2024-02-26
Marco Campomenosi: «Arriva un’altra stretta Ue sui social»
Marco Campomenosi (Imagoeconomica)
L’europarlamentare leghista: «Dopo il Digital services act, che rischia di introdurre la censura, si metteranno nel mirino i post sponsorizzati. Gli unici ad avere le mani libere sul Web saranno i membri della Commissione». Marco Campomenosi, la sento veramente male…«Qui ad Abu Dhabi negli Emirati Arabi, la linea non è il massimo».In quanto eurodeputato e capo delegazione Lega, credevo stesse a Bruxelles!«È una riunione interparlamentare in preparazione della conferenza ministeriale del Wto di questa settimana (l’Organizzazione mondiale del commercio, ndr)».Ce la descrive che non ne sappiamo nulla?«Stiamo in una stanza dove c’è l’Unione europea che, come sa, ha competenza esclusiva in materia di commercio internazionale al posto degli Stati membri. Poi l’India, la Turchia, l’Indonesia. Ma soprattutto la Cina. Se guarda uno dei miei ultimi post su X si renderà conto di cosa si sta facendo».Non ho letto sono sincero…«In verità, stiamo elaborando un testo base su cui la conferenza Wto dovrà trovare un accordo».Non la sento fiducioso.«Il Wto sta diventando sempre più uno strumento al servizio di chi non intende rispettare standard etici, produttivi ed ambientali che noi europei ci siamo invece severamente auto imposti. Questa organizzazione avrebbe dovuto promuovere il commercio internazionale tramite intese di libero scambio. Anche i cosiddetti accordi multilaterali su singoli temi specifici come agricoltura o pesca erano un tema del Wto. Avrebbe infine dovuto essere una sorta di tribunale internazionale dove comporre le controversie commerciali tra i Paesi. Ma su tutti questi tre fronti ci sono stati soltanto fallimenti. Prenda il tribunale. Non funziona. Anzi funziona soltanto per dare ragione alla Cina o alle multinazionali che delocalizzano altrove sfruttando la globalizzazione selvaggia». Parlava di pesca. Cosa bolle in pentola?«C’è una volontà da parte dell’Ue di far sì che anche gli altri Paesi adottino standard di sostenibilità che però rispettiamo soltanto noi. Lei conosce bene il tema green. È una battaglia non dico persa ma complicatissima. Visto che stiamo cercando di condividere un testo base. Ma stiamo cercando anche di far sì che siano riconosciuti standard etici in merito alla manodopera. Per impedire una competizione non giusta che premia chi si comporta peggio. Pensi poi agli aiuti di Stato. In Europa ci siamo dati regole restrittive che in Cina non esistono proprio. Si creano quindi distorsioni di mercato evidenti. Dal momento che Cina e Stati Uniti, a differenza nostra, si fanno i loro interessi mentre noi inseguiamo l’ortodossia dei principi». A che conferenza siamo?«La tredicesima». Nel concreto lei è uno spettatore privilegiato?«No! Faccio parte della delegazione del Parlamento europeo. Sono l’unico italiano. I gruppi parlamentari rappresentati sono sette. E devo giustamente difendere le nostre istanze di giustizia ed equità. Cosa di per sé lodevole. Ma se tutti adottassero gli stessi standard. Ma mentre coltiviamo questa speranza è necessario difendere al meglio la nostra capacità produttiva visto che abbiamo purtroppo intrapreso un percorso di deindustrializzazione. Pensi all’approvvigionamento delle materie prime necessarie alla transizione green, che vede l’Europa fuori gioco. O alle tassazioni volte a scoraggiare certi tipi di comportamenti quali le emissioni di CO2 che però rispettiamo soltanto noi europei».Alla conferenza Wto chi parteciperà per l’Italia?«Il governo italiano invierà la sottosegretaria agli Esteri Tripodi, persona seria e preparata. È chiaro, e l’ho già detto in più sedi, che un Paese come l’Italia deve avere su temi decisivi per la sua economia come il commercio internazionale, un approccio trasversale. Vanno cioè coinvolti il mondo dell’industria e dell’agricoltura. Il commercio non è tema da sole feluche cui però spetta l’onere di fare un lavoro di coordinamento. Questo modus operandi non potrebbe che far bene ad una bilancia commerciale che oggi si regge, soprattutto, sul miracolo delle nostre imprese, anche piccole e medie, che resistono ad una tassazione e ad una burocrazia senza limiti».Lei si è molto occupato del cosiddetto Digital services act. Ci spiega cos’è in parole semplici?«Normativa oggi in vigore. La chiamo per comodità Service perché è partita in parallelo con un’altra: il Digital market act. Il principio di base è: ciò che è vietato offline deve esserlo anche on line. Il Dsa rischia di introdurre una censura. Ci saranno i cosiddetti “trusted flagger” con il potere di decidere se un mio post sui social può starci oppure no. La cosa curiosa è che sarà la Commissione in prima persona ad agire su questi temi. In Italia, come sa, abbiamo invece il sistema collaudato delle cosiddette Authority. Con l’obiettivo di combattere le fake news, sono state inizialmente individuate 19 piattaforme disciplinate da questa normativa già a partire da agosto. Per tutte le altre, la normativa è in vigore da una settimana. Di fatto oltre che alla libera informazione questa normativa pone anche un blocco in termini di mercato ai nuovi operatori con nuovi strumenti. Ci sarà poi un effetto di rimozione di contenuti leciti ma che comunque spariranno per eccesso di zelo dei gestori delle piattaforme on line che, comprensibilmente, non vorranno avere rogne con la Commissione».Ogni legge, soprattutto europea, è un disastro.«Gli intenti possono anche essere nobili. Spesso lo sono, anzi. La direttiva copyright mirava a difendere la proprietà intellettuale, ad esempio. Che però di fatto avrebbe impedito di pubblicare online il contenuto di un articolo riportato sul giornale cartaceo. Di fatto, ancora una limitazione alla circolazione delle notizie. I media tradizionali provano a resistere all’avanzata dei social. Alcuni dei quali vanno guardati con molta attenzione. Penso ad esempio a TikTok. Le autorità italiane, ad esempio, ben prima del Dsa hanno svolto un lavoro importante in materia di riconoscimento dell’età dell’utente. Consideri che tutte le società hanno sede legale a Dublino. E chi voleva in qualche modo opporsi al blocco dei propri contenuti doveva ricorrere alle autorità giudiziarie irlandesi. Insomma, un bel caos con tanto di limitazione della libertà di informazione ma anche del business».Lei non manca mai, con una punta di veleno, di sottolineare che gli alleati Fdi e Forza Italia hanno approvato la normativa Dsa. Siamo in campagna elettorale piena, vedo!«Nel luglio 2022 l’unico partito italiano che ha votato contro questa normativa è stata la Lega. Elementi di contesto, quali l’attenzione dei media tradizionali e la scarsa pubblicità in materia, non hanno aiutato alcuni partiti di centrodestra a prendere scelte consapevoli». Norme dannose o inutili o entrambe le cose?«L’esperienza di X (già Twitter, ndr) dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk ci dice che gli interventi promossi all’interno dei social per assicurare la libertà di informazione funzionano meglio delle limitazioni di legge dall’esterno. Con questa normativa in vigore io ne sono convinto: nel dubbio verranno rimossi molti contenuti. E attenzione alla prossima settimana…».Che succede?«In plenaria a Strasburgo verrà votato un report molto delicato relativo alla pubblicità politica. Anche qui abbiamo un intento lodevole per carità. Si parla dei cosiddetti post sponsorizzati. Mi spiego con un esempio. Dragoni pubblica un post sponsorizzato. E il consumatore, nell’intento del legislatore, ha diritto di sapere da dove arrivano effettivamente i soldi con cui il post viene promosso. Non semplicemente dalle sue tasche. Ma ci sono, ad esempio, committenti che estraggono petrolio?».Fare luce per legge su questa filiera mi sembra a dir poco complicato. La magistratura con indagini ad hoc può farlo. Ma in presenza appunto di indagini.«Ripeto, l’obiettivo è lodevole. Fare trasparenza evitando al massimo che vi siano ingerenze esterne. Se io pubblico un video senza sponsorizzarlo, nessun problema. Ma se già uso fondi istituzionali disponibili, ad esempio, dei gruppi parlamentari, si mette in moto un sistema di raccolta dati ed informazioni che si sa dove comincia ma non dove finisce. Tutti vincoli da cui però sono esentati, ad esempio i commissari della Commissione Ue che invece - con la scusa della comunicazione istituzionale - possono effettuare una vera e propria propaganda politica senza troppi vincoli o noie. E loro farebbero campagna elettorale tranquillamente coi soldi dei contribuenti. Consideri che questa normativa verrebbe ad applicarsi anche a livello delle elezioni comunali. In città magari con meno di quindicimila abitanti».Mi dà l’assist per l’ultima domanda. Ci saranno le Europee il prossimo giugno. La Lega di rinominare la Von Der Leyen non ne vuol sapere. Dalle parti di Fdi sono più tiepidi. Forza Italia invece entusiasta della ricandidatura. Ancora divisioni.«Facciamo chiarezza perché la presidente non la racconta giusta. Ricandidarsi significa che ti sei già candidata un’altra volta. Così non è stato mai però. Oggi è possibile, grazie al sistema dello Spitzenkandidat, promuovere a livello elettorale una candidatura al ruolo di presidente della Commissione Ue. Ma il candidato popolare tedesco era Weber, non lei, nel 2019. Ma soprattutto in questi cinque anni la Von Der Leyen non si è minimamente dimostrata capace di saper o poter bilanciare le pressioni dell’agenda verde di Timmermans con le esigenze dell’economia ed il buonsenso. Lei è stata protagonista di una caotica iper-legislazione che male, molto male, ha fatto all’Europa - in generale - e all’Italia in particolare. Lei è la persona sbagliata, non quella giusta».