2025-01-09
La legge Ue anti «fake news» nasce morta
Mark Zuckerberg (Getty Images)
La retromarcia del capo di Facebook rischia di far crollare l’impianto del Digital Service Act europeo. Dalla Commissione piovuti miliardi di euro sui gruppi di fact-checker che adesso andranno «rottamati». Oggi su X l’intervista alla leader di Afd.La miccia che potrebbe far esplodere l’ultima rissa, forse quella più infuocata, tra l’Unione europea ed Elon Musk è la diretta video che il tycoon ha organizzato oggi alle 19 ora italiana con Alice Weidel, co-presidente tedesca di Alternative für Deutschland (Afd) in vista delle elezioni federali in Germania per il rinnovo del Bundestag che si terranno il 23 febbraio. Secondo le norme europee di moderazione dei contenuti, regolate dal famigerato Digital Services Act (Dsa), l’intervista organizzata da Musk con la leader di Afd, nei sondaggi in crescita esponenziale, non sarebbe illegale ma potrebbe condizionare i risultati dell’indagine avviata su X nientemeno che da dicembre 2023. «Nulla nel Dsa vieta a qualsiasi piattaforma di avere un live streaming e di esprimere opinioni personali», ha dichiarato il portavoce della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, «ciò che esamineremo è se la piattaforma opera entro i confini legali del Dsa e se ha valutato i rischi». L’Ue, che stigmatizza Musk da quando il miliardario ha denunciato la censura online schierandosi politicamente con i leader conservatori del pianeta, tenta insomma di contenerlo. E lo stop alla «censura», annunciato l’altroieri da Mark Zuckerberg insieme con la fine del programma del cosiddetto fact-checking negli Usa (sarà sostituito dalle Community Notes ideate da Musk) non fa che inasprire lo scontro, sebbene dal quartier generale Ue arrivino commenti contraddittori.Da un lato la portavoce Ue Paula Pinho ha rimandato al mittente l’inaspettato e peloso mea culpa del ceo di Meta e fondatore di Facebook: «Respingiamo assolutamente qualsiasi affermazione di censura da parte nostra», ha dichiarato, affidando a un altro portavoce della Commissione la spericolata arrampicata sugli specchi sulla moderazione dei contenuti che «non significa censura»; «nessuna disposizione del Dsa obbliga gli intermediari online a rimuovere i contenuti leciti». Grazie, ma chi decide - e con quale criterio l’Ue stabilisce - se un contenuto è «lecito»? Lo snodo, come La Verità racconta da oltre un anno, è sempre lo stesso: l’arbitrarietà a senso unico, corroborata dalle altrettanto arbitrarie dichiarazioni rilasciate ieri a Repubblica dall’ex commissario Ue per il mercato interno Thierry Breton, artefice della stretta sulle grandi piattaforme digitali, che con Musk ha sempre avuto il dente avvelenato. «Musk ha il diritto di esprimere le proprie opinioni», ha dichiarato l’ex membro dell’esecutivo Ue, «ma se le sue opinioni vengono diffuse sul suo social X, sottoposto alle regole del Dsa, l’Europa ha il dovere di vigilare per evitare manipolazioni di contenuti». In cosa consisterebbe la vigilanza? Nel valutare un eventuale utilizzo «improprio» dell’algoritmo di X: nel corso dell’intervista a Weidel, Musk potrebbe «spingere» lo streaming per favorire l’Afd nella campagna elettorale. Ciò che hanno sempre fatto, insomma, i progressisti mondiali senza bisogno della tecnologia e con il fondamentale aiuto dei cosiddetti media mainstream. L’aria però sembra essere cambiata e dal Berlaymont (il palazzo che ospita gli uffici della Commissione europea a Bruxelles) giungono anche segnali di prudenza: «La nostra scelta, ed è una posizione politica, è di non alimentare ulteriormente il dibattito», ha chiarito la portavoce Pinho, per poi lasciar puntualizzare al collega Thomas Regnier, che si occupa del settore tecnologico nel pool dei portavoce, che «dobbiamo essere sicuri che la nostra posizione sia ben giustificata prima di prendere misure, se mai le prenderemo». Al netto delle supercazzole europee, il rischio - se così si può definire - è che tutto l’impianto del Dsa crolli in mille pezzi di fronte alla realtà. Sebbene la frettolosa retromarcia di Zuckerberg, corredata dalle accuse a quell’Ue con cui ha camminato a braccetto per un decennio, sia too little, too late, per compensare le frustrazioni subite da milioni di cittadini censurati dalla piattaforma, è molto facile che il lento carrozzone burocratico europeo fatto di procedure illiberali - e ancora una volta dalla parte sbagliata della storia - si scontri con il nuovo corso americano del duo Trump-Musk, che sul free speech vuol ricostruire un business. Non soltanto per ragioni politiche, dunque: come ha dichiarato con decisione Zuckerberg, la nuova amministrazione «opporrà resistenza ai governi che perseguitano le aziende americane e spingono per maggiore censura».Negli infiniti ingranaggi del tentacolare Dsa (gli uffici dedicati alla sorveglianza lavorano a ritmo serrato, avvalendosi di centinaia di super-burocrati Ue) potrebbero finire schiacciate tutte quelle piccole rotelle che hanno invece puntato sul silenziamento degli avversari politici per guadagnarsi una posizione, sia pur marginale, nella cupola del fact-checking. La Commissione europea, nel percorso che ha poi condotto al varo del Digital Services Act, ha destinato fondi ingenti a quella che Zuckerberg ha definito, non senza una discreta faccia tosta, la «censura istituzionale». Già a ottobre 2019 la Commissione Ue ha lanciato una gara d’appalto per istituire Edmo (European Digital Media Observatory), incaricato di monitorare le fonti di disinformazione. Il primo stanziamento, 2,5 milioni di euro elargiti nel 2020, se l’era aggiudicato un consorzio, guidato dall’Istituto universitario europeo di Firenze, che includeva Pagella Politica. Il secondo bando, 11 milioni di euro, era stato destinato all’istituzione degli hub (in Italia l’Idmo coordinato da Gianni Riotta che annovera tra i suoi partner la Rai, il Gruppo Gedi La Repubblica e Pagella Politica). Ma il grosso dei fondi è stato reso disponibile nell’ambito del Cef (Connecting Europe Facility), con un budget di circa 25 miliardi di euro. Soldi dei contribuenti europei destinati a strutture che prima o poi potrebbero essere rottamate.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)