2024-05-17
Da mani pulite a posate sporche
Dopo una settimana di gogna, l’accusa contro Toti è quella di aver pranzato a sbafo a Montecarlo. Pasto che peraltro il presunto corruttore non avrebbe pagato essendo habitué del casinò. I 74.000 euro dati al governatore fanno parte del sistema usato con tutti.Dall’inchiesta della Procura di Genova che ha portato all’arresto del governatore Giovanni Toti emerge un vero e proprio magna magna. L’ultimo tassello della grande abbuffata l’hanno rivelato ieri i giornaloni: il presidente della Liguria in estate si è attovagliato in quel di Montecarlo con il terminalista più liquido del Ponente, e anche del Levante, ma non ha pagato il conto. Sì, è questa l’ultima grande notizia scagliata contro l’ex direttore del Tg4 prestato alla politica. Nel Principato ha mangiato a sbafo. Altro che nuova Tangentopoli, come tuona Giuseppe Conte, il quale ha subito indossato la toga, ma non da avvocato quale è, bensì da pm. Da Mani pulite siamo passati a Posate sporche: nuovo capitolo dello scandalo nazionale che accompagna i rapporti fra imprenditoria e politica. Trent’anni fa la mazzetta si nascondeva nei pouf, adesso è camuffata con un piatto di spaghetti allo scoglio. Ovviamente, nel menù à la carte delle grandi testate non tutto viene servito sullo stesso piatto. Se c’è da fare ai ferri Toti non si lesina la fiamma, se invece l’ospite da accogliere è un ex potentone come Claudio Burlando, ex ministro ed ex governatore ma tuttora gran consigliere del Pd e pure di Spinelli, allora il pranzo non riserva alcuna sorpresa. Del resto, a bordo dello yacht del magnate ligure, lo stato maggiore del Pd, capitanato dall’uomo beccato ad andare contromano in autostrada, si è rimpinzato solo con delle banalissime lasagne al ragù. E poi, diciamoci la verità: un conto è attovagliarsi a Montecarlo, un altro è mangiare su un panfilo ancorato alla Foce. È stato proprio Burlando a rimettere le barche a posto, precisando con un’intervista a un giornalone, il quale se l’è bevuta in un lampo, che lui non solo sul natante di Spinelli è andato per fornire un’opinione, ma è rimasto in porto. Insomma, niente gita in alto mare e, soprattutto, nessun soggiorno a Montecarlo. La Costa Azzurra a quanto pare fa la differenza: un conto è pranzare a Genova, un altro a Monaco. Da quel che si capisce, l’aggravante scatta dopo Mentone. Oddio: a carico di Giovanni Toti poi c’è quell’accenno alla patata e al caviale fatto in una conversazione captata dalla Guardia di Finanza. Invece di parlare di acciughe fritte rigorosamente liguri, il governatore fa riferimento a un cibo da ricchi e come se non bastasse importato principalmente dalla Russia o dall’Iran, il che rischia di costargli un sovrappiù di accuse, ovvero di essere filo Putin o filo ayatollah. Sì, gratta gratta nell’inchiesta di Genova spunta proprio la grana grossa. Grana intesa come guaio, non come scaglie di formaggio. Toti mangiava e non pagava. Roba da condannarlo alla dieta, ma non come quella volta che Silvio Berlusconi lo portò in una clinica sul lago di Garda, dove al massimo il futuro presidente della Liguria perse qualche etto. No, qui dopo la grande abbuffata denunciata dai giornali c’è da metterlo a pane e acqua. Altro che domiciliari in quel di Ameglia, dove coccolato dalla famiglia rischia pure di metter su qualche altro chilo.Lo so: vi state chiedendo dove voglia andare a parare con questa storia del conto al ristorante non pagato e con la patata al caviale andata di traverso dopo l’intervento delle Fiamme gialle. La risposta è semplice: se dopo una settimana di accuse, tocca parlare di un pranzo a sbafo siamo proprio alla frutta. Vuol dire che i giornaloni non hanno trovato altro da servire e sperano che i loro lettori siano di bocca buona e si pappino anche questo.Per quel che mi riguarda, le ordinanze di custodia cautelare e anche i verbali d’interrogatorio sono abituato a leggerli fino in fondo. E dunque, ciò che Spinelli avrebbe rivelato ai pm, e cioè il pasto gratis del presidente, è accompagnato da una precisazione. Infatti, il terminalista più liquido e più furbo di Genova, nel suo interrogatorio fa presente che essendo un habitué del casinò di Montecarlo e anche un forte giocatore, lui non paga il conto, perché gli viene offerto. Perciò tocca rimettere nel taschino la stilografica: della grande abbuffata per ora si vedono solo le briciole. Vale a dire quei 74.000 euro in tre anni, versati con regolare bonifico. Il sistema che Spinelli ha usato con tutti i partiti. Come dice lui: pagava tutti. Chissà però se oltre a pagarli li invitava a cena o a pranzo. E quante volte.
c
La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
Continua a leggereRiduci