 17, è arrivata al cda di Viale Mazzini, scatenando l'ira di Giuseppi e la decisione di impedire ai pentastellati di partecipare ai programmi della Rai. «Turco», racconta alla Verità una fonte di primissimo piano del M5s, «è andato a trattare per conto di Conte, senza informare nessuno. Altro che semplice informativa: si è trattato di un vertice del quale nessuno ha saputo nulla, finché la notizia non è uscita sui giornali, mettendo in grandissimo imbarazzo i capigruppo Davide Crippa e Mariolina Castellone, apparsi in diretta video insieme con Conte mentre l'ex premier pronunciava il suo “editto bulgaro" annunciando il boicottaggio dei programmi della tv di Stato. Crippa e la Castellone non fanno riferimento a Conte, ci hanno messo la faccia e ora si trovano a fronteggiare le giuste proteste dei parlamentari, imbestialiti dalla notizia dell'incontro tra Turco e Funiciello. Siamo al punto più basso della storia del M5s, totalmente scollati dalla realtà. La proposta di Conte di un referendum sulla Rai, in questo momento, tra pandemia e ripresa economica da salvaguardare è incomprensibile, i cittadini penseranno che siamo diventati matti».
La sfuriata sulla Rai, le intenzioni bellicose dei suoi fedelissimi sulla manovra: indizi che riaprono il discorso della voglia matta di Conte di andare alle elezioni. Il motivo? Semplice: pur di fronte a un crollo dei consensi, Conte sceglierebbe i candidati alla Camera e al Senato tra i suoi fedelissimi, con una quota della metà riservata a volti nuovi tutti individuati tra docenti universitari e imprenditori di stretta osservanza contiana. «Quella di staccare la spina al governo», conclude il big grillino, «è l'ossessione di Conte, che ha capito che se la legislatura arriva fino in fondo sarà già stato sostituito al vertice del M5s. I parlamentari lo hanno capito, e sono tutti infuriati. Il M5s può fare tutto tranne che mettersi a giocare con la manovra per interessi del suo leader: gli italiani non ce la perdonerebbero mai». Intanto Virginia Raggi, come anticipato dalla Verità, scalda i motori: la partita per la successione a Conte alla guida dei pentastellati è già iniziata.
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Il Mef preme affinché il Parlamento usi quasi tutti i fondi disponibili per tagliare il cuneo. Nuovo tavolo lunedì Iv vuole correre per approvare allo stesso tempo bilancio e legge delega sul fisco: Matteo Renzi cerca Matteo SalviniIl leader del M5s, sempre più solo dentro il partito, valuta la possibilità di far cadere l'esecutivo. Così potrebbe candidare i fedelissimi e blindare la sua poltronaLo speciale contiene due articoliIl tavolo dei rappresentanti delle forze politiche di maggioranza, riunitosi ieri sulla legge di bilancio, tornerà a essere convocato lunedì 22. Intanto, da qui ad allora, dalle parti del Mef saranno messe a punto alcune simulazioni più puntuali sulle ipotesi discusse nella riunione di questa settimana. Tuttavia, a meno di colpi di scena, per ora le notizie sono due, e tutt'altro che brillanti dal punto di vista dei contribuenti. La prima: il governo non sembra intenzionato a incrementare la dotazione del fondo per il taglio delle tasse in manovra. Nelle intenzioni dell'esecutivo, 8 miliardi erano e 8 miliardi resteranno, né più né meno. Al Parlamento, in questo schema, resterebbe solo la scelta del dosaggio dei fondi, la decisione su come e dove distribuirli e utilizzarli: ma la dimensione della torta (piccola) non si allargherebbe. La seconda: sempre nelle intenzioni del Mef (e del Pd), di quegli 8 miliardi ben 6 andrebbero utilizzati per un intervento sul cuneo fiscale e solo 2 per altri tagli fiscali. Il che - inutile girarci intorno - depone a sfavore dell'operazione complessiva, nel senso della sua pressoché totale impercettibilità dal punto di vista dei contribuenti. Giova ricordare che ai tempi del governo guidato da Romano Prodi, nel 2006, il taglio del cuneo ebbe una dimensione ancora maggiore (7-8 miliardi), ma i benefici furono limitatissimi per i lavoratori. Figurarsi stavolta. E figurarsi (a maggior ragione) l'impalpabilità dell'intervento residuo, pari ad appena 2 miliardi. Sullo sfondo, restano altri tre elementi politici, due emersi al tavolo e uno a margine della riunione. Nell'incontro, in rappresentanza della Lega, il responsabile economico del partito Alberto Bagnai ha sostenuto una tesi razionale: che, anche in considerazione della loro portata quantitativamente limitata, gli interventi debbano almeno essere comunicabili, comprensibili, intellegibili da parte dell'opinione pubblica. In questo senso, la Lega propone un intervento sull'Iva e un intervento sull'Irap dei soggetti cosiddetti non Ires (quindi dei soggetti Irpef). Sempre al tavolo, su tutt'altro versante politico, è invece parsa a molti singolare l'insistenza del presidente della commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin (Italia viva), su una tempistica ultra accelerata dell'iter di un altro provvedimento, la legge delega fiscale. Nello schema preferito da Marattin, la legge delega dovrebbe andare in Gazzetta Ufficiale (avendo quindi già ricevuto l'approvazione definitiva da entrambe le Camere) ai primi di gennaio. A questo fine, con decisione inconsueta, sono state radicalmente sforbiciate le audizioni, dando spazio pressoché esclusivamente a documenti scritti. La tesi alla base della decisione di tagliar corto è che già sia avvenuta una raffica di audizioni nei mesi scorsi, davanti alle due commissioni Finanze, nell'ambito della loro recente indagine conoscitiva sui temi fiscali. E questo è indubbiamente vero: ma una cosa è fare audizioni in termini generali, altro conto è decidere di non farle pur in presenza di un testo base del governo su cui le parti sociali avrebbero interesse a discutere con i parlamentari. Più in generale, i sostenitori dell'accelerazione dell'iter della legge delega sottolineano l'utilità di un suo cammino cronologicamente parallelo rispetto alla manovra: l'una e l'altra - in questa ipotesi - destinate a essere chiuse entro fine anno. Ciò consentirebbe - dicono - di avere uno sguardo d'insieme, di stabilire cosa debba essere inserito in un veicolo e cosa nell'altro. Sul versante opposto, non senza validissime ragioni, si fa notare che una simile fretta appare innaturale. Anche perché le uniche «armi», sulla legge delega, il Parlamento le ha ora, attraverso la fissazione di precisi paletti che condizionino i futuri decreti delegati che il governo dovrà scrivere. Ma una volta licenziata dalle Camere la legge delega, quando il governo varerà i singoli decreti delegati, su questi ultimi le commissioni parlamentari potranno solo esprimere pareri (cioè non potranno modificarli in nulla).Fonti di Italia viva parlano invece di un contatto telefonico tra Matteo Renzi e Matteo Salvini: come se, al di là dell'urgenza di Marattin, Renzi comprendesse l'esigenza di un dialogo costruttivo tra le forze politiche di maggioranza. Tornando alla Lega, sembra infine acquisito che tra gli emendamenti leghisti un posto significativo sarà occupato dalla proposta di trasferire risorse dal rifinanziamento del reddito di cittadinanza all'irrobustimento del troppo misero taglio di tasse previsto dal governo in manovra. Su questo Salvini è stato esplicito anche con Mario Draghi, preannunciando una forte iniziativa parlamentare del suo partito su questo tema. Le prossime settimane si incaricheranno di mostrare se la Lega troverà sponde e collaborazione rispetto a questa operazione emendativa.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/morsa-del-governo-sulla-manovra-solo-2-miliardi-per-ridurre-lirap-2655765647.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-ora-sogna-elezioni-anticipate" data-post-id="2655765647" data-published-at="1637361740" data-use-pagination="False"> Conte ora sogna elezioni anticipate La pattuglia di parlamentari M5s fedeli a Giuseppe Conte si assottiglia ogni giorno che passa, la leadership dell'ex premier è già debolissima, e così i pochi contiani rispolverano il mai definitivamente archiviato obiettivo di far cadere il governo e andare al voto anticipato, indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente della Repubblica. La figuraccia sulla Rai ha afflosciato il ciuffo di Giuseppi, che medita vendetta. Sono ore incandescenti. L'altro ieri pomeriggio, a Palazzo Madama, si è svolta una riunione informale di una trentina di senatori M5s, alla presenza del ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, molto vicino a Conte. A quanto apprende La Verità, gli interventi dei contiani sono stati più che bellicosi: «Sulla manovra», ha attaccato un senatore, «dobbiamo scatenare in Parlamento un vero e proprio Vietnam. Presentiamo centinaia di emendamenti, facciamo ostruzionismo duro». Tuttavia, l'ultima figuraccia, quella sulla Rai, ha fatto esplodere i malumori della stragrande maggioranza dei parlamentari pentastellati nei confronti di Conte e dei suoi «pulcini», come vengono etichettati i vicepresidenti del M5s Paola Taverna, Michele Gubitosa, Riccardo Ricciardi, Alessandra Todde e Mario Turco, battuta mutuata da Lucia Annunziata. Uno di questi, Turco, è finito sulla graticola quando è diventato di pubblico dominio il suo incontro di martedì scorso a Palazzo Chigi con Antonio Funiciello, capo di gabinetto del premier Mario Draghi. I due hanno discusso delle nomine in Rai, senza che i gruppi parlamentari fossero informati. Dall'entourage dell'ex premier raccontano che il vicepresidente M5s è stato convocato a Palazzo Chigi e semplicemente informato della lista dei nomi dei direttori dei tg, che la mattina dopo, mercoledì 17, è arrivata al cda di Viale Mazzini, scatenando l'ira di Giuseppi e la decisione di impedire ai pentastellati di partecipare ai programmi della Rai. «Turco», racconta alla Verità una fonte di primissimo piano del M5s, «è andato a trattare per conto di Conte, senza informare nessuno. Altro che semplice informativa: si è trattato di un vertice del quale nessuno ha saputo nulla, finché la notizia non è uscita sui giornali, mettendo in grandissimo imbarazzo i capigruppo Davide Crippa e Mariolina Castellone, apparsi in diretta video insieme con Conte mentre l'ex premier pronunciava il suo “editto bulgaro" annunciando il boicottaggio dei programmi della tv di Stato. Crippa e la Castellone non fanno riferimento a Conte, ci hanno messo la faccia e ora si trovano a fronteggiare le giuste proteste dei parlamentari, imbestialiti dalla notizia dell'incontro tra Turco e Funiciello. Siamo al punto più basso della storia del M5s, totalmente scollati dalla realtà. La proposta di Conte di un referendum sulla Rai, in questo momento, tra pandemia e ripresa economica da salvaguardare è incomprensibile, i cittadini penseranno che siamo diventati matti». La sfuriata sulla Rai, le intenzioni bellicose dei suoi fedelissimi sulla manovra: indizi che riaprono il discorso della voglia matta di Conte di andare alle elezioni. Il motivo? Semplice: pur di fronte a un crollo dei consensi, Conte sceglierebbe i candidati alla Camera e al Senato tra i suoi fedelissimi, con una quota della metà riservata a volti nuovi tutti individuati tra docenti universitari e imprenditori di stretta osservanza contiana. «Quella di staccare la spina al governo», conclude il big grillino, «è l'ossessione di Conte, che ha capito che se la legislatura arriva fino in fondo sarà già stato sostituito al vertice del M5s. I parlamentari lo hanno capito, e sono tutti infuriati. Il M5s può fare tutto tranne che mettersi a giocare con la manovra per interessi del suo leader: gli italiani non ce la perdonerebbero mai». Intanto Virginia Raggi, come anticipato dalla Verità, scalda i motori: la partita per la successione a Conte alla guida dei pentastellati è già iniziata.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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