2023-05-08
«La vera modernità? Tornare a distinguere tra maschi e femmine»
Marisa Laurito: «Ho nostalgia delle grandi madri di una volta, oggi dilaga il trash. Mi godo il mio Napoli, ma non parliamo di rivalsa».Marisa Laurito aveva promesso: se vince il Napoli mi vesto con la bandiera.«E manterrò la promessa. Anzi, ho già iniziato sabato a teatro: in tutte le occasioni importanti un abito azzurro. È una vittoria particolarmente bella perché meritata da una squadra che ha persino i conti in ordine». Ma quando parlano di una rivalsa della città… «Ecco no, quando leggo questo lo sa che mi arrabbio? Sono sciocchezze. Primo, ce la siamo meritata. E poi Napoli ha sì i suoi problemi, ma son quelli di tutta Italia. Altro che rivalsa: questa città è da sempre capace di essere unita nella gioia e nel dolore. L’immagine perfetta è stata, in tempo di pandemia, il panariello: il cestino calato dai balconi con il biglietto: “Chi può metta, chi non può prenda”. Napoli è davvero l’ultimo baluardo dell’umanità, come diceva Luciano De Crescenzo». Suo grande amico. Così come Renzo Arbore. Trentatré anni fa festeggiaste insieme, con De Crescenzo? «Eccome, scendemmo sul campo allo stadio a festeggiare. E poi andammo insieme a Forcella, per le strade. Proprio il quartiere dove da quattro anni dirigo il teatro Trianon Viviani. Chi lo avrebbe mai detto». Lei che della parola ha fatto un mestiere ha già chiarito che piuttosto che «direttora» preferisce che la chiamino «madre badessa».«Sì perché trovo certe battaglie veramente inutili, davvero. Si rischia di restare prigionieri di qualcosa che è solo relativamente importante».Fu femminista?«Sono stata femminista, ho combattuto per i diritti delle donne, ma quelli che contano davvero. Viviamo in un Paese in cui fino alla fine degli anni ‘60 l’adulterio femminile era ritenuto un reato, ci rendiamo conto? Certo che la lingua evolve, e che le parole nuove ci sono e vanno cercate, sono tesori preziosi. Qui però qual è la sfida? Perché invece non mettiamo al centro del dibattito la parità salariale? Anni a discutere di quote rosa, quando è solo il merito a stabilire chi deve avere un certo posto di lavoro».Chi deve lottare? Le donne?«E pure gli uomini. Vedo però con dispiacere che alcune donne non hanno compreso cosa sia davvero la libertà. Occorre essere seri, di fronte alla vita e alla storia. Siamo nate in un Paese democratico, non in un posto come l’Iran dove anni e anni di lotta dovranno essere ancora combattuti per i diritti. Certe giovani pensano ad esempio che sia la vera libertà sua quella sessuale. Finendo così per svilire, avvilire un aspetto così importante del femminile. La femminilità va mantenuta, sempre. Per essere davvero moderni, secondo me, occorre mantenere ciò che è proprio al femminile e al maschile».Occhio che questo è un tasto che fa arrabbiare molti…«Non mi importa, penso che si debba dire quello che si pensa, sa? Si arrabbiassero pure: il fatto è che siamo nati con maschile e femminile. E il femminile è soprattutto accoglienza. Non a caso partoriamo, no? Questa essenza bisogna mantenerla. Sento la necessità oggi di grandi madri, quelle di una volta. Che sapevano accudire e raccontare ai propri figli la vita. Cucinare per loro, accarezzarli nei momenti di difficoltà e ridere insieme a loro in quelli di felicità. Non sempre è così purtroppo. I figli si fanno a volte con molta superficialità».Succedeva anche un tempo, no?«Certo, ma avremmo potuto guadagnare responsabilità con il trascorrere degli anni. Lo speravo. Leggo invece di abbandoni e tragedie. Incontro figli che non sono stati voluti. Si fanno per amore, non per egoismo».Si parla oggi anche di maternità surrogata.«Trovo indegno sia affittare l’utero che pagare per affittarlo. Con tutti i bimbi soli nel mondo in cerca di una mamma e di un papà, poi…».E dei giovani che mi dice? Ne incontrerà molti, a teatro. Mancano i valori? Le lotte per le cose importanti?«Ma guardi che non è colpa dei giovani. Nel mio lavoro vedo a volte artisti emergenti che mancano di serietà e disciplina, sono approssimativi. Li abbiamo illusi che potevano diventare qualcuno semplicemente mostrando il loro carattere. Senza studiare. La responsabilità la hanno i social ma la ha avuta pure la televisione. Soprattutto quella privata, con i suoi “spettacolacci” che hanno poi contagiato pure la Rai in cerca di ascolti». È sempre un po’ colpa di Berlusconi insomma?«Ma figuriamoci, se non ci fosse stato lui sarebbe arrivato qualcun altro. È un vento che è arrivato dall’America, di cui siamo colonia culturale a scoppio ritardato di 20 anni. Soltanto che lì la qualità si trova, tra i tanti canali e la tanta offerta. Qui invece la scala è ridotta, ed è andata a finire che si è perso lo studio, il rigore, la ricerca. Far l’attore è un mestiere difficile e molto serio. L’altro giorno con il mio compagno - che è stato un importante industriale - siamo rimasti colpiti dalle dichiarazioni di Spalletti. Che gioiva per la vittoria, certo, ma già pensava a quale sarà il suo impegno successivo. Questa è la vita di chi ha a cuore veramente il lavoro».Lei sembrerebbe prenderla con leggerezza.«Ma infatti leggerezza non è certo la superficialità, e lo ha spiegato bene Italo Calvino. È un dono di cui son grata, perché salva la vita. È il saper ridere di gioia anche nei momenti difficili. Non tutte le persone riescono a essere leggere. Forse a Napoli è più facile perché siamo maestri nel trucco di trasformare anche le piccole tragedie in un momento ironico della giornata. Sarà questa mia essenza che mi ha portato ad amare il teatro musicale e comico, con il pubblico che ride e canta».Il teatro è il grande amore. Fu scoperta da Eduardo De Filippo a 21 anni.«Amava il proprio lavoro tanto da fare di tutto per farlo al meglio, con ogni energia. È da lui che ho imparato che l’arte non ha orari e giorni festivi».Questo è il 51° anno di carriera. I ricordi migliori sul palcoscenico?«Tantissimi, ma se devo proprio scegliere direi che i miei testi preferiti sono stati Novecento napoletano, Aggiungi un posto a tavola e il più recente Persone naturali e strafottenti. Quegli spettacoli insomma che permettono di ridere ma pure di riflettere».Pescando invece dal mazzo della televisione?«Periodo meraviglioso, quello degli anni Ottanta. Con Celentano, Arbore naturalmente, Gino Landi, Gigi Proietti… si creava e inventava, si era davvero sulla cresta dell’onda e con cose intelligenti e ironiche, come piace a me. Oggi le cose sono cambiate molto. Tutti questi reality sono davvero poco interessanti dal punto di vista artistico».Si è sempre rifiutata di partecipare? Glielo hanno chiesto in tanti?«Ho sempre detto “no”, anche in momenti di difficoltà economica. Offrivano tanti soldi, e fan comodo a tutti. La qualità però è il mio pallino, da sempre. Meglio star ferma, che fare qualcosa che non mi convinceva. Ho fatto piuttosto la cuoca, la cameriera, mille altri mestieri… Negli anni è diventato anche il desiderio di non tradire il pubblico e di non tradire soprattutto me stessa. Amo l’eleganza e la classe. Anche ai fornelli: ho imparato a cucinare per accogliere personalità di tutti i tipi, l’importante è che avessero qualcosa da dire».Solo artisti? O anche politici?«Pure due presidenti della Repubblica. A cena da me venne Napolitano, allora ministro. E pure Cossiga. Ho sempre amato gli inviti. La cosa interessante del cibo è lo starci attorno insieme. Per chiacchierare non come gioco, ma per parlar d’arte o scambiarsi idee. Un salotto intellettuale, ecco».Roba da radical chic?«I miei salotti non lo erano per niente, anzi. Amo solo ciò che è popolare. Ho conosciuto tantissime persone importanti. E non per il loro nome, ma perché intelligenti, con vitalità e personalità». Di destra e di sinistra?«Ovvio. A parte che io vorrei che qualcuno mi spiegasse le reali differenze concettuali tra la destra e la sinistra di oggi, è naturale che entrambe le parti esprimano persone interessanti. Montanelli fu un grande giornalista. Così come lo fu Eugenio Scalfari. Non ebbi mai l’onore di conoscerli di persona».Inviterebbe tutti a cena? O c’è qualcosa che lei proprio non salva?«Non salvo la mancanza di rispetto, l’assenza di ironia e la volgarità. Queste tre cose. La volgarità purtroppo oggi è un po’ dappertutto. È il trash. Proprio non fa per me».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)