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2022-10-27
Meloni seppellisce Speranza sul virus e incassa un’apertura sulle riforme
Giorgia Meloni (Getty images)
Una replica che è valsa più del discorso programmatico pronunciato martedì a Montecitorio. Anche se funestata dalla raucedine, Giorgia Meloni nel suo passaggio a Palazzo Madama ha abbandonato alcuni impacci dovuti all’emozione e ha dato vita a un intervento lungo, con lo stile energico che la caratterizza e con passaggi duri nei confronti dell’opposizione. Prima di incassare la fiducia con 115 voti favorevoli, 79 contrari e cinque astensioni, tra cui Mario Monti, il presidente del Consiglio è entrato decisamente nel merito di alcuni provvedimenti che il suo esecutivo intende mettere in campo. La cosa più importante è che lo ha fatto senza rinunciare a nulla di quanto detto in campagna elettorale.
Tra quelli che potrebbero essere gli highlights della seduta di ieri, il primo posto andrebbe certamente alla standing ovation tributata da tutto il centrodestra al premier, nel momento in cui ha risposto all’ex magistrato e ora senatore grillino Roberto Scarpinato, il quale nel corso della discussione generale aveva dato vita a un durissimo intervento in cui accusava la sua parte politica di essere ancora fascista e di essere stata sostanzialmente collaterale al terrorismo politico. «Mi dovrei stupire», ha osservato il premier, «di un approccio così smaccatamente ideologico. Ma mi stupisce fino a un certo punto, perché l’effetto transfert che lei ha fatto tra neofascismo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico del teorema di parte della magistratura, a cominciare dal depistaggio e dal primo giudizio sulla strage di via d’Amelio».
E sempre in modo energico la Meloni ha replicato alla neo senatrice della sinistra radicale Ilaria Cucchi, che aveva denunciato l’operato delle forze dell’ordine martedì alla Sapienza di Roma, intente a contenere un tentativo di picchettaggio di un convegno da parte degli studenti dei collettivi: «Vengo dalla militanza giovanile», ha detto rivolgendosi alla parlamentare dell’Alleanza Verdi-Sinistra, «in tutta la mia vita non ho mai lavorato per impedire a qualcun altro di dire ciò che voleva dire. La democrazia è nel rispetto delle idee altrui, altrimenti consentiamo che chi non la pensa come noi impedisca di farci parlare».
Ma l’intervento della Meloni, come detto, è andato a riempire di contenuti quello che era stato accennato per titoli nel discorso di martedì, con una certa dovizia di particolari. A partire dall’emergenza più stringente, e cioè quella della crisi energetica e del caro bollette, per la quale occorre «lavorare con molta puntualità a interventi calibrati per le imprese e le famiglie e recuperando risorse dalle pieghe del bilancio, dagli extraprofitti e dai ricavi dello Stato. Se non si procederà con velocità la speculazione ripartirà. Ma tutto quello che c’è da fare lo faremo». Sul fronte fiscale, il premier ha ribadito l’intenzione di procedere con la flat tax, che «premia il merito» perché «chi fa di più è giusto che venga premiato», con la rimozione del tetto ai contanti (fortemente reclamata da Matteo Salvini) e con il taglio del cuneo fiscale, con l’impegno di «arrivare progressivamente a un taglio fiscale di cinque punti. Due terzi ai lavoratori, un terzo alle aziende».
Uno dei passaggi più importanti e per certi versi attesi, dopo qualche freddezza per la scelta di nominare ministro della Salute un tecnico come Orazio Schillaci, è stato quello sul modo di affrontare un’eventuale nuova emergenza Covid, in cui la Meloni è stata netta: prendendo spunto da una risposta all’ex ministro Beatrice Lorenzin, il presidente del Consiglio ha sottolineato che non bisogna mai «scambiare la scienza con la religione». «Noi contestavamo», ha proseguito, «che non c’erano evidenze scientifiche alla base dei provvedimenti scientifici, contestavamo che si scambiasse la scienza per religione». Poi, l’affondo sulle misure anti Covid adottate dal precedente governo, prima fra tutti quella di «escludere ragazzi di 12 anni non vaccinati da qualcosa che sicuramente fa bene, lo sport, perché non avevano una cosa su cui la comunità scientifica non era d’accordo».
Per quanto riguarda il dibattito parlamentare, nella giornata che ha visto Silvio Berlusconi riprendere la parola dopo nove anni e l’estromissione a causa della legge Severino, si è distinto certamente Matteo Renzi, il cui intervento è stato, paradossalmente (ma poi neanche tanto), tra i più apprezzati dal centrodestra e il più contestato dai dem. Prima di assestare un paio di colpi ai suoi ex compagni di partito suscitando le complici risate della Meloni, Renzi ha teso concretamente una mano sulle riforme costituzionali, affermando che il suo gruppo «accetterà la sfida del presidenzialismo».
Ma da sottolineare è anche la posizione della Lega sul fronte della guerra. «L’Italia è nella Nato e la collocazione atlantica non è in discussione. Ma cercate di impostare anche un discorso di negoziati di pace. Va rispettata la volontà degli ucraini ma è meglio dire che decide la comunità internazionale nell’interesse dell’Ucraina», ha dichiarato il presidente dei senatori leghisti, Massimiliano Romeo.
Scatto leghista sul tetto al contante
Dal primo gennaio 2023 il tetto del contante dovrebbe scendere a 1.000 euro, la soglia più bassa della storia. La modifica inserita nel Milleproproghe aveva spostato l’entrata in vigore dallo scorso gennaio al prossimo riducendo i 2.000 euro a 1.000. Questo limite potrebbe finalmente cambiare grazie al progetto di legge depositato dalla Lega, primo firmatario il deputato Alberto Bagnai, per alzare il tetto del contante a 10.000 euro. «Proposta di buonsenso della Lega, in linea con il programma del centrodestra e con altri Paesi europei. Meno burocrazia, più libertà», ha commentato su Facebook il vicepremier e segretario della Lega, Matteo Salvini.
Nessuno «sgarbo» al programma economico del governo, ha rassicurato il senatore di Fdi, Giovanbattista Fazzolari: «L’aumento al tetto del contante è da sempre nel programma di Fdi, del centrodestra, lo faremo già nella prima legge di bilancio». Ma soprattutto come ha confermato la premier, Giorgia Meloni, in Aula, secondo la quale non esiste «alcuna correlazione con l’evasione fiscale». E Paesi come Germania e Austria lo dimostrano. Una spiegazione che ha spiazzato l’opposizione, dato che la Meloni ha svelato solo alla fine del suo ragionamento che le parole che aveva citato erano dell’ex ministro dem Pier Carlo Padoan. Non solo, la Meloni ha anche chiarito che «l’unica moneta legale sono le banconote. La moneta elettronica è privata». Segnando così una discontinuità con gli esecutivi precedenti.
Dalla minoranza, ad ogni modo, sono arrivate solo critiche. «È una stupidaggine in un Paese che ha la nostra evasione fiscale», ha attaccato il leader di Azione, Carlo Calenda, mentre per il responsabile Economia di Iv, Luigi Marattin, si tratta di «slogan in perfetto stile Lega. Se si guardano gli ultimi dati di Bankitalia, la transizione verso i pagamenti digitali è già in corso».
«Alzare il tetto del contante aiuta l’evasione fiscale. Così torneranno mazzette e valigette come all’epoca di Mani pulite. Daremo la stura all’economia sommersa. Ci opporremo fortemente a questa misura», ha detto invece il leader del M5s, Giuseppe Conte. «È una proposta in totale controtendenza con quanto deciso in questi anni in Italia e in gran parte dei Paesi europei per ridurre progressivamente l’uso del contante e spingere la tracciabilità dei pagamenti e la lotta all’economia sommersa», ha detto il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani. Che ha incassato la replica dello stesso Bagnai: «Imporre l’uso della moneta elettronica crea problemi di esclusione finanziaria per le fasce più fragili. Rischi puntualmente sottolineati dalla Bce. Gli europeisti del Pd si oppongono all’adeguamento della normativa italiana agli standard europei».
Secondo i dati dell’European consumer centres network, organismo creato dalla Commissione europea e dagli Stati membri, a inizio 2021 su 30 Stati, considerando anche Regno Unito, Islanda e Norvegia, solo in 12 Paesi, Italia compresa, erano vigenti limiti all’uso del contante. Si tratta per lo più di Paesi dell’Europa del Sud e dell’Est oltre al Belgio. Il vicepresidente della commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha precisato: «Il contante deve essere disponibile, sui massimali nel contesto dell’anti riciclaggio avevamo proposto dei tetti a livello Ue ma non ci sono accordi per ora, tocca agli Stati membri decidere. I tetti variano molto, si va dai 500 euro della Grecia a Paesi che non ce l’hanno. Come Commissione, preferiremmo dei massimali più bassi possibili». Il tetto al contante fu introdotto la prima volta dal governo Monti nel 2011 quando, con il decreto Salva Italia, lo fissò a 1.000 euro. Nel 2016 il governo Renzi con la legge di Stabilità lo triplicò portandolo a 3.000 euro. A gennaio 2022 era tornato in vigore il limite dei 1.000 euro, ma la modifica al Milleproroghe lo ha fatto slittare. Se la proposta leghista passerà il limite salirà a 10.000.
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Fiducia anche al Senato con 115 sì. Il premier conferma la svolta: «Basta scambiare la scienza per religione» Matteo Renzi: «Presidenzialismo? Accetto la sfida». Massimiliano Romeo (Lega): «Si cerchi il negoziato, non decide l’Ucraina».Il Carroccio deposita un progetto di legge per portarlo a 10.000 euro. Il capo del governo conferma: «Non favorisce l’evasione». Giuseppe Conte attacca: «Così torniamo alle mazzette».Lo speciale contiene due articoliUna replica che è valsa più del discorso programmatico pronunciato martedì a Montecitorio. Anche se funestata dalla raucedine, Giorgia Meloni nel suo passaggio a Palazzo Madama ha abbandonato alcuni impacci dovuti all’emozione e ha dato vita a un intervento lungo, con lo stile energico che la caratterizza e con passaggi duri nei confronti dell’opposizione. Prima di incassare la fiducia con 115 voti favorevoli, 79 contrari e cinque astensioni, tra cui Mario Monti, il presidente del Consiglio è entrato decisamente nel merito di alcuni provvedimenti che il suo esecutivo intende mettere in campo. La cosa più importante è che lo ha fatto senza rinunciare a nulla di quanto detto in campagna elettorale. Tra quelli che potrebbero essere gli highlights della seduta di ieri, il primo posto andrebbe certamente alla standing ovation tributata da tutto il centrodestra al premier, nel momento in cui ha risposto all’ex magistrato e ora senatore grillino Roberto Scarpinato, il quale nel corso della discussione generale aveva dato vita a un durissimo intervento in cui accusava la sua parte politica di essere ancora fascista e di essere stata sostanzialmente collaterale al terrorismo politico. «Mi dovrei stupire», ha osservato il premier, «di un approccio così smaccatamente ideologico. Ma mi stupisce fino a un certo punto, perché l’effetto transfert che lei ha fatto tra neofascismo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico del teorema di parte della magistratura, a cominciare dal depistaggio e dal primo giudizio sulla strage di via d’Amelio». E sempre in modo energico la Meloni ha replicato alla neo senatrice della sinistra radicale Ilaria Cucchi, che aveva denunciato l’operato delle forze dell’ordine martedì alla Sapienza di Roma, intente a contenere un tentativo di picchettaggio di un convegno da parte degli studenti dei collettivi: «Vengo dalla militanza giovanile», ha detto rivolgendosi alla parlamentare dell’Alleanza Verdi-Sinistra, «in tutta la mia vita non ho mai lavorato per impedire a qualcun altro di dire ciò che voleva dire. La democrazia è nel rispetto delle idee altrui, altrimenti consentiamo che chi non la pensa come noi impedisca di farci parlare». Ma l’intervento della Meloni, come detto, è andato a riempire di contenuti quello che era stato accennato per titoli nel discorso di martedì, con una certa dovizia di particolari. A partire dall’emergenza più stringente, e cioè quella della crisi energetica e del caro bollette, per la quale occorre «lavorare con molta puntualità a interventi calibrati per le imprese e le famiglie e recuperando risorse dalle pieghe del bilancio, dagli extraprofitti e dai ricavi dello Stato. Se non si procederà con velocità la speculazione ripartirà. Ma tutto quello che c’è da fare lo faremo». Sul fronte fiscale, il premier ha ribadito l’intenzione di procedere con la flat tax, che «premia il merito» perché «chi fa di più è giusto che venga premiato», con la rimozione del tetto ai contanti (fortemente reclamata da Matteo Salvini) e con il taglio del cuneo fiscale, con l’impegno di «arrivare progressivamente a un taglio fiscale di cinque punti. Due terzi ai lavoratori, un terzo alle aziende».Uno dei passaggi più importanti e per certi versi attesi, dopo qualche freddezza per la scelta di nominare ministro della Salute un tecnico come Orazio Schillaci, è stato quello sul modo di affrontare un’eventuale nuova emergenza Covid, in cui la Meloni è stata netta: prendendo spunto da una risposta all’ex ministro Beatrice Lorenzin, il presidente del Consiglio ha sottolineato che non bisogna mai «scambiare la scienza con la religione». «Noi contestavamo», ha proseguito, «che non c’erano evidenze scientifiche alla base dei provvedimenti scientifici, contestavamo che si scambiasse la scienza per religione». Poi, l’affondo sulle misure anti Covid adottate dal precedente governo, prima fra tutti quella di «escludere ragazzi di 12 anni non vaccinati da qualcosa che sicuramente fa bene, lo sport, perché non avevano una cosa su cui la comunità scientifica non era d’accordo». Per quanto riguarda il dibattito parlamentare, nella giornata che ha visto Silvio Berlusconi riprendere la parola dopo nove anni e l’estromissione a causa della legge Severino, si è distinto certamente Matteo Renzi, il cui intervento è stato, paradossalmente (ma poi neanche tanto), tra i più apprezzati dal centrodestra e il più contestato dai dem. Prima di assestare un paio di colpi ai suoi ex compagni di partito suscitando le complici risate della Meloni, Renzi ha teso concretamente una mano sulle riforme costituzionali, affermando che il suo gruppo «accetterà la sfida del presidenzialismo». Ma da sottolineare è anche la posizione della Lega sul fronte della guerra. «L’Italia è nella Nato e la collocazione atlantica non è in discussione. Ma cercate di impostare anche un discorso di negoziati di pace. Va rispettata la volontà degli ucraini ma è meglio dire che decide la comunità internazionale nell’interesse dell’Ucraina», ha dichiarato il presidente dei senatori leghisti, Massimiliano Romeo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/meloni-seppellisce-speranza-sul-virus-e-incassa-unapertura-sulle-riforme-2658511502.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="scatto-leghista-sul-tetto-al-contante" data-post-id="2658511502" data-published-at="1666813358" data-use-pagination="False"> Scatto leghista sul tetto al contante Dal primo gennaio 2023 il tetto del contante dovrebbe scendere a 1.000 euro, la soglia più bassa della storia. La modifica inserita nel Milleproproghe aveva spostato l’entrata in vigore dallo scorso gennaio al prossimo riducendo i 2.000 euro a 1.000. Questo limite potrebbe finalmente cambiare grazie al progetto di legge depositato dalla Lega, primo firmatario il deputato Alberto Bagnai, per alzare il tetto del contante a 10.000 euro. «Proposta di buonsenso della Lega, in linea con il programma del centrodestra e con altri Paesi europei. Meno burocrazia, più libertà», ha commentato su Facebook il vicepremier e segretario della Lega, Matteo Salvini. Nessuno «sgarbo» al programma economico del governo, ha rassicurato il senatore di Fdi, Giovanbattista Fazzolari: «L’aumento al tetto del contante è da sempre nel programma di Fdi, del centrodestra, lo faremo già nella prima legge di bilancio». Ma soprattutto come ha confermato la premier, Giorgia Meloni, in Aula, secondo la quale non esiste «alcuna correlazione con l’evasione fiscale». E Paesi come Germania e Austria lo dimostrano. Una spiegazione che ha spiazzato l’opposizione, dato che la Meloni ha svelato solo alla fine del suo ragionamento che le parole che aveva citato erano dell’ex ministro dem Pier Carlo Padoan. Non solo, la Meloni ha anche chiarito che «l’unica moneta legale sono le banconote. La moneta elettronica è privata». Segnando così una discontinuità con gli esecutivi precedenti. Dalla minoranza, ad ogni modo, sono arrivate solo critiche. «È una stupidaggine in un Paese che ha la nostra evasione fiscale», ha attaccato il leader di Azione, Carlo Calenda, mentre per il responsabile Economia di Iv, Luigi Marattin, si tratta di «slogan in perfetto stile Lega. Se si guardano gli ultimi dati di Bankitalia, la transizione verso i pagamenti digitali è già in corso». «Alzare il tetto del contante aiuta l’evasione fiscale. Così torneranno mazzette e valigette come all’epoca di Mani pulite. Daremo la stura all’economia sommersa. Ci opporremo fortemente a questa misura», ha detto invece il leader del M5s, Giuseppe Conte. «È una proposta in totale controtendenza con quanto deciso in questi anni in Italia e in gran parte dei Paesi europei per ridurre progressivamente l’uso del contante e spingere la tracciabilità dei pagamenti e la lotta all’economia sommersa», ha detto il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani. Che ha incassato la replica dello stesso Bagnai: «Imporre l’uso della moneta elettronica crea problemi di esclusione finanziaria per le fasce più fragili. Rischi puntualmente sottolineati dalla Bce. Gli europeisti del Pd si oppongono all’adeguamento della normativa italiana agli standard europei». Secondo i dati dell’European consumer centres network, organismo creato dalla Commissione europea e dagli Stati membri, a inizio 2021 su 30 Stati, considerando anche Regno Unito, Islanda e Norvegia, solo in 12 Paesi, Italia compresa, erano vigenti limiti all’uso del contante. Si tratta per lo più di Paesi dell’Europa del Sud e dell’Est oltre al Belgio. Il vicepresidente della commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha precisato: «Il contante deve essere disponibile, sui massimali nel contesto dell’anti riciclaggio avevamo proposto dei tetti a livello Ue ma non ci sono accordi per ora, tocca agli Stati membri decidere. I tetti variano molto, si va dai 500 euro della Grecia a Paesi che non ce l’hanno. Come Commissione, preferiremmo dei massimali più bassi possibili». Il tetto al contante fu introdotto la prima volta dal governo Monti nel 2011 quando, con il decreto Salva Italia, lo fissò a 1.000 euro. Nel 2016 il governo Renzi con la legge di Stabilità lo triplicò portandolo a 3.000 euro. A gennaio 2022 era tornato in vigore il limite dei 1.000 euro, ma la modifica al Milleproroghe lo ha fatto slittare. Se la proposta leghista passerà il limite salirà a 10.000.
Ansa
L’ordinanza, firmata dal giudice Ludovico Morello, dispone «la cessazione del trattenimento» nel Cpr, smentendo la convalida già emessa dalla stessa Corte e arrivando a smontarla, senza che nel frattempo sia accaduto nulla che non fosse già noto. E infatti gli uffici del ministero dell’Interno starebbero valutando di impugnare la decisione.
Il giudice, nella premessa, ricorda che il ricorso è ammesso «qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento». Poi interpreta: «Seppure non possa parlarsi di revoca giurisdizionale della convalida, è da ritenere consentita comunque una domanda di riesame del trattenimento dello straniero e che, mancando una apposita disciplina normativa al riguardo, esso possa farsi valere con lo strumento generico del procedimento camerale […] per ottenere un diverso esame dei presupposti del trattenimento alla luce di circostanze di fatto nuove o non considerate nella sede della convalida». Alla base della decisione ci sarebbe quindi l’assenza «di un’apposita disciplina normativa». Ed ecco trovato il varco. Il primo elemento indicato riguarda i procedimenti penali richiamati nel decreto di convalida: uno, nato su segnalazione della Digos, per le parole pronunciate durante una manifestazione, il 9 ottobre, che sembravano giustificare il pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023, il secondo per un blocco stradale risalente allo scorso maggio al quale l’imam avrebbe partecipato insieme a un gruppo pro Pal. Il giudice scrive che «gli atti relativi a tali procedimenti non risultano essere stati secretati» e che l’assenza di segreto era stata, «contrariamente a quanto si pensava in un primo momento», ignorata nella decisione precedente, che aveva valorizzato proprio quel presupposto «a supporto del giudizio di pericolosità». Il primo procedimento, secondo il giudice, sarebbe stato «immediatamente archiviato (in data 16 ottobre, ndr) da parte della stessa Procura», perché le dichiarazioni del trattenuto sarebbero «espressione di pensiero che non integra estremi di reato». Ma se l’archiviazione è del 16 ottobre e la convalida è del 28 novembre, il fatto non è sopravvenuto. È precedente. Eppure viene trattato come elemento nuovo.
Non solo. La Corte precisa, citando la Costituzione, che le dichiarazioni dell’imam sarebbero «pienamente lecite» e aggiunge che la «condivisibilità o meno e la loro censurabilità etica e morale» è un giudizio che «non compete in alcun modo» alla Corte e «non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno Stato di diritto».
«Parliamo di una persona che ha definito l’attacco del 7 ottobre un atto di “resistenza”, negandone la violenza», ha commentato sui social il premier Giorgia Meloni, aggiungendo: «Dalle mie parti significa giustificare, se non istigare, il terrorismo. Qualcuno mi può spiegare come facciamo a difendere la sicurezza degli italiani se ogni iniziativa che va in questo senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici?». La stessa dinamica si ripete sul blocco stradale del 17 maggio 2025. La Corte afferma che «dall’esame degli atti emerge una condotta del trattenuto non connotata da alcuna violenza». Anche qui non viene indicato alcun fatto nuovo. Cambia solo il giudizio. Anche i contatti con soggetti indagati o condannati per terrorismo vengono ridimensionati. Nella precedente decisione a quelle relazioni era stato attribuito un certo peso specifico: «Nel marzo 2012 veniva fermato a Imperia insieme a Giuliano Ibrahim Del Nievo, trasferitosi quello stesso anno in Siria per unirsi alle formazioni jihadiste e morto in combattimento nel 2013». Nel 2018, in un’indagine su Elmahdi Halili (condannato nel 2019, con sentenza divenuta irrevocabile nel 2022, per aver partecipato all’organizzazione terroristica dello Stato islamico), «veniva registrata una conversazione in cui questi consigliava ad altro soggetto di rivolgersi a Shanin presso la moschea di Torino». Rapporti che ora diventano «isolati, decisamente datati» e «ampiamente spiegati e giustificati dal trattenuto nel corso della convalida». Spiegazioni che erano già state rese prima del 28 novembre, ma che allora non avevano impedito la convalida.
Nel decreto di Piantedosi, l’imam veniva indicato come un uomo «radicalizzato», «portatore di ideologia fondamentalista e antisemita». Ma, soprattutto, come vicino alla Fratellanza musulmana, movimento politico-religioso sunnita nato in Egitto nel 1928, che punta a costruire uno Stato ispirato alla legge islamica. Unico passaggio, quello sulla Fratellanza musulmana, al quale il giudice non fa cenno.
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Mohammad Shahin (Ansa)
Naturalmente non stupisce che la Corte d’Appello sia di manica larga con un imam che teorizza che l’assassinio di 1.200 persone e il rapimento di altre 250 non sia violenza. In fondo la sentenza si inserisce in una tendenza che nei tribunali italiani gode di una certa popolarità. Non furono ritenute incompatibili con il trattenimento nel Cpr in Albania anche decine di extracomunitari con la fedina penale lunga una spanna? Nonostante nel casellario giudiziale figurassero precedenti per reati anche gravi come aggressioni e perfino un tentato omicidio, i migranti furono prontamente rimpatriati e ovviamente lasciati liberi di scorrazzare per il Paese e di commettere altri crimini. Sia mai che qualcuno venga trattenuto e successivamente espulso.
Del resto, recentemente un altro magistrato, questa volta di Bologna, ha detto al Manifesto che le recenti disposizioni europee in materia di Paesi sicuri sono da ritenersi incostituzionali. Perché ovviamente per alcune toghe il diritto è à la carte, cioè si sceglie da un menù quello che più gusta. Se bisogna opporre un diniego alla legge varata dal Parlamento ci si appella alla giurisprudenza europea, che va da sé è preminente rispetto a quella nazionale. Ma se poi una direttiva Ue o del Consiglio europeo non piace si fa il contrario e ci si appella al diritto italiano, che in questo caso torna prevalente. Insomma, comunque vada il migrante ha sempre ragione e deve essere ritenuto discriminato e dunque coccolato e tutelato. Se un italiano inneggia al fascismo deve essere messo in galera, se un imam si dichiara d’accordo con una strage, non considerandola violenza ma resistenza invece scatta la libertà di espressione, quella stessa espressione che gli autori del massacro di Charlie Hebdo anni fa negarono ai vignettisti del settimanale francese, colpevoli di aver disegnato immagini sarcastiche sull’islam.
Purtroppo, la tendenza a giustificare tutto e dare addosso a chi denuncia i pericoli legati a un’immigrazione indiscriminata ormai dilaga. Ieri sulla prima pagina di Repubblica campeggiava uno studio in cui la questione che lega gli stranieri al crescente clima di insicurezza era addebitata ai media. Colpa di giornali e tv se si parla di migranti. «I picchi di informazione e audience sul pericolo stranieri avvengono nei periodi elettorali», tiene a precisare il quotidiano che la famiglia Agnelli ha messo in vendita. In realtà i picchi coincidono sempre con fatti di cronaca nera. Stragi, rapine, stupri: quei fatti che né i giudici, né alcuni giornali vogliono vedere.
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Sergio Mattarella (Ansa)
Dite che in tutto questo c’è qualcosa che non funziona? Forse non avete tutti i torti. Però è esattamente quello che è successo. Alla XVIII Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori, Mattarella si è lasciato possedere dallo spirito di Kaja Kallas e ha impugnato lo spadone: «Permane l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina», ha detto, «con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa. Infrangere questo principio è un’azione ritenuta irresponsabile e inammissibile già oltre cinquanta anni addietro nella Conferenza di Helsinki sulla cooperazione e sicurezza nel continente». Quindi anche il bombardamento di Belgrado era già un’azione «ritenuta irresponsabile e inammissibile»...
Ma il particolare non ha turbato l’uomo del Colle, che ha proseguito bellicoso: «Appare, a dir poco, singolare che, mentre si affacciano, in ambito internazionale, esperienze dirette a unire Stati e a coordinarne le aspirazioni e le attività, si assista a una disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti dell’Unione europea, alterando la verità e presentandola, anziché come una delle esperienze storiche di successo per la democrazia e i diritti dei popoli, sviluppatasi anche con la condivisione e l’apprezzamento dell’intero Occidente, come una organizzazione oppressiva se non addirittura nemica della libertà». Oplà: sistemati anche i nemici della meravigliosa e infallibile Unione europea «apprezzata dall’intero Occidente». Intero. E pazienza se anche alcuni scudieri del sovrano del Quirinale, segnatamente Enrico Letta e Mario Draghi, si sono recentemente azzardati a criticare anche aspramente l’architettura parasovietica allestita a Bruxelles. Per Mattarella è l’ora delle decisioni irrevocabili: «È evidente che è in atto un’operazione, diretta contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni. Non è possibile distrarsi e non sono consentiti errori».
Ecco, non sono consentiti errori. E allora perché, proprio mentre si tratta a Berlino, il presidente della Repubblica compie un’invasione di campo così clamorosa? Come mai è tanto ansioso di metterci in rotta di collisione con la Russia da superare in oltranzismo i Volenterosi e persino lo stesso Zelensky, ormai pragmaticamente orientato a discutere per evitare la catastrofe finale al suo popolo stremato? Che cosa hanno in testa Mattarella e il suo consigliere Francesco Saverio Garofani, che siede ancora con lui (e con Giorgia Meloni) nel Consiglio supremo di Difesa malgrado le imbarazzanti frasi, rivelate dalla Verità, su «provvidenziali scossoni» per impedire alla stessa leader di Fratelli d’Italia di rivincere le elezioni e, orrore, magari insediare qualcuno non di sinistra sul Colle più alto di Roma?
Il Quirinale, con la docile stampa al seguito, si è affrettato a far calare una cappa di silenzio su quella voce dal sen fuggita che rivelava desideri e trame di chi sussurra all’orecchio di Mattarella. Ma ora è il capo dello Stato in persona a uscire allo scoperto. È lui a dare sulla voce al premier, che pochi giorni fa, accogliendolo a Roma, ha parlato a Zelensky della necessità di fare «dolorose concessioni». È lui a dare una linea alternativa (anche al sé stesso più giovane) in politica estera, esondando dalle sue funzioni. Ennesima dimostrazione che l’opposizione vera a questo governo si fa sul Colle. E che forse Garofani non esprimeva solo considerazioni personali.
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