2025-03-04
Miracolo: Londra torna faro di civiltà
È bastato qualche giorno di attivismo di Keir Starmer per archiviare anni di rancore per la Brexit. E ora, sui media, i «bifolchi sciovinisti» britannici ridiventano lord.Il potere e la politica non tollerano vuoti e di fronte al deserto chiamato Ue sono tutti pronti a salutare il ritorno del Regno Unito al centro dell’Occidente. Con il premier Keir Starmer che prepara il piano per la famosa «pace giusta» insieme al solito Macron, ecco che sui giornaloni e nel campo progressista si sprecano gli elogi per il «grande ritorno» di Londra, addirittura nuovo «ago della bilancia». E c’è anche chi si spinge a ipotizzare che al 10 di Downing Street possano spuntare la nuova Thatcher e persino il novello Churchill. Peccato che fino a ieri, per colpa della Brexit «figlia dei nazionalismi» (Paolo Gentiloni dixit), gli inglesi erano diventati un popolo di bifolchi, egoisti e ottusi, che avevano rifiutato il paradiso di Bruxelles. Dopo il vertice del weekend a Londra, Francia e Regno Unito prendono in mano l’iniziativa sull’Ucraina per impedire che Stati Uniti e Russia risolvano la faccenda da soli. Il dato politico è che dopo anni di asse franco-tedesco si va verso un asse franco-britannico. Con una piccola, paradossale, differenza: uno dei due Paesi se n’è andato dall’Europa e anche sbattendo la porta. Mentre gli altri europeisti gli profetizzavano un futuro di lacrime e sangue. Ora tocca leggere titoli che fino a poche settimane fa sarebbero suonati davvero surreali. Potenza degli incubi incarnati da Trump, Vance ed Elon Musk. Repubblica, per esempio, ieri titolava: «L’ago della bilancia Keir Starmer oscilla tra Europa e Stati Uniti». La Stampa si allargava persino su Re Carlo, con un editoriale che lodava «il soft power della monarchia inglese» nel ricevere il bastonatissimo Volodymyr Zelensky. Il Corriere della Sera raccontava di «Re Carlo il pacificatore», con identica, rapita, magnanimità. Poi, in una corrispondenza da Londra sobriamente titolata «La rivincita di Starmer, regista degli sforzi e cerniera fra le sponde dell’Atlantico», ecco lo scenario per il nuovo Millennio: «il disimpegno americano proietta automaticamente la Gran Bretagna in una posizione di leadership, grazie al fatto di incarnare, oltre alla Francia, l’unica potenza militare credibile in Europa e ad avere un arsenale nucleare». E finiva sostenendo che, in caso di successo, Starmer diventerebbe «un emulo di Churchill e della Thatcher». Sì, come no. Alla fine della scorsa settimana, alla direzione del Pd, Elly Schlein ondeggiava tra il sostegno incondizionato a Kiev e il consueto «no all’Europa che fa la guerra». Commenti positivi sul compagno laburista Starmer, che però incarna una sinistra molto più moderata, con poco arcobaleno e ancor meno barconi, ma molta attenzione ai temi della sicurezza e dell’aumento del budget per la difesa. Negli anni del Covid, la sinistra italiana invece stava al governo con Giuseppe Conte e Roberto Speranza a sfornare dpcm e green pass, si è divertita a dileggiare Boris Johnson, stazzonato e spettinato, ma che era un politico molto meno improvvisato dello statista di Volturara Appula. L’allora commissario Ue Paolo Gentiloni, cinque anni fa, quando Ue e Regno Unito firmarono gli accordi di divorzio, ammoniva che «la Brexit ci ricorderà quanto è pericoloso alimentare l’illusione nazionalista» (20 dicembre 2022). Mentre il filocinese Romano Prodi, oggi dotato di «cattedra Agnelli» a Pechino, ci spiegava il «totale fallimento della Brexit» e che «il vero fondamento della decisione di uscire dall’Unione Europea non era la prospettiva di un guadagno economico, ma la nostalgia di un grande passato» (Il Messaggero, 9 gennaio 2022). Ma ora che va a braccetto con Parigi sulle macerie di Bruxelles, Londra è tornata Faro di civiltà.