2019-06-19
Medici non specialisti negli ospedali. I pazienti si ribellano al decreto Calabria
La proposta arriva in Senato dopo le accuse di incostituzionalità perché ammetterebbe in corsia dottori non ancora perfezionati.Il decreto Calabria sbarca in aula al Senato dopo essere passato dalla commissione Sanità, che ha tentato di risolvere il nodo sulle assunzioni degli specializzandi negli ospedali, groviglio che si porta dietro non poche polemiche, tra cui il profilo di incostituzionalità. Dopo la rivolta dei cento docenti partita da Napoli, ora si leva anche la voce delle associazioni di pazienti cronici, emofilici nefropatici, dializzati e trapiantati. Ansie e preoccupazioni soprattutto sulla qualità dell'assistenza. Clemente Montuori, vicepresidente dell'associazione Arce (Associazione regionale campana emofilici), in una lettera indirizzata a Carlo Ruosi, docente titolare della scuola di specializzazione in ortopedia e coordinamento ortopedia-emofilia dell'università Federico II di Napoli chiede rassicurazioni «su una legge che prevederà l'assunzione negli ospedali pubblici di medici non ancora specialisti ma ancora in corso di formazione» per colmare le arcinote carenze di organico di tutti gli ospedali, determinate anche dallo stesso sistema universitario. Ansie che vanno di pari passo con quelle espresse dall'Anerc, preoccupata che i pazienti possano essere assistiti da personale non ancora all'altezza. «Già siamo preoccupati per i pazienti che erano seguiti dall'ospedale Incurabili», scrive il presidente Rosaria Napoli, «che da circa tre anni hanno man mano subito un disfacimento fino alla chiusura per il trasferimento di un medico che seguiva i pazienti con grande professionalità e competenza. Due anni fa ha chiuso per mancanza di personale anche l'ambulatorio del Vecchio Pellegrini. A chi deve rivolgersi un paziente trapiantato per i controlli? A giovani specializzandi. Saremo costretti a fare viaggi della speranza che la Regione poi dovrà rimborsare? Abbiamo bisogno di medici competenti», conclude l'Anerc, «che capiscano al cento per cento le problematiche legate al post trapianto, nulla togliendo agli specializzandi, ma non siamo disposti a fare da cavie per l'apprendistato di medici che devono apprendere il mestiere». Intanto nel mondo universitario si tratteggiano due anime rispetto al dl Calabria: da un lato la conferenza dei presidi di medicina che, dopo il vertice al ministero con il titolare del dicastero Giulia Grillo, invita a essere puntuali con la circolare esplicativa promessa dal ministro che dovrebbe dare attuazione al decreto con i correttivi promessi. Dall'altro quella rappresentata da alcuni docenti campani come Maria Triassi, ordinario di igiene della Federico II, e Ludovico Docimo, ordinario di chirurgia dell'ateneo Vanvitelli, che continuano a battere invece sul tasto della palese incostituzionalità del decreto (articoli 3, 32, 77 e 97) chiedendo a gran voce interventi correttivi al Senato suonando l'allerta anche per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Incredibilmente», scrive Docimo ai suoi colleghi, «all'interno del decreto, già approvato alla Camera, è stato inserito l'articolo 12», secondo il quale «gli specializzandi potrebbero partecipare a concorsi per dirigenti medici senza aver conseguito il titolo, laddove finora le loro attività prevedevano obbligatoriamente la figura del tutor». E aggiunge che «gli stessi potranno assumere contratti a tempo determinato negli ospedali durante il corso di specializzazione e quindi successivamente essere automaticamente assunti a tempo indeterminato nella stessa struttura». Poi l'affondo: «Immaginate le corse agli ospedali e le clientele che ne scaturirebbero soprattutto nell'approssimarsi delle prossime consultazioni elettorali». Alcuni medici, stando alle parole di Docimo, stanno addirittura valutando con un amministrativista eventuali azioni legali. Altri ancora si sono rivolti ai propri rettori, nella maggior parte dei casi apparentemente ignari della vicenda, per una presa di posizione nell'ambito della prossima conferenza dei rettori e quindi nei collegi e nelle scuole di specializzazione di cui fanno parte. Linea sposata anche da Giorgio Minotti, preside del Campus biomedico di Roma, secondo cui il nodo della carenza di personale può essere affrontato solo con un apposito decreto legislativo pensato e condiviso dal confronto con il mondo della formazione. Ma come abbiamo detto in principio, durante i lavori in commissione Sanità del Senato è stato recepito il parere della commissione Istruzione, che mitigherebbe il problema, dando un indirizzo che porrebbe in sicurezza la salute dei pazienti. Siccome i tempi del decreto, che scade a fine giugno, non permettevano una modifica sostanziale in sede emendativa, è stato dato il via libera al parere che prevede che gli specializzandi dell'ultimo anno possano ottenere un contratto con gli ospedali «solo previo parare favorevole del Consiglio della scuola di specializzazione di appartenenza», così da assicurare che «la loro formazione avvenga sotto la guida delle scuole di specializzazione di riferimento». In questo modo da una parte si garantirebbe la qualità e la sicurezza del servizio sanitario, senza correre i rischi di un Far West di dilettanti, e dall'altra si risolverebbe il problema della carenza di medici, soprattutto nelle specialità a maggior criticità di organico, che rappresenta da anni una preoccupante deriva.