2024-02-23
Se il maschio tossico è un compagno le leonesse femministe miagolano
Media anti patriarcato timidi sul caso di Silvio Viale, medico pro aborto accusato di molestie. Le politiche di sinistra ammettono che fosse rude, ma minimizzano. Ora che fa comodo, si ricordano che le parole non sono crimini.Una rapida ricerca sull’archivio digitale della Stampa rivela che gli articoli dedicati al temibile patriarcato sono una ruggente marea. Troviamo le invettive di Chiara Saraceno contro il generale Vannacci che negava l’influenza nefasta dell’ordine paterno. Troviamo le intemerate delle giovani teoriche neofemmiste sui corpi delle donne. E poi commenti sul «patriarcato digitale», le sfuriate contro la destra patriarcale che è ancora la stessa da cui sono sgorgati i mostri del Circeo. Perfino una guida all’uso dei classici contro il patriarcato stilata da un esperto come Gianni Oliva.Curiosamente, però, tutta la prosopopea sullo strapotere del maschio (solitamente identificato come violento e oppressore) si è sfarinata davanti all’autorevolezza di Silvio Viale, sessantaseienne ginecologo dell’ospedale Sant’Anna di Torino noto per essere militante radicale, consigliere comunale torinese e attivista per la diffusione della pillola abortiva. Sui manifesti della campagna elettorale per il Partito democratico nel 2016 si definiva «un medico dalla parte delle donne», ma ora sono proprie le sue ex compagne ad attaccarlo per prime, almeno sui giornali. All’ultima tornata è stato eletto con una lista sostenuta da Azione, Italia viva, Demos, Volt, civici e +Europa-Radicali, e ovviamente i grandi giornali tendono a sorvolare sulla passata militanza dem per Fassino sindaco. Non stupisce, dato che ora il luminare ultra abortista non porta grande lustro alla causa essendo accusato di violenza sessuale e indagato dalla Procura torinese. Quattro pazienti lo accusano di palpeggiamenti, ispezioni poco ortodosse (per usare un eufemismo) e addirittura di aver scattato fotografie durante i controlli. Vedremo che uscirà dall’indagine: potrebbe sgonfiarsi tutto, non sarebbe certo la prima volta. Dopo tutto contano le carte giudiziarie, non i commenti astiosi di alcune esponenti della sinistra piemontese (Ludovica Cioria del Pd ed Elena Apollonio di Demos) che definiscono Viale misogino, maleducato e aggressivo. Sono valutazioni emotive e politiche, non sentenze. E qui ci imbattiamo nel primo elemento di interesse della storia. Una esponente del Movimento 5 stelle, Valentina Sganga, ha trasformato il caso giudiziario in un caso politico, portando la discussione nella commissione pari opportunità del Comune torinese. In aula si è discusso del presunto sessismo di Viale, ma le pasionarie progressiste - anche rispetto a certe uscite a mezzo stampa - hanno piuttosto ridimensionato i toni. «Non ho mai parlato di sessismo», ha sminuito Elena Apollonio. «Mi sono limitata a dire che abbiamo spesso registrato intemperanze che hanno messo in difficoltà i colleghi». Quali sarebbero le intemperanze? Una la riporta Ludovica Cioria del Pd: «A me, una volta, mi ha urlato contro, dicendomi che ero una cretina, per un quarto d’ora… E non ha mai chiesto scusa». Eppure Lorenza Patriarca (anche lei del Pd, anche lei ruvida sui giornali) minimizza: «Mai fatto dichiarazioni sul sessismo, ma sui comportamenti chiassosi e inadeguati del consigliere Viale. E questo non c’entra niente con le accuse di molestie». Interessante: adesso a sinistra distinguono tra molestie e sessismo, tra parole e azioni. «Non bisognerebbe parlarne sui giornali, crea solo confusione, un conto è il sessismo un altro conto la violenza sessuale», dice ad esempio Tiziana Ciampolini di Torino Domani (centrosinistra). Meno male che dopo anni di invettive e semplificazioni mediatiche anche loro sono giunte a capire che le violenze vere sono un conto e le frasi un altro. Meglio tardi che mai. A quanto pare, forse per via della caratura dell’inquisito, anche i media hanno scelto la cautela. Stupisce il garbo con cui la vicenda viene trattata dalla Stampa e da altri quotidiani robusti. Repubblica e Corriere confinano tutto in articoletti di taglio basso, i colleghi torinesi - oltre a sorvolare sul suo passato piddino - pubblicano un curioso colloquio con il medico indagato, consentendogli una tutto sommato apprezzabile esibizione di realismo ma pure qualche uscita abbastanza spettacolare. Viale dice di non ricordare nulla: «Non ho la minima idea di chi siano queste ragazze, non riesco davvero a collegare le situazioni», dice a proposito delle sue accusatrici. E se fosse un destrorso immaginiamo quale fanghiglia social avrebbe scatenato una dichiarazione del genere. Ma il meglio Viale lo offre quando gli viene chiesto conto di certe frasi poco ortodosse e su certi atteggiamenti scorretti che avrebbe riservato alle pazienti molestate. «Probabilmente c’è un gap generazionale», sostiene. «Una volta c’era più apertura mentale, ora no. Non so nemmeno se dire di essere stato frainteso. Quando c’è differenza tra il fatto e il percepito, il percepito resta tale e non puoi farci nulla». Ci chiediamo come possa un ginecologo venire frainteso. Un ortopedico potrebbe esserlo? Chissà. In ogni caso, immaginate che cosa accadrebbe se un Vannacci dicesse una cosa simile sulla apertura mentale? Il rogo, almeno. Ma chissà, forse è persino vero. Forse una volta c’era più apertura mentale: una volta, quando esisteva il patriarcato che la sinistra e i suoi giornali tanto detestano, e che pure Viale ha contribuito a eliminare «liberando» le donne dalla tirannia della maternità.
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