2018-03-27
«Mio padre è morto ma il suo fallimento iniziato nel 1988 ancora non è chiuso»
Achille Frisani è deceduto nel 2009. «I beni di mia madre divorziata, revocati nel 2000, restano ancora oggi invenduti»Questa intervista nasce in modo strano. Nasce dalla pubblicità che vedete in pagina. Quando ieri l’abbiamo ricevuta e letta ci siamo accorti che il claim conteneva una notizia. Il trentesimo anniversario di un fallimento. Pur avvezzi alle lungaggini della burocrazia italiana, ci sembrava in ogni caso troppo. Così abbiamo preso il telefono e chiamato l’inserzionista. È un avvocato fiorentino che si occupa di pubblica amministrazione. Ha seguito attivamente i temi della legge Fornero e il bonus Poletti, ma stavolta la vicenda è personale e riguarda le vicissitudini giudiziarie e amministrative del padre Achille. Perché pubblicizzare una vicenda così delicata, e soprattutto perché in 30 anni un procedimento fallimentare non si è ancora chiuso?«Alla prima domanda le rispondo dopo. Alla seconda provo a rispondere. È ovviamente una vicenda complicata. Nel 1987 mio padre viene segnalato da un informatore anonimo come partecipante a un business illecito: traffico di armi. Gli inquirenti indagano sulla parte penale che si rivela dopo pochi mesi senza fondamento, le attività probabilmente gestite con qualche toppa si infrangono e a marzo del 1988 viene dichiarata bancarotta fraudolenta e trascorre qualche giorno in carcere».Di che attività si tratta?«Alcuni alberghi a Taranto e una concessionaria di auto».Vada avanti.«All’inizio degli anni Novanta mio padre si trasferisce a Roma e a dire il vero non segue con accuratezza la vicenda. Anzi sceglie di rifarsi una vita ma da cittadino di serie B. Almeno così sempre si definiva. In effetti riprese a vendere auto usate, ma senza mai intestarsi nulla né avere una carta di credito». E voi figli?«Nel 1987 mio padre e mia madre si erano separati. Noi siamo rimasti con la mamma che aveva ricevuto in occasione della separazione due piccoli alberghi a Taranto in via La Spezia e in via Falento, in modo da potersi occupare di me e dei fratelli economicamente. La vicenda fallimentare ci ha però segnati per tutta la vita».Siete stati coinvolti?«Dopo anni, per la precisione alla fine del decennio Novanta, abbiamo scoperto che l’iter fallimentare non era finito. Il curatore ha avanzato sui due piccoli alberghi una azione revocatoria, sostenendo che i beni fossero stati alienati per fuggire alla vicenda fallimentare».Era vero?«Non credo proprio. In ogni caso all’inizio del Duemila mia madre ha ceduto i due beni che sono finiti nel calderone frutto di altre azioni revocatorie».E perché il procedimento non si è chiuso?«Quei due alberghi sono ancora lì invenduti. Chiusi da mattoni e ormai ridotti a carcasse di immobili. Stessa sorte è capitata alla concessionaria d’auto di Taranto. Nulla è stato venduto per pagare i debitori». Suo padre è deceduto?«Sì, nel 2009. Dopo la sua morte abbiamo avuto accesso ad alcuni documenti che dimostravano come nell’ultimo decennio di attività a Roma avesse intestato beni a dei prestanome. In contemporanea abbiamo scoperto che a 21 anni di distanza il procedimento non si era chiuso. Nel frattempo al primo curatore fallimento era succeduto il figlio. Ho pensato bene per senso civico di informare il tribunale dei documenti rinvenuti a casa di mio padre. Lui ha sempre detto di essere un cittadino si serie B. Volevo che almeno da morto chiudesse i conti con la giustizia».Risultato?«Nulla. Ora c’è un terzo curatore, ma le segnalazioni fatte all’epoca non sono servite a niente. Tre anni fa dopo una lunga diatriba (con tanto di fidejussione bancaria) è stata rigettata la richiesta da me avanzata di concordato. Da due anni non so nulla».Perché?«Non lo so. So solo che tutti quei beni anche quelli tolti a mia madre giacciono abbandonati e penso che se il fallimento del 1988 si fosse risolto in poco tempo, mio padre forse si sarebbe rifatto una vita in regola. Non sarebbe stato un cittadino di serie B e forse i beni intestati a prestanome sarebbero stati della mia famiglia. Ma non sono qui a rinvangare le colpe degli individui. Vedo in tutto ciò le gravi pecche del sistema e di una burocrazia di gomma. Ho deciso di pubblicizzare questa scabrosa vicenda perché vorrei che altre famiglie in futuro non debbano mai provare ciò che è capitato a noi».A questo punto, quando si chiuderà il fallimento?«Quando venderanno i cespiti. Quindi non ho idea. L’unica cosa che potrò fare è portare il caso di mio padre davanti alla corte europea dei diritti dell’uomo».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)