2022-08-31
Morandi, il pedaggio di Autostrade. 600.000 euro per uscire dal processo
Aspi e la gemella Spea pronte a patteggiare con poco più di un milione nel procedimento sui report falsi fatti per anni sulla rete viaria. È il «sistema» che ha arricchito molti. E che, dopo disastro e beffe, sarà scordato.Un milione. Tanto costerà alla società Autostrade e alla sua gemella Spea, incaricata della manutenzione delle arterie a pagamento, uscire dal processo per le false attestazioni di sicurezza di viadotti e gallerie. A quattro anni di distanza dal crollo del ponte Morandi e dopo quasi 12 miliardi (tra debiti accollati allo Stato e risarcimenti) incassati dal gruppo facente capo alla famiglia Benetton, le aziende «responsabili» della cattiva gestione di un’infrastruttura pubblica avuta in concessione chiuderanno così la partita con la Giustizia, lasciando che siano i suoi ex dirigenti e quelli del ministero a vedersela con il codice penale.L’epilogo è fissato fra un mese, per l’esattezza il 26 settembre, quando la Procura di Genova e le due società si ritroveranno davanti al gip. Ma a giudicare dall’aria che tira è già tutto deciso, cioè c’è l’accordo per arrivare a un patteggiamento, con il riconoscimento della fondatezza delle ipotesi accusatorie, la penale di un milione (640 mila a carico di Aspi, 490 Spea) e una pacca sulla spalla. I report erano falsi, perché attestavano la regolarità dell’installazione di barriere antirumore, nonostante queste rischiassero di cadere sulle vetture in transito, e certificavano la tenuta di viadotti e gallerie, sebbene sui primi e sotto le seconde ci fosse pericolo di crolli. Ecco, ogni giorno decine di migliaia di automobilisti rischiavano di finire come le 43 povere vittime del ponte sul Polcevera, ma alla fine le aziende se la caveranno con poco. In totale, i risarcimenti a carico di Autostrade e Spea ammontano a 29 milioni per i morti e feriti di quel maledetto 14 agosto 2018 a cui ora si aggiunge il milione a saldo e stralcio della vicenda. Dopo di che le società saranno candide come gigli e, ovviamente, sollevate da ogni strascico penale. Il più grande disastro autostradale, la più scandalosa storia di mala gestione della cosa pubblica, la più incredibile spoliazione di un bene dato in concessione dallo Stato a un privato, sarà ridimensionato a una serie di comportamenti singoli che riguardano i manager delle aziende, i funzionari del ministero, ma nessun altro. In totale, sono 59 gli imputati nel dibattimento in corso a Genova e tra questi vi sono gli ex vertici e i tecnici di Autostrade e Spea, oltre a coloro che, sul fronte pubblico, avrebbero dovuto controllare il lavoro della concessionaria. Nell’indagine per falso, frode, tentata truffa e attentato alla sicurezza dei trasporti (queste le ipotesi di reato del secondo troncone dell’inchiesta, quello che per le società si concluderà con il pagamento di un milione) gli iscritti sono invece 56, ma quasi sempre i nomi si ripetono. Cioè, chi è finito sul banco degli imputati per il disastro del Morandi è lo stesso che rischia di finirci prossimamente per le omissioni e le falsificazioni emerse successivamente al crollo del ponte sul Polcevera. Il che dimostra come i reati connessi ai fatti di quattro anni fa siano potenzialmente gli stessi contestati poi, quando dopo 43 vittime e decine di feriti, si cominciarono a fare i controlli che nessuno faceva. Già, perché in questa storia c’è un prima e un dopo. Se prima l’imperativo era fare soldi e chiudere non uno, ma entrambi gli occhi sugli interventi che si rendevano necessari per assicurare una buona tenuta della rete autostradale, poi chi doveva controllare e per quieto vivere o per convenienza non lo aveva fatto, decise di spalancare gli occhi, ordinando verifiche mai fatte prima, ma che all’improvviso, nell’estate di due anni fa, paralizzarono le arterie della Liguria e di mezza Italia.Se ricordo quello che è accaduto e come si stanno sviluppando le cose con l’uscita di scena delle società, non è perché ignoro che le responsabilità penali sono personali e dunque a dover rispondere davanti alla legge sono i singoli. So benissimo che ognuno deve dar conto del proprio comportamento e se commette un reato paga di persona. Tuttavia, mi è difficile ignorare che quello che abbiamo scoperto era un «sistema» in vigore da anni. E ancor più difficile è accettare che una società un tempo gallina dalle uova d’oro per i suoi azionisti, poi non solo sia stata venduta a caro prezzo, consentendo agli investitori di trarne ulteriori guadagni, ma addirittura chiuda la parentesi del disastro, perché nel frattempo è ritornata nelle mani dello Stato, pagando due spicci. Lo so, magari tra un po’ arriveranno le condanne degli ex vertici (chissà quando, visto che a oggi non abbiamo neppure la prima sentenza), ma nel frattempo «il sistema» sarà stato dimenticato. E con esso, tutti quelli che in questo modo hanno fatto soldi a palate.
Jose Mourinho (Getty Images)