2019-10-26
Il corto circuito del capacity market. Il caso di Metaenergia: finanziamenti dall'Italia e investimenti all'estero
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Capacity market e mercato dell'energia in Italia. Il meccanismo istituzionalizzato prima dell'estate dal Mise di Luigi Di Maio dovrebbe da un lato assicurare la sicurezza del sistema, con un approvvigionamento di energia elettrica costante in casi di black out, dall'altro incentivare la dismissione di impianti alimentati a carbone che dovranno scomparire da qui al 2030. Il problema sono i costi, 1, 5 miliardi annui nei prossimi 15 anni, per la remunerazione delle grandi centrali termoelettriche, che potrebbero andare a incidere sulle bollette di noi cittadini. E, altra questione, è che aziende di trading come Metaenergia di Maurizio Molinari, molto nota nel settore anche per gli accordi con il gruppo di moda Prada e con Fiera Milano nel 2009, anche se senza centrali in Italia, è sempre più impegnata in investimenti all'estero. Il gruppo è infatti controllato al 93% da una società in Lussemburgo, la Meta Lux, e lo scorso anno ha sottoscritto un bond da 308 milioni di euro a Londra, assistita dallo studio di Franzo Grande Steven.E questo avviene in una fase di difficoltà economica per la società, che negli ultimi due anni ha dovuto rimodulare i contratti con i clienti, 8.944 di cui 8.440 per la fornitura di energia elettrica, circa il 4,2% sul totale del mercato, e 504 per il gas, corrispondente allo 0,8% del totale. Sono le particolarità del mercato in questa fase di cambiamento, di aumento degli investimenti sulle fonti rinnovabili a discapito dei diktat dell'Unione europea sui processi di decarbonizzazione. Si tratta di un meccanismo transitorio, della durata di 10 anni, ma che sta creando non poche polemiche nel settore. In questo modo, infatti, Metaenergia, già in difficoltà, continua a ricevere finanziamenti, nonostante non abbia ancora centrali. Anche grazie al parere positivo del presidente di Arera Guido Pier Paolo Bortoni. Per fare un esempio, un ciclo aperto a gas di Enel (es. Torrevaldaliga) costa 330.000 euro a megawatt. Moltiplicato per 1120 megawatt (sono due gruppi da 560 MW) costa 370 milioni. Il capacity market, invece, riconoscendo un valore massimo di 75000 euro a megawatt per 15 anni, ipotizzando il valore sarà di 75.000 per 1120 megawatt per 15 anni è paria a 1,26 miliardi. Insomma quattro volte l'investimento. Garantito per 15 anni. E questo dopo che è stata inserita la possibilità di remunerazione attraverso capacity anche degli impianti non autorizzati all'ultimo miglio di un percorso pluriennale di approvazione senza mettere questa previsione in consultazione.Del resto da gennaio 2019 il carbone ha un costo variabile di produzione più alto di quello a gas. Questo sta determinando che lo spiazzamento (la mancata partecipazione al mercato dell'energia della produzione degli impianti a carbone) sta avvenendo per ragioni di costo (aumento del prezzo della CO2, maggiori vincoli di qualità del carbone richiesti per il rinnovo delle Autorizzazioni Integrate Ambientali di questi impianti) e quindi per dinamiche di mercato, senza costosi interventi pubblici. Il paradosso è che il sistema (con un costo di circa 1,5 mld annuo, questa come detto è la stima del costo annuale del capacity) sta incentivando l'uscita di impianti inquinanti, rigidi (nel senso che non sono utili a Terna per fare da back up alla repentina non programmabilità delle fonti rinnovabili sempre più diffuse nel nostro mix produttivo) e che sono già fuori mercato. Diverso sarebbe, e in linea teorica comprensibile, se ci fosse un incentivo a dismettere impianti che non sono a fine vita ma ancora utili al sistema e per scelta di politica ambientale vengono forzati a uscire con il riconoscimento di una sorta di ammortamento sugli investimenti aziendali. In questo caso, invece, con l'aggravante di spiazzare la tecnologia già esistente, si rischia di far pesare al sistema e ai cittadini costi sproporzionati e non necessari.