2024-05-14
Valditara: «La Schlein non conosce i numeri, noi puntiamo ai corsi di potenziamento per stranieri»
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Giuseppe Valditara e Francesco Borgonovo
Il ministro dell'Istruzione interviene a il Giorno della Verità intervistato da Francesco Borgonovo. «Chi sfascia la scuola durante le occupazioni non capisce nulla di democrazia e soprattutto pesa economicamente sui noi cittadini che dobbiamo rimborsare i danni».
«Nel 1999, con il governo D'Alema e il ministro Berlinguer e con Ciampi presidente della Repubblica, la sinistra riformista volle introdurre il limite di studenti stranieri per classe per consentire a loro di integrarsi meglio. Nessuno sollevò alcuna critica». Giuseppe Valditara, ministro dell'Istruzione del governo di Giorgia Meloni risponde così a Francesco Borgonovo che gli domandava in che modo si affrontava la presenza di stranieri nella scuola pubblica. «A me piace la concretezza» dice Valditara che ricorda «come l'oltre il 30% dei ragazzi stranieri lascia la scuola. «E' il dato più alto in Europa, un terzo dei ragazzi stranieri rischia di non avere in mano nulla. E’ razzista occuparsene o piuttosto non occuparsene?» spiega il ministro che risponde così al segretario del Partito democratico Elly Schlein che nei giorni scorsi aveva parlato di un governo che si occupa di scuola «soltanto per discriminare» dove non si vedono «investimento sulla scuola pubblica». Per Valditara, il problema vero la sinistra dimentica «è quello dell'integrazione, innanzitutto il distinguere se tu studente che arrivi in Italia parli italiano oppure no. Oltre il 30 per cento di ragazzi stranieri si disperde. È razzista preoccuparsi di questo o forse lo è non fare nulla? Schlein si documenti meglio altrimenti dimostra di non avere buoni consulenti in materia di scuola». Per questo, insiste il ministro, «serve una verifica di conoscenza dell'italiano. Non ci deve essere una maggioranza di persone che non conoscono l’italiano in una classe. Gli stranieri hanno problemi in italiano e matematica. Servono quindi orsi di potenziamento per i ragazzi stranieri. Devono essere fatti a parte e si possono sia la mattina oppure nel pomeriggio. Inseriremo il provvedimento nel prossimo decreto».
Valditara ha insistito sull'importanza del collegamento tra impresa e scuola. Un tema che si intreccia con quello del bullismo che si combatte anche con una scuola capace di motivare. Ho conosciuto ragazzi condannati con problemi di droga che si sono trasformati perché avevano trovato il loro percorso. Una didattica sempre più personalizzata riduce molto le fantasie negative degli studenti. credo molto nella responsabilità individuale, perché accanto ai diritti ci sono anche i doveri. Se non c’è un limite i diritti non hanno senso». Sul tema delle scuole occupate, per esempio, «ho criticato chi sfasciava la scuola mentre la occupavano» ammette Valditara. «Ho visto i computer lanciati dalla finestre o i fili della luce tagliati. Al liceo Severi è stato tagliato il diritto allo studio con 70000 euro di danni. Queste persone non capiscono nulla di democrazia. C'è un tema economico di fondo. Perché buttiamo milioni di euro l'anno dei nostri contribuenti. Mi è molto dispiaciuto vedere che qualche genitore ha impugnato la sospensione al Tar».
E poi, per cattiva condotta «non ha veramente senso la sospensione come è intesa oggi. Se uno studente ha picchiato un insegnante e lo tengo a casa 15 giorni gli faccio un regalo, magari passa quel tempo per giocare alla play station o stare al cellulare». Per Valditara sarebbe meglio se lo studente fosse «costretto a fare più scuola e confrontarsi con la società in modo solidale, per esempio lavorando in ospedale o in una Rsa, con anziani. A fare una specie di servizio sociale dove impara cosa vuol dire la solidarietà».
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2024-05-14
Urso: «L'Ue dovrà tutelare la produzione nazionale di fronte a fenomeni di concorrenza sleale»
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Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso intervistato da Paolo Del Debbio
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy in collegamento video al Giorno della Verità: «Noi siamo aperti a favorire chi vuole investire nel nostro Paese per produrre in Italia utilizzando componenti italiane, non chi vuole assemblare».
Dopo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intervistato dal direttore Maurizio Belpietro, tocca ad Adolfo Urso. Il titolare del ministero delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, intervenuto in collegamento video, ha risposto alle domande di Paolo Del Debbio.
Oggi l'ad di Stellantis Carlos Tavares ha annunciato la commercializzazione di auto cinesi in Europa e in Italia ma non la produzione, la Francia ha fatto un accordo con la Cina. Come la vede lei?
«Io credo che l'Unione europea dovrà muoversi necessariamente su una politica industriale astrattiva, che investa sulle imprese come stanno facendo gli Stati Uniti. L'Europa dovrà investire sulla produzione e la prossima commissione dovrà basarsi sulle risorse comuni, un po' come fatto sul modello del Pnrr. Gli Usa hanno annunciato dazi pari al 100% sulle auto elettriche cinesi. È inevitabile che l'Europa dovrà tutelare la produzione nazionale di fronte a fenomeni di concorrenza sleale. Ritengo necessario che in Italia ci sia almeno un secondo produttore automobilistico».
Ministro lei sta lavorando a strumenti che possano collegare risorse come l'enorme potenziale del risparmio privato italiano alle necessità produttive. Qual è logica di tutto questo?
«Noi stiamo concentrando nostre risorse per sostenere chi vuole investire in Italia nella tecnologia green e digitale. Dagli impianti di produzione fotovoltaica ed eolica, ai chip e ai semiconduttori. Abbiamo realizzato il piano transizione 5.0 che entrerà in vigore tra poche settimane che vedrà l'investimento di 6,4 miliardi di euro nazionali e 6,3 miliardi di euro europei, per un totale di circa 13 miliardi. E gli effetti si cominciano a vedere perché già molte multinazionali hanno annunciato di voler investire nel nostro Paese».
Con l'ex Ilva di Taranto a che punto siamo?
«I commissari stanno avviando tutte le opere necessarie per la ripresa produttiva, a cominciare dalla manutenzione degli altiforni. Siamo riusciti a intervenire in tempo per salvare l'altoforno 4 e ora sono state attivate tutte le misure per la manutenzione degli altri altiforni in maniera da garantire la ripresa e il rilancio della produzione nei prossimi mesi. Noi puntiamo al rilancio della siderurgia italiana a partire proprio dall'ex Ilva di Taranto, perché la siderurgia è alla base dell'industria manifatturiera».
E sulla questione della chimica come vi state muovendo?
«Stiamo lavorando affinché i poli chimici siano sostenibili sul piano ambientale, vogliamo raggiungere l'obiettivo della chimica, così come della siderurgia, verde in Italia e pensiamo che possiamo farlo perché siamo i più bravi in Europa per quanto riguarda l'economia circolare. Per questo motivo stiamo lavorando con il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin al decreto sulle materie prime grigie».
La Cina fa parte dell'organizzazione mondiale del commercio e quindi dovrebbe rispettare le regole di produzione. Pensa che a livello europeo ci vorrebbero strumenti adatti per far rispettare queste regole?
«Recentemente abbiamo avuto un confronto aperto con il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire e ne abbiamo parlato anche in occasione dell'accordo trilaterale con Germania e Francia volto a favorire gli investimenti, l'innovazione, la crescita e le transizioni verde e digitale. E abbiamo convenuto che l'Unione europea deve necessariamente sviluppare una politica comune adeguata rivolta a chi sviluppa prodotti fuori dall'Europa. Sono convinto che il prossimo Parlamento e la prossima Commissione europea dovranno necessariamente andare su questa strada raccogliendo la sfida lanciata degli Stati Uniti per contrastare l'egemonia cinese. Le dirò. Il nostro governo è uscito dall'accordo della Via della seta, ma non per questo sono diminuiti gli interscambi tra Italia e Cina. Anzi, si è ridotto il divario tra l'import dei prodotti cinesi e l'export dei nostri prodotti in Cina. Siamo su una via del riequilibrio. Noi siamo aperti per chi investe nel nostro Paese per produrre in Italia, non per assemblare».
Nella sua visione di evoluzione del sistema produttivo, il settore manifatturiero è ancora una parte importante?
«Assolutamente sì, utilizzando a pieno le nuove tecnologie come l'intelligenza artificiale. Ritengo che attraverso l'innovazione possa crescere il Made in Italy e stiamo investendo sulla consapevolezza che in Italia possa nascere la tecnologia green e la tecnologia digitale per cui sono previsti almeno 10 miliardi di investimenti».
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Giancarlo Giorgetti e Maurizio Belpietro
Il ministro dell'Economia durante il Giorno della Verità punta il dito contro il Superbonus di Giuseppe Conte. «Da questo tipo di droga economica bisogna uscire. Purtroppo la disintossicazione è dolorosa ma qualcuno la deve fare».
Intervistato Maurizio Belpietro, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti parla a tutto campo al Giorno della Verità e risponde punto per punto alle domande del direttore del nostro quotidiano. A partire dal tema delle dimissioni ventilate in questi giorni sui giornali rispetto alle polemiche interne al governo sul superbonus. «È stata una misura eccezionale in tempi eccezionali, anche Ben Johnson ha vinto le Olimpiadi con il doping» ha detto. Quindi non ci sono dimissioni all’orizzonte. «No, io ho messo in chiaro una cosa che forse, nonostante il dibattito di questi mesi, non è sufficientemente chiara: quella è una misura eccezionale per tempi eccezionali, come tante altre cose fatte in epoca pandemica. Finita quella ubriacatura, da questo tipo di droga economica bisogna uscire'. Purtroppo - prosegue - la disintossicazione è dolorosa ma qualcuno la deve fare. Mi rendo conto che chi più ne trae vantaggi non è d'accordo, ma dalla droga bisogna uscire. Io spero che si metta un punto definitivo, però è giusto e anche mio dovere come ministro dell'Economia mettere in chiaro la situazione».
Del resto, l’impatto voluto della misura voluta dal governo di Giuseppe Conte è drammatico. «I dati sono ormai acclarati è chiaro che nei prossimi quattro anni, o addirittura nei prossimi dieci anni se passa l'emendamento in discussione, avremo allo stato attuale un impatto all'incirca di 30 miliardi ogni anno per i prossimi quattro anni». Perché «al netto delle detrazioni edilizie normali che sono state sempre attuate in questo Paese» qui siamo di fronte a «circa 150 miliardi la cifra in più rispetto alle ordinarie detrazioni che dal '96 sono sempre state praticate, che sono quelle a cui stiamo tornando in un percorso di disintossicazione, cioè le detrazioni in dichiarazione dei redditi in dieci anni per una percentuale dei lavori. «Quello che non è più accettabile perché senza senso - ha aggiunto Giorgetti - è dare il 110% a carico dello Stato a prezzi definiti dalle parti in cui lo Stato non c'è e non può neanche sindacare».
Per il resto, il ministro dell’Economia, ha ricordato che il governo sta «facendo in queste ore uno sforzo per cercare, molto faticosamente, una copertura finanziaria per rinviare l'entrata in vigore della sugar tax "al primo di gennaio del 2025. Credo che alla fine ci arriveremo però credo che non sia questo il tema centrale di politica economica di questo Paese». Rispetto invece al nuovo patto di stabilità che tornerà in vigore dopo gli anni dell’emergenza Covid, ci sarà la definizione di «un percorso che per un Paese molto indebitato e con tassi alti come l'Italia diventa molto difficile da onorare. Noi confidiamo che da un lato i tassi di interesse finalmente scenderanno, e io ritengo che il percorso inizierà presto. Dall'altro lato, dobbiamo fare un esame serio delle spese che ci possiamo permettere, tagliando tutto quello che possiamo tagliare e che non è produttivo. È uno sforzo che la politica deve fare seriamente».
Proprio sui tassi di interesse, Giorgetti ha ricordato di aver iniziato una fase dialettica con Christine Lagarde circa un anno e mezzo fa, dove «a mio giudizio l'inflazione in Italia e in Europa non dipendeva dal surriscaldamento dell'economia ma dall'andamento dei prezzi energetici e quindi una stretta di politica monetaria non serviva a nulla. Ognuno fa il proprio mestiere, la Lagarde fa la cattiva facendo la governatrice della Bce, io cerco di fare il cattivo difendendo gli interessi dell'Italia, facendo il ministro dell'Economia - ha proseguito -. Sono convinto che i tassi debbano scendere e scenderanno perché questa è la logica e la realtà, abbiamo un’inflazione che cuba ormai attorno al 2,5%, se si vuole arrivare alla recessione, non dico all'inflazione ma al deprezzamento, non credo che sia uno scenario realistico né per noi ne per la Bce». Il governo in questi anni ha portato avanti tagli alla spesa pubblica. «Lo scorso anno abbiamo tagliato circa 3 miliardi da ministeri e enti collegati, sembra poco ma di fatto abbiamo ridotto drasticamente la spesa discrezionale, cioè quella per cui non ci sono impegni vincolanti che non si possono disattendere» ha ricordato Giorgetti.
Rispetto invece al mercato europeo, «va bene la competizione all'interno del mercato europeo ma dobbiamo difenderci dalla competizione di chi arriva fuori dal mercato europeo. Non possiamo essere soltanto noi legati al purismo economico e alla teoria del libero scambio» ha detto il ministro dell'Economia, rispondendo a Belpietro che gli ha chiesto se l'Europa potrebbe seguire strada americana dazi contro Cina. «Credo che gli Usa abbiano già iniziato due anni fa con misure che si sono poi tradotte in una competizione con gli Stati europei, perché tante realtà che avevano valutato di fare insediamenti produttivi in Europa hanno optato per gli Usa - ha aggiunto Giorgetti -, grazie al sistema di sussidi. Parte una guerra di dazi e protezionismo e questa guerra economica nasconde una competizione di tipo geopolitico - ha concluso -. Bisognerà capire se l'Europa, come soggetto, saprà interpretare questa nuova fase storica e dare una dimensione anche di tipo strategico ai pilastri su cui è nata l'Unione europea». Proprio per questo motivo nel nostro continente i salari erano più alti negli anni '70, mentre sono crollati all'inizio del nuovo millennio. E se i salari sono bassi in Italia è anche colpa di questi «venti anni di Euro».
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Da sinistra: Sabrina Scampini, Peter Gomez, Maurizio Belpietro e Paolo Del Debbio
Nella tavola rotonda condotta da Sabrina Scampini, Maurizio Belpietro, Paolo Del Debbio e Peter Gomez affrontano i temi della censura, del giornalismo indipendente e di giustizia e garantismo.
Focus elezioni nazionali e internazionali: la grande truffa del giornalismo imparziale. È questo il titolo della tavola rotonda affidata alla conduzione di Sabrina Scampini, con gli interventi di Peter Gomez, Paolo Del Debbio e Maurizio Belpietro.
La conduttrice televisiva ha chiesto ai tre giornalisti se oggi in Italia esiste davvero un problema di censura. Il primo a rispondere è il direttore della Verità: «Sento parlare di censura da almeno 30 anni. Prima nessuno si occupava di questo argomento, poi è diventato di stretta attualità, ma solo quando al governo c'è il centrodestra. Quando c'è il centrosinistra invece è tutto rose e fiori» - afferma Belpietro - «Oggi la censura è più uno strumento che viene usato per criticare una parte politica. Ricordo quando Michele Santoro se ne andò dalla Rai quando c'era il centrosinistra al governo per esempio. Di episodi ce ne sono stati tanti, e poi qualcuno ha capito che fare la vittima conviene». «A chi si riferisce?», chiede la Scampini. «Da Fabio Fazio a tutti gli altri che se ne sono andati dalla Rai indignati avendo usato il servizio pubblico per fare promozione di se stessi e poi stipulare contratti più vantaggiosi altrove. Io penso che l'unico modo per difendere la libertà è dare qualche notizia in più, non organizzare conferenze stampa» conclude Belpietro.
Più o meno sulla stessa lunghezza d'onda è Peter Gomez: «Sono abbastanza d'accordo con quanto appena detto da Belpietro, ma dobbiamo aggiungere che oggi il servizio pubblico italiano proprio non funziona» - dice il direttore di ilfattoquotidiano.it - «In Italia esiste una cosa che si chiama Commissione di vigilanza parlamentare sulle televisioni, nei Paesi normali invece è il contrario. Io, più che con la censura, vedo problemi con il dissenso, ma tutti i poteri hanno problemi con il dissenso». Incalzato poi dalla Scampini sulle proteste che hanno impedito al ministro per le Pari opportunità e la famiglia Maria Eugenia Roccella di parlare dal palco degli Stati generali della natalità, Gomez si affida a una citazione di Sandro Pertini: «Libero fischio in libero Stato».
La parola popi passa a Paolo Del Debbio: «Io penso che fare il giornalista è importante, ma non cambia le sorti del mondo. Questo erigere alla figura di Matteotti uno a cui non gli è stata fatta fare un'invettiva in Rai pare eccessivo» - dice il conduttore di Dritto e rovescio riferendosi al caso Scurati - «Ci vorrebbe una forma di un'autorità indipendente che garantisca la libertà di stampa».
Il secondo tema del dibattito messo sul tavolo dalla Scampini è quello relativo ai concetti di giustizia e garantismo. «Sono settimane molto calde, a partire dal terremoto in Liguria. Secondo voi non c'è un garantismo a correnti alterne sia a destra che a sinistra?» chiede la giornalista. Il primo a rispondere è Gomez: «I partiti si devo assumere le responsabilità decidendo caso per caso come comportarsi. Aspettare i tre gradi di giudizio vuol dire dare alla magistratura il compito di scegliere la classe politica dirigente. Ci sono casi in cui è il processo a decidere se un soggetto è colpevole o innocente, ma altri in cui deve toccare ai partiti decidere e spiegare ai propri elettori le loro scelte. In tribunale vige il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio, ma in politica valgono criteri diversi». Il direttore della VeritàMaurizio Belpietro aggiunge: L'elenco di politici indagati per corruzione e poi prosciolti è sterminato, con conseguenti carriere politiche rovinate. C'è un tema di garantismo a toni alterni è vero. Ma i partiti dove sono in questi casi? Ci sono solo quando devono chiedere le dimissioni del governatore avversario?». Del Debbio invece sottolinea: «La scuola del diritto penale liberale in Italia riteneva che le tre questioni sulle quali giudicare un sistema giuridico sono la velocità nei processi, la gestione della detenzione preventiva e la questione della segretezza delle indagini. Bene, il nostro sistema di garantismo ha ben poco. Non è questione di garantismo o no, è questione di stato di diritto o non stato di diritto che esige segretezza, velocità e uso parsimonioso della custodia cautelare».
Ultimo tema di discussione all'interno della tavola rotonda è il giornalismo indipendente o meno. «Spesso il giornalismo dei grandi giornali non è indipendente perché è condizionato dagli interessi degli editori» afferma Belpietro. Sulla domanda rivolta dalla Scampini, se per un giornalista perseguire opinioni significa non essere imparziali, il direttore della Verità ha le idee chiare: «No, penso sia onesto dichiarare ai lettori come la si pensi. Poi il lettore è libero quando va in edicola di scegliere quale giornale acquistare». Secondo Gomez, invece, va riportata la centralità della notizia: «È vero che è giusto dichiarare la linea editoriale, ma il giornalismo imparziale lo vedi quando racconti il fatto e non l'opinione. Il problema di questo Paese è la scomparsa dei fatti. La notizia va raccontata, è un dovere di tutti».
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