
Senza una preferenza espressa, i soldi ora andranno perlopiù a iniziative contro la dipendenza. In ballo circa 60 milioni.Nella riunione lampo di ieri il Consiglio dei ministri ha approvato anche una proposta del premier Giorgia Meloni (ma l’idea sarebbe partita dal sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano) di rivedere la distribuzione dell’8xmille. È stata infatti deliberata l’assegnazione della quota dell’8xmille dell’Irpef devoluta alla diretta gestione statale per l’anno 2023, riferita alle scelte non espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi per il 2023 (ovvero quando il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi). Parliamo di circa 63,7 milioni - 63.673.631,43 euro, per la precisione - che ora dovranno essere prioritariamente destinati al finanziamento di interventi straordinari relativi al recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche. Nella nota diffusa al termine del cdm, si legge infatti che, all’esito dell’istruttoria, svolta dalla Commissione tecnica valutativa e di monitoraggio della relativa categoria, in merito alle domande di contributo per l’annualità 2023, risultano idonei al finanziamento 33 progetti, per un importo complessivo pari 10,4 milioni e quindi, dalla ripartizione residua un importo di quasi 53,3 milioni. L’assegnazione della quota è stata decisa «in considerazione dell’urgente necessità di mettere a punto interventi di prevenzione strutturata e precoce, soprattutto verso le fasce giovanili, e di affrontare concretamente le difficoltà connesse all’inserimento dei soggetti fragili nelle comunità terapeutiche, come segnalato dal Dipartimento per le politiche antidroga, e dell’impatto sociale e sanitario delle dipendenze patologiche, che ha notevoli ripercussioni sul benessere individuale e delle famiglie, oltreché sull’ordine pubblico, sulla spesa sanitaria e sociale». Il consiglio dei ministri, viene aggiunto, «ritiene opportuno impiegare tutte le risorse disponibili per il finanziamento di progetti».Come sono state sin qui utilizzate le risorse dell’8xmille, ovvero uno dei canali di finanziamento pubblico delle confessioni religiose? Il meccanismo di attribuzione dei fondi consente agli enti che ne hanno titolo di ricevere più di quanto esplicitamente destinato loro dai contribuenti. Tutto ciò si verifica perché la ripartizione viene effettuata in base alla scelta da essi operata attraverso la dichiarazione dei redditi. I fondi assegnati a ciascuno dei destinatari sono proporzionali al numero delle preferenze ricevute. Poiché la maggior parte dei contribuenti non esprime alcuna opzione, accade che gli orientamenti manifestati da quanti hanno invece esplicitato la scelta determinano anche la ripartizione dei fondi relativi alle scelte non espresse. Di conseguenza, l’intero ammontare dell’8xmille viene distribuito solo sulla base di quanto dichiarato dai pochi contribuenti che scelgono (sono meno della metà del totale). Nel 2024 la percentuale dell'8xmille a favore della Chiesa cattolica è stata del 70,34% (-1,4% rispetto all'anno precedente) per una somma di 910 milioni (in calo rispetto a 1,003 miliardi del 2023) che l’assemblea generale della Cei ha deciso così di ripartire: 246 milioni per esigenze di culto e pastorali, 275 milioni per interventi caritativi, 389 milioni per il sostentamento del clero. Lo scorso 10 ottobre la presidenza della Cei, riunita in sessione straordinaria, ha disposto lo stanziamento di 1 milione di euro dai fondi dell’8xmille per far fronte alle necessità della popolazione del Libano.Vedremo le reazioni della Conferenza episcopale alla mossa varata ieri dal cdm. Già a giugno di quest’anno, però, erano circolate voci di una possibile decisione di introdurre nell’8xmille una voce dedicata al contrasto delle tossicodipendenze. Il tema era citato in un passaggio dell’intervista rilasciata a Repubblica dal vicepresidente della Cei, Francesco Savino. Il quale, incalzato su questa ipotesi aveva risposto: «L’inserimento del recupero delle dipendenze è una scelta fatta dal governo che si assume le sue responsabilità, come altri governi inserirono altre voci. Noi non siamo stizziti».Intanto, è chiaro che la decisione del governo, giustificata da propositi nobili, assume anche una connotazione politica dopo la postura del cardinale Matteo Zuppi che è stato assai critico su premierato e autonomia differenziata. Senza dimenticare l’inchiesta, di cui ha scritto molto La Verità nei mesi scorsi, sulle offerte dei fedeli che sarebbero state «girate» da alcuni vescovi a Luca Casarini per i salvataggi dei migranti attraverso la Ong Mediterranea. «Nessun fondo diretto a Mediterranea ma sostegno alle diocesi che hanno presentato progetti di accoglienza a favore dei migranti, compreso il sostegno ai salvataggi in mare», aveva dichiarato la Cei a dicembre 2023 precisando di aver solo «accolto una richiesta presentata da due diocesi in una cornice ampia che prevede, secondo il magistero di papa Francesco, l’accoglienza, la protezione, la promozione, l’integrazione dei migranti e la cura e l’assistenza agli sfollati in zona di guerra in Ucraina. Tutto ciò con un sostegno nettamente inferiore rispetto a quello riportato sulla stampa: 100.000 euro a ciascuna diocesi nel 2022 e così pure nel 2023».
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






