- Siena, coi soci Caltagirone e Delfin, presenta un’offerta di scambio per rilevare il gruppo e ritirarlo dalla Borsa. L’asticella per la validità dell’operazione è al 66,7%, cosa che permetterà comunque al Monte di pesare.
- Il vicepremier positivo su Mps. La Fabi: «Azione strategica fuori dai soliti schemi».
Siena, coi soci Caltagirone e Delfin, presenta un’offerta di scambio per rilevare il gruppo e ritirarlo dalla Borsa. L’asticella per la validità dell’operazione è al 66,7%, cosa che permetterà comunque al Monte di pesare.Il vicepremier positivo su Mps. La Fabi: «Azione strategica fuori dai soliti schemi». Lo speciale contiene due articoli.Alla fine è stato il pedone a dare lo scacco alla regina. Una mossa che la Borsa aspettava dalla morte di Enrico Cuccia, nel giugno del 2000. All’alba di ieri è arrivata nella maniera più inattesa. Chi mai avrebbe pensato che l’assalto sarebbe partito da Mps, la banca che anni di sciagurata gestione in mano al Pci e ai suoi eredi aveva portato al fallimento? Salvarla è costato ai contribuenti circa 8 miliardi. Ma ora è tornata in vita. E che vita.L’assedio al fortino delle Generali, sogno proibito dalla finanza italiana, trova il suo snodo a Siena, araba fenice del credito nazionale risorta dopo anni di perdite miliardarie. In consiglio, accanto agli uomini del Tesoro, siedono quelli di Delfin e Caltagirone, protagonisti tre anni fa di un duro scontro con Mediobanca per il controllo del Leone di Trieste. Con una mossa sorprendente il Monte ha annunciato il lancio di un’offerta pubblica di scambio (Ops) su Piazzetta Cuccia, ai cui azionisti offre 2,3 azioni in cambio di un’azione della banca guidata da Alberto Nagel, valorizzate 15,992 euro l’una. Vuol dire un premio del 5% sulla chiusura di mercoledì. Nel complesso la creatura di Enrico Cuccia viene valutata 13,3 miliardi. «Creiamo un nuovo campione nazionale, con due brand di eccellenza, che vogliamo proteggere e valorizzare ancora di più», afferma l’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, snocciolando i numeri dell’operazione: 700 milioni di sinergie, 600 di costi di integrazione, un indice patrimoniale pro-forma del 16%, un ritorno sul capitale del 14%. A spingere è l’utilizzo accelerato del «tesoretto» fiscale rappresentato dalle Dta, che genereranno 500 milioni di capitale all’anno per sei anni, con un valore netto per gli azionisti di Mediobanca di 1,2 miliardi.L’offerta, che Lovaglio definisce «amichevole», viene valutata come convincente dal governo orgoglioso della rinascita di Mps. È letta invece come ostile da Piazzetta Cuccia, che riunirà il consiglio d’amministrazione la prossima settimana per bocciarla e studiare le difese. Tuttavia è scattata la «passivity rule» e quindi eventuali operazioni straordinarie dovranno passare in assemblea, dove Caltagirone e Delfin hanno il 25%. Sempre che in scena non irrompa un cavaliere bianco, in una partita a cui tutti - da Intesa a Unicredit - guarderanno con grande attenzione e sulla quale si mobilita anche la politica, con la benedizione di Fdi e della Lega, le aperture di Fi e le richieste di chiarimenti delle opposizioni a Giorgetti, a cui già nel 2022 Lovaglio aveva prospettato l’integrazione. Un’ azione cui il Tesoro non ha posto «alcun limite». L’ad di Mps la definisce un’operazione «innovativa» che crea «valore per gli azionisti di Mps e Mediobanca». Ma anche per «l’intero sistema Paese», creando un protagonista del credito che si posiziona al «terzo posto in «segmenti di business chiave», combinando la rete commerciale di Mps e l’ eccellenza di Mediobanca come banca d’affari (la più antica e blasonata in Italia), nelle gestioni patrimoniali e nel credito al consumo. Ma Mps metterà le mani anche sul 13% di Generali oggi di Mediobanca, che porta a un passo dal 30% le quote che gravitano attorno a Delfin (9,9%) e Caltagirone (6,9%). Entro 20 giorni Mps presenterà in Consob il documento d’offerta preceduto dalle richieste di autorizzazioni a tutte le autorità coinvolte (Bce, Bankitalia, Ivass, Antitrust). L’Ops, subordinata al conseguimento del 66,7% del capitale e finalizzata al delisting, arriverà sul mercato a giugno-luglio. Proprio il fatto che l’offerta per essere valida non deve necessariamente arrivare al 100% aumenta le possibilità di successo. Alla fine dell’operazione Delfin e Caltagirone potranno conferire il loro 25% di Mediobanca all’Ops. Si ritroveranno in portafoglio azioni Mps da aggiungere a quelle che già posseggono. Il controllo del gruppo senese sarà blindato e dalla plancia di comando potranno decidere le sorti di Mediobanca e Generali. Il Tesoro, presumibilmente, scenderà al 5% del Monte venendo incontro agli impegni sulla privatizzazione presi in Europa.Una seconda vita del tutto inattesa per la banca più antica del mondo.Il 17 aprile l’assemblea di Siena, di cui il Mef, Delfin, Caltagirone e Anima detengono circa il 30% del capitale, voterà l’aumento al servizio dell'offerta. Intanto la Borsa ha dato una sua prima valutazione a caldo: Mps perde il -6,9% a 6,49 euro mentre Mediobanca prende il volo mettendo a segno un +7,7% a 16,47 euro e trasformando il premio del 5% della mattina in uno sconto del 9,3% la sera. Diversi analisti (Morgan Stanley, Kwb, Equita, Jefferies, Ig) hanno sollevato dubbi sulle sinergie ed evidenziato rischi per i ricavi di Mediobanca, che potrebbe perdere alcuni dei suoi banchieri. Ma c’è anche chi come Scope rating ne indica i possibili benefici e sottolinea il fatto che l’operazione appare chiaramente ben vista dal governo. «Degli impatti sui ricavi ci possono essere» ma saranno «marginali» rispetto alle sinergie generate dalla «combinazione del business retail», cioè credito al consumo e gestione del risparmio, afferma Lovaglio, che sottolinea l’assenza di «impatti sociali» per Mps, dopo gli oltre 4.000 esuberi gestiti nel 2022. Il banchiere riconosce che si tratta di «un’operazione complessa» ma è convinto che si tratta della «migliore opzione possibile».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/montepaschi-lancia-blitz-scalare-mediobanca-2670990211.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tajani-benvenute-iniziative-di-libero-mercato" data-post-id="2670990211" data-published-at="1737750498" data-use-pagination="False"> Tajani: «Benvenute iniziative di libero mercato» Occhi di politici e sindacati puntati sul terremoto che ha investito Piazza Affari. Sotto osservazione Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, il cui ruolo supera quello istituzionale considerata la connessione tra Forza Italia e Fininvest. Alla fine potrebbe essere proprio la galassia che ruota attorno a Marina Berlusconi e Massimo Doris a decidere le sorti del confronto. Il patto di consultazione che raccoglie l’11% del capitale di Mediobanca ruota intorno alla famiglia Doris e, fin qui, ha sempre sostenuto Alberto Nagel. La risposta di Tajani appare come una prima benedizione: «La linea che seguiamo è la difesa del libero mercato», ha affermato il vice premier, sottolineando che l’operazione è finalizzata al rafforzamento del credito. «Tutto ciò che permette di rinforzare il sistema bancario va nella giusta direzione», ha aggiunto, ribadendo la necessità di spingere sulla privatizzazione di Mps. Anche Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato più rappresentativo dei bancari, che aveva già prospettato lo scenario durante un incontro con i coordinatori, si mostra favorevole. «Un’operazione di questa portata non può essere valutata solo sul piano economico e strategico», ha dichiarato parlando di «un’azione strategica di grande rilevanza, decisa, da chi ha una visione chiara del futuro del settore, della finanza e del mondo, anche al di fuori dei soliti schemi». Sileoni ha insistito sulla necessità di un piano industria trasparente. «L’operazione», dice, «conferma, che Mps, completamente risanata grazie al contributo delle lavoratrici e dei lavoratori oltre che all’ottimo lavoro dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio può proseguire nel percorso che preservi la sua storia e la sua autonomia». Infine, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. La sua figura in questa partita è fondamentale e su di lui si concentrano le attenzioni dell’opposizione. «Chiameremo in Parlamento il ministro per chiedergli come l’esecutivo si vuole rapportare nei confronti dell’operazione», fa sapere Antonio Misiani, responsabile economia del Pd.
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






