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2019-10-26
Il corto circuito del capacity market. Il caso di Metaenergia: finanziamenti dall'Italia e investimenti all'estero
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Metaenergia
E questo avviene in una fase di difficoltà economica per la società, che negli ultimi due anni ha dovuto rimodulare i contratti con i clienti, 8.944 di cui 8.440 per la fornitura di energia elettrica, circa il 4,2% sul totale del mercato, e 504 per il gas, corrispondente allo 0,8% del totale. Sono le particolarità del mercato in questa fase di cambiamento, di aumento degli investimenti sulle fonti rinnovabili a discapito dei diktat dell'Unione europea sui processi di decarbonizzazione. Si tratta di un meccanismo transitorio, della durata di 10 anni, ma che sta creando non poche polemiche nel settore. In questo modo, infatti, Metaenergia, già in difficoltà, continua a ricevere finanziamenti, nonostante non abbia ancora centrali. Anche grazie al parere positivo del presidente di Arera Guido Pier Paolo Bortoni.
Per fare un esempio, un ciclo aperto a gas di Enel (es. Torrevaldaliga) costa 330.000 euro a megawatt. Moltiplicato per 1120 megawatt (sono due gruppi da 560 MW) costa 370 milioni. Il capacity market, invece, riconoscendo un valore massimo di 75000 euro a megawatt per 15 anni, ipotizzando il valore sarà di 75.000 per 1120 megawatt per 15 anni è paria a 1,26 miliardi. Insomma quattro volte l'investimento. Garantito per 15 anni. E questo dopo che è stata inserita la possibilità di remunerazione attraverso capacity anche degli impianti non autorizzati all'ultimo miglio di un percorso pluriennale di approvazione senza mettere questa previsione in consultazione.
Del resto da gennaio 2019 il carbone ha un costo variabile di produzione più alto di quello a gas. Questo sta determinando che lo spiazzamento (la mancata partecipazione al mercato dell'energia della produzione degli impianti a carbone) sta avvenendo per ragioni di costo (aumento del prezzo della CO2, maggiori vincoli di qualità del carbone richiesti per il rinnovo delle Autorizzazioni Integrate Ambientali di questi impianti) e quindi per dinamiche di mercato, senza costosi interventi pubblici. Il paradosso è che il sistema (con un costo di circa 1,5 mld annuo, questa come detto è la stima del costo annuale del capacity) sta incentivando l'uscita di impianti inquinanti, rigidi (nel senso che non sono utili a Terna per fare da back up alla repentina non programmabilità delle fonti rinnovabili sempre più diffuse nel nostro mix produttivo) e che sono già fuori mercato. Diverso sarebbe, e in linea teorica comprensibile, se ci fosse un incentivo a dismettere impianti che non sono a fine vita ma ancora utili al sistema e per scelta di politica ambientale vengono forzati a uscire con il riconoscimento di una sorta di ammortamento sugli investimenti aziendali. In questo caso, invece, con l'aggravante di spiazzare la tecnologia già esistente, si rischia di far pesare al sistema e ai cittadini costi sproporzionati e non necessari.
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Capacity market e mercato dell'energia in Italia. Il meccanismo istituzionalizzato prima dell'estate dal Mise di Luigi Di Maio dovrebbe da un lato assicurare la sicurezza del sistema, con un approvvigionamento di energia elettrica costante in casi di black out, dall'altro incentivare la dismissione di impianti alimentati a carbone che dovranno scomparire da qui al 2030. Il problema sono i costi, 1, 5 miliardi annui nei prossimi 15 anni, per la remunerazione delle grandi centrali termoelettriche, che potrebbero andare a incidere sulle bollette di noi cittadini. E, altra questione, è che aziende di trading come Metaenergia di Maurizio Molinari, molto nota nel settore anche per gli accordi con il gruppo di moda Prada e con Fiera Milano nel 2009, anche se senza centrali in Italia, è sempre più impegnata in investimenti all'estero. Il gruppo è infatti controllato al 93% da una società in Lussemburgo, la Meta Lux, e lo scorso anno ha sottoscritto un bond da 308 milioni di euro a Londra, assistita dallo studio di Franzo Grande Steven.E questo avviene in una fase di difficoltà economica per la società, che negli ultimi due anni ha dovuto rimodulare i contratti con i clienti, 8.944 di cui 8.440 per la fornitura di energia elettrica, circa il 4,2% sul totale del mercato, e 504 per il gas, corrispondente allo 0,8% del totale. Sono le particolarità del mercato in questa fase di cambiamento, di aumento degli investimenti sulle fonti rinnovabili a discapito dei diktat dell'Unione europea sui processi di decarbonizzazione. Si tratta di un meccanismo transitorio, della durata di 10 anni, ma che sta creando non poche polemiche nel settore. In questo modo, infatti, Metaenergia, già in difficoltà, continua a ricevere finanziamenti, nonostante non abbia ancora centrali. Anche grazie al parere positivo del presidente di Arera Guido Pier Paolo Bortoni. Per fare un esempio, un ciclo aperto a gas di Enel (es. Torrevaldaliga) costa 330.000 euro a megawatt. Moltiplicato per 1120 megawatt (sono due gruppi da 560 MW) costa 370 milioni. Il capacity market, invece, riconoscendo un valore massimo di 75000 euro a megawatt per 15 anni, ipotizzando il valore sarà di 75.000 per 1120 megawatt per 15 anni è paria a 1,26 miliardi. Insomma quattro volte l'investimento. Garantito per 15 anni. E questo dopo che è stata inserita la possibilità di remunerazione attraverso capacity anche degli impianti non autorizzati all'ultimo miglio di un percorso pluriennale di approvazione senza mettere questa previsione in consultazione.Del resto da gennaio 2019 il carbone ha un costo variabile di produzione più alto di quello a gas. Questo sta determinando che lo spiazzamento (la mancata partecipazione al mercato dell'energia della produzione degli impianti a carbone) sta avvenendo per ragioni di costo (aumento del prezzo della CO2, maggiori vincoli di qualità del carbone richiesti per il rinnovo delle Autorizzazioni Integrate Ambientali di questi impianti) e quindi per dinamiche di mercato, senza costosi interventi pubblici. Il paradosso è che il sistema (con un costo di circa 1,5 mld annuo, questa come detto è la stima del costo annuale del capacity) sta incentivando l'uscita di impianti inquinanti, rigidi (nel senso che non sono utili a Terna per fare da back up alla repentina non programmabilità delle fonti rinnovabili sempre più diffuse nel nostro mix produttivo) e che sono già fuori mercato. Diverso sarebbe, e in linea teorica comprensibile, se ci fosse un incentivo a dismettere impianti che non sono a fine vita ma ancora utili al sistema e per scelta di politica ambientale vengono forzati a uscire con il riconoscimento di una sorta di ammortamento sugli investimenti aziendali. In questo caso, invece, con l'aggravante di spiazzare la tecnologia già esistente, si rischia di far pesare al sistema e ai cittadini costi sproporzionati e non necessari.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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