2023-12-09
La sinistra deve calunniare de Benoist per assolversi da tutti i suoi peccati
Michel Onfray (Getty Images)
Il filosofo anarchico Michel Onfray difende il fondatore della Nouvelle droite: «Ha una cultura incredibile, i suoi testi mi fanno pensare, le riviste progressiste no. Bernard-Henri Lévy mi chiese di stargli lontano».Pubblichiamo qui un estratto dell’intervento del filosofo Michel Onfray contenuto nel libro Un chemin de pensée. Textes offerts à Alain de Benoist à l’occasion de son 80e anniversaire, curato da Guillaume Travers e appena pubblicato dall’Association des Amis d’Alain de Benoist.La logica del capro espiatorio è nota: l’animale non è responsabile e colpevole di nulla, ma la comunità ritiene che occorra caricarlo di tutti i peccati del mondo, lo si sgozza e, come per incanto, la colpa che si crede che egli incarni - in senso etimologico: che porta nella sua carne - è redenta. […] Da molti anni, nel tempio del pensiero francese, Alain de Benoist è il capro espiatorio sacrificato senza che si sappia quali peccati debba lavare… Io ho comunque delle mie idee su questo tema. Mi si concedano tre storie personali.Primo attoNel 1990, quando avevo appena terminato un elogio di Diogene il cinico nel mio Cinismo. Principi per un’etica lucida, il mio editor di allora in Grasset, Jean-Paul Enthoven, mi fece sapere che Bernard-Henri Lévy, il direttore della collana Figures nella quale il libro doveva essere pubblicato, auspicava che io aggiungessi qualche pagina per evitare di farmi arruolare da Alain de Benoist e dalla Nouvelle droite con il pretesto che avrei fatto l’elogio del paganesimo greco -cosa che d’altronde provava che né l’uno, né l’altro avevano veramente letto il mio libro, perché Diogene di Sinope non era affatto un devoto degli antichi dèi, è il minimo che si possa dire. Questo lontano precursore del detto «né Dio, né padroni» non era suscettibile di essere arruolato da nessuno, né dal neopaganesimo della Nouvelle droite - Visto da destra di Alain de Benoist era del 1977 - né dal neogiudaismo di Bhl, il cui Testamento di Dio era apparso nel 1979. Erano passati dieci anni e «Bhl» - chiamo così, tra virgolette, la ditta che gravita attorno al personaggio - era ancora messo così: gli occorreva un nemico di destra (dunque di estrema destra, ovviamente, è molto meglio per la leggenda, per la sua leggenda) al fine di passare per un uomo di sinistra, cosa che non era già più da La barbarie dal volto umano, del 1977. […] Bhl trionfava posando con un fucile di legno in mano sulla pelle di un leone dal pelo sintetico: per poter essere antifascista, bisognava che Adb fosse stato fascista e che lo restasse fino alla fine dei tempi. Ora, fino a prova contraria, cioè con dei testi che lo provino, Adb non è mai stato fascista, ovvero militante per instaurare in Francia un regime militare, antidemocratico, antirepubblicano, a partito unico, razzista, xenofobo, antisemita e totalitario. E stato di estrema destra, quella vera, sostenendo l’Oas e il regime di apartheid in Sudafrica in un tempo in cui altri, la maggior parte degli intellettuali francesi, difendevano i regimi marxisti-leninisti, Urss in testa, ma anche Cuba, il Vietnam, Pol Pot, che si rivelarono, loro sì, regimi militari, antidemocratici, antirepubblicani, a partito unico, xenofobi, antisemiti, totalitari. Due pesi, due misure. Dal canto mio, non ho alcuna simpatia per questo tipo di regimi, di destra o di sinistra. Non vengo né dall’estrema destra, né dall’estrema sinistra, non sono mai stato comunista, marxista, trotzkista, castrista, guevarista, non ho nulla da farmi perdonare. La mia sinistra non trova la sua realizzazione in quei regimi. Se prendiamo il caso di Alain Badiou, egli ha potuto, e può ancora, senza alcun problema, fare l’elogio del regime cinese benché sia noto che la sola Rivoluzione culturale ha causato la morte di milioni di persone, si parla di 20 milioni. Ci sono dunque dei passati che passano, quelli di sinistra, e passati che non passano, quelli di destra. […]Secondo attoSono in Italia per una conferenza in un luogo che ho dimenticato, in una data che ho dimenticato, per un tema che ho dimenticato, in occasione della pubblicazione di un libro di cui ho dimenticato il titolo. Forse era Politica del ribelle, uscito per Grasset nel 1997. Si dirà che ci sono molte dimenticanze. È vero. Ma quello che qui importa è ciò di cui mi ricordo. Era, nel secolo scorso, un raduno tematico, con giornate piene da mattina a sera. Sul posto noto la presenza di Alain de Benoist nel programma. È un’epoca in cui sono ancora prigioniero di ciò che la gente pensa di me, un vizio di cui mi sono sbarazzato. Ormai non mi interessano assolutamente queste cose, chiunque può pensare qualunque cosa di me: sono sul mio aratro, conta solo scavare il solco giusto. Al resto riservo una grande risata nietzscheana. In Italia, mi sorprendo allora a pensare due cose. La prima: che penseranno di me se per caso scoprissero la mia presenza in un convegno al quale partecipa Alain de Benoist? «Loro» sono di fatto la ditta «Bhl», il mio editor di allora, e tutta la stampa detta di sinistra che fa il bello e il cattivo tempo culturale a Parigi, dunque in Francia. La polizia politica dei media, credendo che Alain de Benoist sia il diavolo, dirà che se sono qui è perché ho meritato l’invito e che non c’è fumo senza fuoco, conosciamo la logica. Ho circa trent’anni, sono vergine nelle orge intellettuali della Babilonia di Saint-Germain-des-Prés, di cui percepisco la furia solo restando sulla soglia della porta socchiusa. La seconda: mi informo sul giorno e sull’ora dell’intervento del diavolo. Troppo tardi, era il giorno prima; Mefistofele se n’è andato... All’epoca leggo in effetti la rivista Éléments (la principale rivista della Nouvelle droite, ndr) in edicola ad Argentan, nell’Orne, dove abito, e vi trovo materia di riflessione intellettuale: il problema non è sapere se si è o meno d’accordo, ma se il testo letto ci fa pensare. Alain de Benoist mi faceva già pensare. Cosa che non accadeva con Politis (settimanale di sinistra, ndr) o altra merce avariata dello stesso genere. C’era in lui, e c’è ancora di più oggi, un’incredibile cultura, un sapere enciclopedico, una valanga di riferimenti che non ho e che colmano la mia libido sciendi, la libido che ha sempre avuto la mia preferenza. Ciò che ignoro non offende il mio orgoglio ma fa felice la mia anima. Egli sembra aver letto tutto, integrato tutto, tradotto tutto, assimilato tutto. E ancora: ignoravo allora i suoi numerosi pseudonimi, e li ignoro ancora, ma ne conosco qualcuno che gli permette di frammentare i suoi interventi, una frammentazione senza la quale passerebbe altrimenti per un incredibile Shiva onnipotente. È un orco, io adoro gli orchi. Gli ho fatto visita al suo domicilio in Normandia: la sua biblioteca è una tebaide. Un orco in una tebaide: ecco il mio ideale di felicità terrestre.Terzo attoIn un articolo su Le Point rispondo a una domanda che ho di nuovo dimenticato. Probabilmente una di quelle che mi vorrebbero far confessare di essere cambiato, mentre io sono restato lo stesso ed è la sinistra che è cambiata […]. Per illustrare il mio pensiero scrivo: «Preferisco un’idea giusta di Alain de Benoist a un’idea falsa di Bhl e un’idea giusta di Bhl a un’idea falsa di Alain de Benoist». Il che è una banalità basilare, perché ho semplicemente detto che preferisco il vero al falso, il giusto all’ingiusto, la verità all’errore. Chi potrebbe essere in disaccordo? Manuel Valls, allora primo ministro del presidente Hollande, amputa la mia frase - lui o colui che si occupa del suo profilo Twitter - e scrive: «Guardate dove va a parare Michel Onfray che, oggi, preferisce le idee di Alain de Benoist a quelle di Bhl». Uno spirito malizioso avrebbe potuto in effetti far notare che, per uno slancio di grandezza e generosità, avevo formulato l’ipotesi che una idea di Bhl possa essere giusta, il che è già molto. La Ditta voleva che fossi assimilabile al fascista Alain de Benoist. Su un account che successivamente ho affossato, ho poi definito il primo ministro di allora un «cretino». Forse era il suo ghost writer, ma se non era lui, allora era suo fratello.Queste tre storie mostrano come esista un abisso tra Alain de Benoist e il suo avatar nei dispositivi politici contemporanei. Questo avatar è costruito da zero per rimodellare ideologicamente la realtà: finché si fantastica e si romanza la realtà, la si può ricostruire come si vuole. Come Napoleone nel giorno della sua incoronazione, ponendo la corona sul proprio capo alla presenza del Papa, la sinistra si attribuisce il monopolio del Bene, è dalla parte del Giusto, della Ragione, della Giustizia, dell’Umanità e del Progresso, e tutto ciò che non lo è si trova dalla parte dell’irragionevolezza, della follia, dell’ingiustizia, della disumanità e della reazione. La ghigliottina? Virtù. Il tribunale rivoluzionario? Giustizia. Il genocidio vandeano? Umanismo. Il gulag? Progresso. La pedofilia sessantottina? Libertà. Il patto germano-sovietico? Virtù, giustizia, umanismo, progresso e libertà… Questa ricostituzione della realtà permette quindi di invertire i poli: con questo gioco di prestigio il negativo della storia diventa il positivo dell’ideologia. A sinistra, lo sappiamo, la dialettica fa sfaceli… Essa permette anche, attorno al sacrificio del capro espiatorio, di caricare l’animale di tutti i peccati del mondo e di fare comunità: questo animale sacrificato è dunque, lui solo, sragione, follia, ingiustizia, inumanità, reazione. […]La cosa peggiore è che questo ostracismo verso Alain de Benoist priva il Paese di dibattiti intellettuali d’alto livello; ma è pur vero che questa pratica permette agli intellettuali del sistema di passare per fari dell’umanità. Egli ha per esempio pubblicato un libro su Gesù, L’homme qui n’avait pas de père. Le dossier Jésus, 962 pagine, che è, peso le mie parole, l’equivalente de La vita di Gesù di Renan nel nostro tempo. Per molti sarebbe stato il solo libro di una lunga vita di lavoro, per lui è solo una delle numerose opere, più di un centinaio, della sua abbondante bibliografia. Ebbene: nessun invito sui media, dunque nessun dibattito, dunque nessuna discussione, il che vale a dire una sepoltura di terza classe, cioè una delle modalità del negazionismo dei benpensanti. È certamente in nome della tolleranza che essi intollerano, se mi si permette questo neologismo. È vero che i lettori di appunti, i sempliciotti del gobbo, i collegati all’auricolare che oggi fungono da trasmettitori di cultura nei media farebbero fatica a condurre un dibattito, e ad alimentarlo su questo argomento come su tanti altri. Alain de Benoist è uno degli ultimi uomini annunciati da Nietzsche. In un mondo che non sa, non vuole, non può più leggere, e dove tanti ancora scrivono, che senso hanno i pensatori? Nietzsche stesso dà la risposta nella Gaia scienza: quello di «nuocere alla stupidità». Compito infinito.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)