2024-11-21
Ora a Milano i locali chiudono per insicurezza
Mentre Sala decanta la sua Città della Gioia, a due chilometri da Montenapoleone (appena eletta «via più cara del mondo») la Darsena è ostaggio delle baby gang, tanto che il ristorante Gud ha gettato la spugna. E nessuno vuol prendere il suo posto.«Vuoi una forchettata?». Renato Pozzetto affamato concupisce lo spaghetto che deborda dal piatto del muratore in canottiera. Annuisce ma fraintende; l’altro infatti gli pianta la forchetta in una mano e se la ride. Nonsense meneghino in purezza. La scena cult di Un povero ricco è stata ripetuta a nastro, tutti i giorni per 8 anni, sul maxischermo dietro il bancone del Vista Darsena; fu girata proprio lì dove il Naviglio grande si arrende e diventa città. Adesso basta. A inizio novembre uno dei locali di riferimento della movida ha tirato giù la serranda perché «tenere aperto era diventato troppo pericoloso», parola del gestore Ugo Fava. E dalla Milano da bere si passa in fretta alla Milano da nascondere, fra baby gang straniere, agguati, bottiglie spaccate, vetrine rotte, tavolini gettati in acqua nella notte e sicurezza zero.È solo l’ultimo episodio del grande equivoco fra la «metropoli tascabile multicult» raccontata dal sindaco Beppe Sala e dai suoi cantori, e la dura realtà di una stagione che comincia a far paura. Per capirlo basta continuare ad ascoltare Fava: «Ormai la Darsena è insicura, terra di nessuno. Chi si siederebbe a un tavolino a bere una birra con il rischio di prendere un coccio in faccia? Perché di questo stiamo parlando. Avevo difficoltà anche a trovare dipendenti. Molti di loro non volevano lavorare la sera per paura; una cameriera è stata anche minacciata con un coltello. Il macellaio del mercato qui vicino è stato menato. Questo posto, visto che non è davanti al Duomo, sembra essere completamente abbandonato dall’amministrazione comunale». Lo spiega al Corriere della Sera, aggiunge che non ha partecipato al bando per rinnovo del contratto; 150.000 euro l’anno di affitto e occupazione di suolo pubblico sono troppi non solo per lui, ma anche per gli altri sei aspiranti che dopo opportuna verifica della situazione si sono defilati. Gara deserta, l’assessorato dovrà abbassare le pretese. «Chi investirebbe in un posto ormai diventato terra di nessuno?». Prima del Covid in Porta Ticinese stazionava una camionetta dell’esercito ma le divise infastidivano la giunta radical rossoverde; tutto così disdicevole per la narrazione politicamente corretta. Così il gestore del Vista Darsena ha dovuto pagarsi la security privata e alla fine ha gettato la spugna.Una storia malinconica dalla quale si percepisce il degrado, anche se Vanity Sala non sopporta la parola «percepito». A chi racconta da anni lo scivolamento verso Gotham City ha sempre risposto: «Ma che film state vedendo?», negando l’emergenza, irritato per lo smantellamento progressivo della narrazione da Città della Gioia. Quella città che può vantare via Montenapoleone come «la via del lusso più cara al mondo», più ancora della Upper 5th avenue a New York, secondo un report del gruppo immobiliare Cushman&Wakefield. Sala ha sempre sostenuto che fosse il centrodestra ad alimentare una paura fasulla, parlando di «gap tra la realtà e quello che la politica in modo strumentale vuole fare apparire». Al massimo concedeva che «ci sono disordini fra ragazzini che vengono da fuori». Salutando il Vista Darsena, Simone Lunghi, storico responsabile della Canottieri San Cristoforo, nei giorni scorsi su Facebook ha scritto qualcosa di diverso: «Più di una volta i tavolini, le sedie e gli ombrelloni sono stati gettati in acqua da vandali durante le ore notturne, e addirittura a volte durante le ore di apertura, da parte di balordi, squilibrati e criminali che hanno terrorizzato la clientela». Uno dei quartieri più turistici di Milano è sotto assedio, la cronaca dei mesi scorsi non fa sconti. Quindici ragazzi che mangiavano una pizza nel parco Baden Powell sono stati accerchiati e rapinati (via portafoglio, orologi, catenine e telefonini) da quattro minorenni guidati da due maggiorenni africani. Una baby gang di cinque egiziani ha aggredito una coppia che passeggiava ed è riuscita a dileguarsi spruzzando spray al peperoncino contro le forze dell’ordine. In Ripa di Porta Ticinese nove studenti sono stati accerchiati da una banda di ragazzine che li ha aggrediti dopo averli minacciati con dei cocci di bottiglia. L’estate scorsa durante un maxi blitz sono stati sequestrati tirapugni, coltelli, mazze da baseball e altri oggetti atti ad offendere. Sapessi com’è strano farsi rapinare a Milano. Ma per la giunta rossoverde sono «disordini fra ragazzini che vengono da fuori».Nella metropoli tascabile carabinieri e polizia hanno mappato 13 baby gang, ciascuna radicata in un quartiere. Sono bande di immigrati di seconda generazione (nordafricani, sudamericani, arabi, marocchini, egiziani supportati da italiani) ai margini della società; vittime di drammi famigliari, tutti con l’unico mantra della visibilità social. L’approccio è comune, mandano in avanscoperta i due più giovani (anche dodicenni) che agganciano il passante con un pretesto. Poi arrivano i boss con il coltello e con una filosofia elementare ma efficace: «Non gridare e facci vedere quello che hai in tasca. Tranquillo; questa sera è toccato a te». Talvolta prendono di mira i tram, si piazzano fra i binari e minacciano i passeggeri. Filmano tutto e postano su Tik Tok. Cronache da un fallimento. A mandare in soffitta ogni accusa di «paranoia securitaria» (frase che piace all’amministrazione Sala) non è solo la realtà, ma anche la statistica. L’area metropolitana di Milano è prima per delitti ogni 100.000 abitanti (fonte dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno); Milano è prima nell’indice di criminalità del Sole24Ore. E anche l’ultima graduatoria che premia la città come migliore d’Italia per qualità della vita (fonte Italia Oggi), nel settore sicurezza è impietosa: 106º posto, fanalino di coda. Vanity Sala spiega i numeri così: «Sono convinto che questo accade perché a Milano la gente denuncia ancora tanto, quindi magari si lamenta ma nella giustizia crede». Da Marte è tutto.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)