
Il presidente turco ha annunciato l’intenzione di effettuare una nuova incursione militare in Siria. La Casa Bianca è irritata, ma Ankara punta a sfruttare il proprio potere di veto sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. A breve potrebbe scoppiare un’ulteriore crisi internazionale. La scorsa settimana, Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere di star pianificando una nuova incursione militare in Siria. "Presto adotteremo nuove misure per quanto riguarda le parti incomplete del progetto che abbiamo avviato nella zona di sicurezza profonda 30 km che abbiamo stabilito lungo il nostro confine meridionale", ha dichiarato il presidente turco, sottolineando che l’operazione avrà inizio al completamento dei preparativi da parte dell’intelligence e delle forze di sicurezza di Ankara. Come riferito da Al Jazeera, “l'area presa di mira dalla proposta operazione militare è controllata dalle Forze democratiche siriane, un gruppo ombrello che comprende le Unità di protezione del popolo, un’organizzazione armata curda nota anche come YPG”. Ora, le unità YPG intrattengono stretti legami con il PKK, che la Turchia considera un gruppo terroristico. È in tal senso che, a partire dal 2016, la Turchia ha condotto tre incursioni militari in Siria, sostenendo di voler proteggere la propria frontiera e ricollocare i numerosi profughi siriani presenti nel proprio territorio: una presenza, quella dei profughi, che negli ultimi anni ha recato significativi problemi sociali ed economici a una Turchia che, a giugno 2023, terrà le sue prossime elezioni presidenziali. La questione della nuova incursione militare si pone in una fase internazionale particolarmente delicata, in quanto caratterizzata dall’invasione russa dell’Ucraina. Ricordiamo che, al momento, Erdogan ha bloccato l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, adducendo come motivazioni il fatto che questi due Paesi intrattengano legami con i curdi. Se ufficialmente la posizione del Sultano è dettata da preoccupazioni di sicurezza, non è affatto escludibile che – con questo suo veto – il leader turco punti in realtà ad ottenere qualche contropartita. Ebbene, è plausibile ritenere che tra gli eventuali obiettivi figuri quello di un benestare da parte dell’Occidente alla nuova incursione in Siria. Non è del resto un caso che una delle condizioni poste da Erdogan a Svezia e Finlandia per il loro ingresso nella Nato sia la revoca di un embargo di armi che avevano imposto alla Turchia, dopo l’attacco in Siria del 2019. Queste pressioni turche stanno creando fibrillazione in seno all’Alleanza atlantica, anche perché gli Stati Uniti hanno mostrato irritazione nei confronti di una nuova incursione condotta da Ankara. "Siamo ovviamente molto preoccupati per l'annuncio dei turchi che intendono aumentare la loro attività militare nel Nord della Siria", ha detto giovedì il portavoce del Pentagono John Kirby. “Ciò potrebbe attirare il potenziale personale delle SDF ad allontanarsi dalla lotta contro l'ISIS, che è ovviamente ciò su cui ci stiamo concentrando nel Nord della Siria”, ha aggiunto. “Condanniamo qualsiasi escalation. Supportiamo il mantenimento delle attuali linee di cessate il fuoco", ha affermato dal canto suo il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price. "Qualsiasi nuova offensiva minerebbe ulteriormente la stabilità regionale e metterebbe a rischio le forze statunitensi nella campagna della coalizione contro l'ISIS", ha proseguito. Va da sé che queste polemiche interne indeboliscono la Nato agli occhi dei suoi avversari a Mosca e a Pechino. Senza poi trascurare la ben nota ambiguità di Erdogan che, almeno dal 2017, ha rafforzato i propri rapporti con il Cremlino.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






