
Era ampiamente previsto che, tra tutti i feticci pandemici, quello della mascherina sarebbe stato l’ultimo a cadere per la sua valenza simbolica di compliance e di obbedienza. Così è stato: molti cosiddetti esperti ancora oggi faticano a prendere atto che nessuno studio ha dimostrato che abbia efficacia in comunità. Tuttavia i lavori che ne ridimensionano l’effetto sono sempre più numerosi. L’ultimo, uscito due giorni fa sulla rivista Plos One, è stato condotto dagli scienziati della Norwich Medical School (Uea). Il team, guidato da Paul Hunter, ha lavorato sulla trasmissione dell’infezione nel Regno Unito ed è arrivato alla conclusione che «con la diffusione della variante Omicron» le mascherine hanno protetto ben poco: da dicembre 2021 la probabilità di contagio per chi non indossava una protezione è sembrata la stessa di chi la utilizzava. I bambini in età scolare che non indossavano mai coperture per il viso, riferisce lo studio, avevano una probabilità insignificantemente più alta di risultare positivi. Hunter parla addirittura di «aumento del rischio» associato all’uso delle protezioni per il viso, durante la seconda ondata di Omicron.
Nulla di nuovo, se non fosse che le istituzioni italiane hanno continuato a imporre l’uso della mascherina ben oltre l’arrivo di Omicron: nelle nostre scuole, ad esempio, l’uso obbligatorio è stato protratto fino a giugno 2022 e l’Italia è stato l’ultimo Paese Ue a revocare l’obbligo per gli studenti, che nel 2021 le hanno portate a scuola per circa 650 ore. Negli ospedali italiani ancora oggi diversi medici ricevono i pazienti con la mascherina.
Certo, anche lo studio di Hunter fatica a recepire l’evidenza che non c’è uno studio solido ed efficace, dal periodo pre-pandemico a quello post pandemico, che dimostri che la mascherina in comunità abbia efficacia nella prevenzione delle malattie a trasmissione aerea, dall’influenza like iliness al coronavirus: «Prima di Omicron non indossare mai una maschera era associato a un aumento del rischio di circa il 30% negli adulti e del 10% nei bambini», scrivono gli autori, ma la realtà non è esattamente questa; senza contare che - considerato l’investimento retorico ed economico che ha fatto il nostro Paese su questi dispositivi - non sarebbe comunque un valore dirimente.
Il professor Luca Scorrano, uno degli scienziati biomedici italiani più autorevoli, già a maggio 2022 sulla Verità aveva citato tre paper fondamentali: lo studio randomizzato Danmask, lo studio cluster control realizzato in Bangladesh e quello effettuato nelle scuole della Catalogna. Tutti avevano confermato quella che, prima del Covid, era una evidenza accertata: le mascherine non hanno efficacia in comunità, anche perché l’efficacia è soggetta a molte condizioni che non coesistono mai. A gennaio 2023 è arrivata poi la Cochrane Review A122 realizzata dall’epidemiologo Tom Jefferson et Al. che ha avuto l’ambizioso obiettivo di raccogliere e valutare tutti gli studi Rct disponibili su come si trasmettono i virus e su quali misure sono utili per mitigare i contagi, giungendo alla stessa conclusione: non è dimostrato che le mascherine facciano la differenza.
Per chiarire che anche le evidenze scientifiche hanno le loro gerarchie, Scorrano aveva fatto le pulci agli studi pro-mask citati dalla virostar Roberto Burioni: uno studio «test negative caso-controllo» pubblicato dai Cdc americani con una serie di limitazioni chiaramente espresse dagli stessi autori (non era uno studio randomizzato ed era stato condotto sulla base di interviste telefoniche) e quello uscito sul New England Journal of Medicine (Nejm), realizzato con metodologia opinabile, fattori confondenti molto seri e conflitti di interesse. In quest’ultimo lavoro portato a esempio da Burioni c’era perfino un passaggio in cui si sosteneva che «mettere la mascherina a tutti può essere utile per mitigare il razzismo a scuola», sic. È anche a causa di questo tipo di informazione che le mascherine a scuola sono state un unicum tutto italiano: l’Ecdc non ne ha mai raccomandato l’uso generalizzato sotto i 12 anni, ma il governo italiano ha tirato dritto. Se lo studio di Hunter rappresenta dunque un ulteriore tassello verso la definitiva demolizione della non-evidenza scientifica sulle mascherine, c’è ancora da aspettare prima di mettere definitivamente la pietra tombale su questi dispositivi che hanno funestato inutilmente tutto il periodo pandemico.





