2022-08-05
Meno seggi peggiorano il Rosatellum
La quota proporzionale era già un pasticcio, ma col taglio dei parlamentari si rischia un effetto ancor più paradossale: non capire chi si elegge (e nemmeno in quale collegio).Università di VeronaVotiamo per la seconda volta con il Rosatellum, ma per la prima volta con un Parlamento di soli 400 deputati e 200 senatori. Si tratta di un sistema misto, in cui circa il 60% dei deputati è eletto con il proporzionale a lista chiusa (245 seggi) e quasi il 40% (151) con il maggioritario. A questi si aggiungono i quattro eletti all’estero. Per il meccanismo di attribuzione dei 245 seggi nel proporzionale non si è scelta una distribuzione a livello di collegio, ma si è preferito attribuire tali seggi a livello nazionale e poi «calare» questa attribuzione nelle 28 circoscrizioni prima, e successivamente nei 49 collegi plurinominali. E qui diventa tutto molto complicato.In ciascuna di queste circoscrizioni vengono eletti da uno (Molise) a otto (Calabria, ma non solo) deputati. Circoscrizioni piccole avvicinano (potenzialmente) eletti ed elettori: un milanese potrà sapere qual è il deputato del suo partito eletto nel suo collegio e «tenerlo d’occhio» durante la legislatura. È intuitivo capire che un partito che ottiene il 25% dei voti otterrà grossomodo il 25% dei seggi a livello nazionale; è invece molto arduo capire chi saranno i tre deputati eletti in Basilicata o dove saranno eletti i 20 deputati di Azione o di Forza Italia. Già nel 2018 sapevamo di questa erraticità nell’assegnazione dei seggi, ma la diminuzione del numero di parlamentari (e quindi del numero di seggi in palio ciascun collegio) ha esacerbato la situazione.Per prima cosa, il meccanismo di distribuzione proporzionale dei seggi è il cosiddetto «metodo Hare». Esempio: ci sono 15 elettori che devono eleggere 5 deputati. Questo implica che ogni partito riceverà un deputato ogni tre voti. Immaginiamo di avere tre partiti: il partito A riceve 8 voti, il B ne riceve 3 e C 4. Assegniamo quindi un deputato ogni tre voti, e ci ritroviamo con due seggi al partito A (8 voti), un seggio al partito B (3 voti) e un seggio al partito C (4 voti). Ci accorgiamo quindi che abbiamo distribuito solo quattro seggi; l’ultimo lo diamo al partito che ha più voti «avanzati», in questo caso A. Il quale ha avuto un po’ più seggi del dovuto (grazie ai resti), mentre B ha avuto esattamente il numero di seggi spettanti, e il partito C ha avuto un po’ meno seggi del dovuto (a causa di un «resto» troppo basso). Questa operazione viene effettuata sui voti dei singoli partiti a livello nazionale per distribuire i 245 seggi tra le liste a livello nazionale. Per calare questi seggi a livello locale, viene poi ripetuta a ogni circoscrizione. Il problema è che, proprio per questi giochi di resti, il conteggio a livello di circoscrizione potrebbe assegnare a un partito più (o meno) seggi di quelli spettanti secondo il conteggio nazionale. Ci ritroviamo quindi con partiti «eccedentari» («troppi» seggi assegnati nel conteggio circoscrizionale) e partiti «deficitari» (l’opposto). Qui partono i bizantinismi. La commissione elettorale dovrà individuare circoscrizioni in cui il partito eccedentario ha ricevuto l’ultimo seggio grazie a un «resto» (come il partito A nel nostro esempio) e il partito deficitario ha invece un «resto inutilizzato» (come il partito C dell’esempio). Questa «corrispondenza di amorosi sensi» avverrà solo in alcune circoscrizioni; tra queste, si sceglierà la circoscrizione in cui il «resto utilizzato» del partito eccedentario è più piccolo, e finalmente parte lo scambio: il partito eccedentario cederà un seggio a quello deficitario. L’operazione è ripetuta fino a che tutti i partiti non abbiano ottenuto i seggi spettanti secondo il riparto nazionale. Questo processo è compiuto due volte: una prima volta per calare i seggi dal livello nazionale alle 28 circoscrizioni, e una seconda volta (con meccanismi peraltro leggermente diversi) sui 49 collegi plurinominali. Il risultato? È difficilissimo prevedere chi verrà eletto dove. Questa imprevedibilità è ancora maggiore per i partiti più piccoli: ad esempio Liberi e uguali nel 2018 ha ottenuto 14 seggi per la parte proporzionale, ma non ha eletto alcun deputato nel collegio in cui ha ottenuto il risultato migliore (6,4% in Basilicata, terra del ministro uscente Roberto Speranza).Il meccanismo di ripartizione nasconde ulteriori effetti perversi. Guardiamo alle elezioni del 2018 utilizzando i nuovi collegi elettorali, e proviamo a capire cosa succederebbe se, ceteris paribus, gli elettori milanesi della Lega iniziassero a virare verso Fratelli d’Italia. Sarebbe ragionevole aspettarsi che Fdi vedesse aumentare i propri eletti a Milano, a discapito della Lega. L’effetto invece è paradossale. Prendendo come punto di partenza le elezioni del 2018, se 15.000 leghisti milanesi cambiassero idea e votassero Fdi, il partito otterrebbe un seggio in più a… Cagliari, togliendolo a Forza Italia (i cui voti nel nostro esempio sono rimasti come detto invariati). Il partito del Cavaliere guadagnerebbe però un seggio in… Basilicata, togliendolo alla Lega. Lo sbattere d’ali di qualche elettore leghista a Milano ha creato due piccoli uragani a Cagliari e Potenza, colpendo per sbaglio anche Forza Italia, semplice «spettatrice» di questo scontro. La cosa sconcertante è che gli elettori di Milano con il loro voto possono non contribuire all’elezione dei candidati nella propria circoscrizione, e quindi non hanno modo di utilizzare la loro matita per punire o premiare chi gli è messo di fronte. Non solo: il candidato locale non ha alcun incentivo reale a cercarsi voti nel collegio, se a trarne beneficio saranno candidati di chissà quale parte d’Italia. Da ultimo, tutto ciò rende complicato per i partiti selezionare la classe dirigente: il rischio è trovarsi i riempilista in Parlamento e i quadri di partito a spasso. Questo sistema, nella sua parte proporzionale, rende perciò più ancor distanti eletti ed elettori, restituendo risultati al limite della casualità. Non è la prima volta: lo scorporo del Mattarellum (poi bypassato maldestramente dalle «liste civetta»), il premio di maggioranza del Porcellum e il meccanismo di sbarramenti e assegnazione dei seggi nel Rosatellum sono esenti tutto sommato simili di come evitare accuratamente un sistema lineare.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco