2022-12-24
La Meloni dai nostri soldati parla di Iraq con un occhio alla riforma della Difesa
Giorgia Meloni e il Generale Giovanni Maria Iannucci (Ansa)
Dal premier un messaggio di rinnovamento per l’Italia che lascia aperte due strade: interlocutori degli Usa con più autonomia o esclusivi partner di Francia e Germania.Per il premier Giorgia Meloni la visita a Erbil in Iraq è la prima immersione nel mondo delle missioni estere affidati ai nostri militari. Mentre il titolare della Difesa, Guido Crosetto, è volato in Ungheria a salutare le truppe impegnate nella missione «Enhanced vigilance activities» e il ministro Antonio Tajani è andato in Libano per i militari della missione Unifil, la Meloni è andata dritta al punto. Il nostro incarico in Iraq è il più delicato e assomma le maggiori responsabilità per coordinare la lotta al terrorismo e le connessioni tra Medioriente e Africa. «Sono davvero molto lieta di essere qui in Iraq in quello che rappresenta la mia prima missione bilaterale fuori dall’Europa», ha detto ieri. «L’Iraq è un Paese amico che ha dimostrato ancora una volta di credere nella democrazia con la recente formazione del governo», ha aggiunto a margine del colloquio con il primo ministro, Mohammed Shia al-Sudani. «L’Iraq è una Nazione che ha compiuto importanti passi avanti sul piano della sicurezza e della stabilità politica e che dal nostro punto di vista può guardare con ottimismo alla ricostruzione. L’Italia è da sempre in prima linea nel sostenere l’Iraq a 360 gradi. Lo facciamo anche nel quadro della Coalizione anti Daesh: perché non vi può essere stabilità e prosperità in Medioriente senza un Iraq forte. Collaboriamo dal punto di vista energetico, industriale e culturale. Dobbiamo ora fare di più e rafforzare il nostro partenariato. Il 2023 deve rappresentare l’anno della svolta delle nostre relazioni bilaterali», ha concluso il premier. Confermando di fatto il ruolo conquistato dal precedente governo e dal ministro della Difesa del Pd, Lorenzo Guerini. Si deve particolarmente a lui l’incarico a Erbil. Nel 2021 in occasione della ministeriale Nato, l’allora titolare della Difesa prese la parola subito dopo il capo del Pentagono Lloyd Austin. Dettagli non trascurabili nel mondo delle stellette e dei politici che le rappresentano. E un chiaro passaggio di consegne voluto dagli Usa. Non a caso, il compito di questa missione - si è compreso da subito - è quello di presidiare il territorio, accompagnare le locali forze armate nel tentativo di stoppare una eventuale ripartenza dello Stato islamico e quindi fare da cuscinetto protettivo rispetto alle manovre dell’Iran. Un incarico molto delicato che non sarebbe mai potuto avvenire senza la fiducia e la benedizione americana. «Se Barack Obama ha sbagliato, Biden oggi sente l’esigenza di limitare i danni fatti dal suo principale sponsor dopo la guerra sbagliata di George Bush jr», spiegava su Formiche il generale Mario Arpino, «e fa molto bene a diminuire la percezione della presenza. Ovviamente, l’aspettativa era che la Nato del fedele Stoltenberg gli desse una mano robusta. Lo sta facendo, e questo potrebbe dare anche all’Italia l’occasione di rimediare a un vecchio errore», proseguiva. «Infatti, anche noi a suo tempo abbiamo sbagliato, lasciando troppo velocemente l’Iraq dopo i fatti di Nassiriya». In questo caso, l’occasione sta nel porsi come Paese interlocutore degli Usa nel Mediterraneo e considerarne l’Iraq il confine estremo.Un dato di fatto, come dicevamo sopra, confermato dal viaggio del numero uno di Fdi, ma che impone una serie di riflessioni attorno a una frase sibillina pronunciata dalla Meloni giovedì sera salutando gli ambasciatori. «Ci siamo resi conto delle nostre troppe dipendenze», ha commentato il premier nell’occasione formale condivisa con le feluche, «dell’errore strategico che avevamo fatto in termini di sovranità, rinunciando ad alcune catene fondamentali del valore. Ci siamo accorti della nostra dipendenza energetica dalla Russia, quella che oggi vediamo di più, quella che impatta di più. Prima dell’inizio della guerra in Ucraina, la Russia valeva da sola oltre il 40% delle importazioni italiane di gas naturale. Ma probabilmente», ha proseguito Meloni, «ci accorgiamo anche della nostra eccessiva dipendenza in termini di sicurezza dagli Stati Uniti». Diretta sulla Russia e diretta pure sulla Cina, visto che in un altro passaggio del discorso ha spiegato che per sostituire partner come Mosca non bisogna mettersi nelle mani di Pechino. Con un riferimento chiaro alla filiera dell’elettrico e delle rinnovabili. Ma allora perché in questi paragoni negativi inserire gli Usa. La prima lettura è che chiaramente per sicurezza non si intende in alcun modo il comparto, ma l’industria della Difesa. Da qui a sua volta derivano due altre osservazioni. Dietro al concetto potrebbe essere un messaggio ai due alleati Ue, Francia e Germania. Cioè, un tentativo di confermare la nostra disponibilità a mettere tutti e due i piedi nella Difesa comune. Alcuni analisti ci hanno visto il tentativo di tenere buone Parigi e Berlino dopo la firma congiunta con Uk e Giappone del programma del velivolo di sesta generazione Gcap, già Tempest. L’altra ipotesi è che a fronte di una continua collaborazione con gli Usa la nostra industria voglia concentrare fondi per sviluppare progetti e contenuti in autonomia. Ecco che la seconda ipotesi può permetterci di rimanere al centro del Mediterraneo e giostrarci tra Bruxelles e Washington. La prima ipotesi sarebbe invece l’ammissione di voler sedere sempre al terzo gradino del podio. Temiamo che sia proprio questa la strada che si sta imboccando. Non va infatti dimenticato che il governo di Londra ci sta pressando sul fronte Difesa. Ok firmare l’accordo per il Gcap, ma il messaggio degli inglesi è «versate subito i fondi, non basta stanziarli». Sono tanti tavoli da gioco e prima o poi Roma dovrà scoprire le carte.