2025-03-29
Caso Oppelli, il tribunale di Trieste nega ancora il suicidio assistito
Il tribunale di Trieste. Nel riquadro, Martina Oppelli (IStock)
Protesta l’Associazione Luca Coscioni: «Violato il dettato costituzionale».Ancora un «no». Per la terza volta, il tribunale di Trieste ha rigettato la richiesta di suicidio assistito avanzata da Martina Oppelli, 50 anni, architetto, da oltre 20 affetta da sclerosi multipla. Tale diniego arriva dopo che la donna era ricorsa al tribunale affinché ordinasse all’azienda sanitaria Asugi di applicare la sentenza costituzionale che ha riconosciuto, in determinati casi, il diritto di accedere alla morte assistita. A diffondere la notizia, ieri, è stata l’Associazione Luca Coscioni, che ha fatto presente come il rigetto del tribunale sia arrivato dopo che, con la sentenza 135 di luglio 2024, la Corte costituzionale ha stabilito che il concetto di trattamento di sostegno vitale cui un paziente è costretto a fare totale affidamento «deve comprendere anche l’assistenza di caregivers e non essere limitato a supporti meccanici o farmacologici». Considerando questo e anche il fatto - documentato - relativo purtroppo alle «chiare evidenze del peggioramento della salute» della Oppelli, «l’azienda sanitaria ha prodotto una relazione che, pur prendendo atto del peggioramento e pur riconoscendo la necessità di trattamenti vitali come l’uso della macchina della tosse, l’assistenza per le funzioni biologiche quotidiane e l’assunzione di una corposa terapia farmacologica, ha concluso che questi non costituiscono un trattamento di sostegno vitale». Di qui il rigetto del tribunale. Per l’associazione di cui è tesoriere Marco Cappato il rigetto dei giudici triestini non solo è molto grave, ma poggia su «una interpretazione dunque non conforme al dettato costituzionale». Assai delusa è anche la diretta interessata. «Non sono una giurista», ha dichiarato la donna, che però trova la sentenza «offensiva sia nei miei confronti che in quegli degli enti pubblici che mi erogano i sussidi necessari e indispensabili per coprire le spese assistenziali». «Avendo una invalidità certificata del 100% con gravità riconosciuta ai sensi della legge 104», ha aggiunto, «mi chiedo dunque se le commissioni esaminatrici non si siano sbagliate. Come faccio io, totalmente immobile, a mangiare, a bere, ad assumere farmaci nelle 24 ore, poiché necessito di antiepilettici anche la notte? Chi mi schiaccia la pancia fino a frullarla per riuscire ad espletare i bisogni fisiologici? Chi mi lava? Chi mi cambia i presidi per l’incontinenza?». La decisione del tribunale di Trieste ha quindi accolto gli argomenti del difensore di Asugi il quale, nell’udienza dello scorso gennaio, aveva evidenziato come la citata la sentenza 135, essendo di rigetto, non fosse vincolante per i medici che hanno eseguito le nuove verifiche della condizione di Martina. Argomenti che sono stati accolti per questo ulteriore diniego alle istanze della donna, che si aggiungono al secondo «no» alla Oppelli, arrivato lo scorso agosto dopo che aveva presentato in procura a Trieste un esposto per tortura e per rifiuto d’atti d’ufficio contro l’azienda sanitaria. «Così condannano Martina a proseguire in una sofferenza senza fine», era stato in quell’occasione il commento dell’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni. Il verdetto delle scorse ore, però, non ha cambiato le cose per la donna, da oltre due anni impegnata in una battaglia giudiziaria per vedersi riconosciuto il diritto all’accesso al suicidio assistito. La doccia fredda è arrivata dopo che martedì, nell’udienza alla Corte Costituzionale per il «Cappato ter», la Luca Coscioni aveva proprio richiesto alla Corte, tra le altre cose, di ribadire l’interpretazione del concetto di trattamento di sostegno vitale ai fini dell’accesso al suicidio assistito con una sentenza di accoglimento, così da vincolare aziende sanitarie e tribunali al suo rispetto e in questo caso alla richiesta di Martina Oppelli. Prima della Consulta si è però pronunciato il tribunale di Trieste - tornato, senza «aperture» di sorta, a ribadire le sue posizioni.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)