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2022-08-29
L'avvicinamento tra Mali e Iran non è una buona notizia
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Il ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Diop (Ansa)
Martedì scorso, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, si è recato a Bamako, alla guida di una delegazione politica ed economica di alto rango, per incontrare l’omologo maliano, Abdoulaye Diop. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa turca Anadolu, Teheran è pronta a intervenire in vari settori economici del Paese africano: dalle infrastrutture alla lavorazione della carne, passando per il cotone e il comparto energetico. Fonti giornalistiche di Teheran hanno inoltre riferito che i due Paesi organizzeranno dei forum economici congiunti. “I governi dei due Paesi stanno facendo molti sforzi per facilitare il lavoro degli operatori economici”, ha dichiarato Abdollahian, per poi aggiungere: “Gli ostacoli esistenti verranno eliminati per accelerare le operazioni di cooperazione economica tra i due Paesi”.
Ora, il consolidamento dei legami tra Teheran e Bamako è una notizia dai risvolti problematici. Ricordiamo che l’Iran è uno stretto alleato della Russia, con cui ha siglato a luglio un accordo da 40 miliardi di dollari nel settore dell’energia. Quella stessa Russia che, negli scorsi mesi, ha significativamente rafforzato la propria longa manus sul Mali, infliggendo ripetutamente duri colpi all’influenza francese su Bamako. Una longa manus – quella di Mosca – veicolata soprattutto attraverso i temibili mercenari del Wagner Group. La crescente forza del Cremlino nell’area è destinata ulteriormente a consolidarsi attraverso Teheran. E questo costituisce un problema significativo. Non va infatti trascurato che il Sahel è un crocevia fondamentale per i flussi migratori diretti verso l’Europa occidentale: flussi che Mosca potrebbe utilizzare come strumento di pressione politica sull’Ue (secondo un copione già messo in pratica da Vladimir Putin, in combutta con Minsk, lo scorso autunno ai danni dei confini polacchi). L’Iran, dal canto suo, potrebbe in un certo senso contribuire a questa strumentalizzazione, senza tra l’altro dimenticare che la Repubblica islamica è in grado di condurre attività minacciose in seno al Mediterraneo allargato (si pensi solo al sequestro di due petroliere greche lo scorso maggio). Non va inoltre trascurato che anche la Turchia sta accrescendo la propria influenza sul Mali e che, a luglio, Ankara e Teheran hanno portato avanti un rasserenamento nei loro rapporti (pur a fronte di alcune divergenze, a partire dal dossier siriano).
Tutto questo pone una serie di questioni, di cui la Nato dovrebbe occuparsi. Il rafforzamento di Russia e Iran nel Sahel costituisce infatti una minaccia per il fianco meridionale dell’Alleanza atlantica: fianco che sarebbe quindi opportuno rilanciare e consolidare tempestivamente. Il punto è che l’attuale Casa Bianca non sembra pronta per un simile impegno. Innanzitutto Joe Biden è a un passo dal rilancio del controverso accordo sul nucleare con l’Iran: un’intesa pericolosa innanzitutto per Israele, ma che potrebbe determinare ripercussioni negative anche per l’intero Mediterraneo allargato. In secondo luogo, lo stesso Biden ha assunto negli ultimi mesi un atteggiamento eccessivamente arrendevole nei confronti di Recep Tayyip Erdogan: un leader che fa parte, sì, della Nato, ma che porta avanti al contempo una politica estera notevolmente ambigua e spregiudicata (specialmente nei suoi rapporti con il Cremlino). Infine, è pur vero che l’attuale amministrazione americana ha mostrato un certo interessamento per il continente africano. È tuttavia altrettanto vero che, almeno per ora, non si scorgono strategie complessive e organiche su questo fronte. Washington e Bruxelles continuano a perdere terreno nel Sahel. Mosca e Teheran, dal canto loro, brindano.
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Mali e Iran stanno rafforzando la cooperazione bilaterale: un fattore che consolida indirettamente l’influenza di Mosca sul Sahel. Martedì scorso, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, si è recato a Bamako, alla guida di una delegazione politica ed economica di alto rango, per incontrare l’omologo maliano, Abdoulaye Diop. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa turca Anadolu, Teheran è pronta a intervenire in vari settori economici del Paese africano: dalle infrastrutture alla lavorazione della carne, passando per il cotone e il comparto energetico. Fonti giornalistiche di Teheran hanno inoltre riferito che i due Paesi organizzeranno dei forum economici congiunti. “I governi dei due Paesi stanno facendo molti sforzi per facilitare il lavoro degli operatori economici”, ha dichiarato Abdollahian, per poi aggiungere: “Gli ostacoli esistenti verranno eliminati per accelerare le operazioni di cooperazione economica tra i due Paesi”. Ora, il consolidamento dei legami tra Teheran e Bamako è una notizia dai risvolti problematici. Ricordiamo che l’Iran è uno stretto alleato della Russia, con cui ha siglato a luglio un accordo da 40 miliardi di dollari nel settore dell’energia. Quella stessa Russia che, negli scorsi mesi, ha significativamente rafforzato la propria longa manus sul Mali, infliggendo ripetutamente duri colpi all’influenza francese su Bamako. Una longa manus – quella di Mosca – veicolata soprattutto attraverso i temibili mercenari del Wagner Group. La crescente forza del Cremlino nell’area è destinata ulteriormente a consolidarsi attraverso Teheran. E questo costituisce un problema significativo. Non va infatti trascurato che il Sahel è un crocevia fondamentale per i flussi migratori diretti verso l’Europa occidentale: flussi che Mosca potrebbe utilizzare come strumento di pressione politica sull’Ue (secondo un copione già messo in pratica da Vladimir Putin, in combutta con Minsk, lo scorso autunno ai danni dei confini polacchi). L’Iran, dal canto suo, potrebbe in un certo senso contribuire a questa strumentalizzazione, senza tra l’altro dimenticare che la Repubblica islamica è in grado di condurre attività minacciose in seno al Mediterraneo allargato (si pensi solo al sequestro di due petroliere greche lo scorso maggio). Non va inoltre trascurato che anche la Turchia sta accrescendo la propria influenza sul Mali e che, a luglio, Ankara e Teheran hanno portato avanti un rasserenamento nei loro rapporti (pur a fronte di alcune divergenze, a partire dal dossier siriano). Tutto questo pone una serie di questioni, di cui la Nato dovrebbe occuparsi. Il rafforzamento di Russia e Iran nel Sahel costituisce infatti una minaccia per il fianco meridionale dell’Alleanza atlantica: fianco che sarebbe quindi opportuno rilanciare e consolidare tempestivamente. Il punto è che l’attuale Casa Bianca non sembra pronta per un simile impegno. Innanzitutto Joe Biden è a un passo dal rilancio del controverso accordo sul nucleare con l’Iran: un’intesa pericolosa innanzitutto per Israele, ma che potrebbe determinare ripercussioni negative anche per l’intero Mediterraneo allargato. In secondo luogo, lo stesso Biden ha assunto negli ultimi mesi un atteggiamento eccessivamente arrendevole nei confronti di Recep Tayyip Erdogan: un leader che fa parte, sì, della Nato, ma che porta avanti al contempo una politica estera notevolmente ambigua e spregiudicata (specialmente nei suoi rapporti con il Cremlino). Infine, è pur vero che l’attuale amministrazione americana ha mostrato un certo interessamento per il continente africano. È tuttavia altrettanto vero che, almeno per ora, non si scorgono strategie complessive e organiche su questo fronte. Washington e Bruxelles continuano a perdere terreno nel Sahel. Mosca e Teheran, dal canto loro, brindano.
(Ansa)
L’attività, eseguita dal Commissariato Greco-Turro, è stata coordinata dalla Procura della Repubblica e dalla Procura per i Minorenni di Milano, tramite misure cautelari e fermi. Venerdì 21 novembre, i poliziotti hanno infatti sottoposto a fermo due 22enni. Nel corso della settimana, inoltre, gli agenti hanno eseguito un’altra ordinanza nei confronti di tre giovani di 15, 20 e 22 anni.
Il 22enne destinatario di quest’ultimo provvedimento è anche uno dei due indagati fermati il 21 novembre per la rapina avvenuta a Caiazzo una decina di giorni prima.
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Il mosaico romano scoperto dai bersaglieri dopo la battaglia di Ain Zara (Getty Images)
Il 4 dicembre 1911 i cannoni italiani tuonarono ad Ain Zara, un’oasi fortificata a circa 15 chilometri a sud di Tripoli, capitale conquistata dagli Italiani nell’ottobre precedente, all’esordio della guerra di Libia. La zona era ancora fortemente presidiata da truppe arabo-ottomane, che minacciavano costantemente la città in mano agli italiani.
All’alba del giorno stabilito per l’offensiva, il Regio Esercito iniziò la marcia diviso in tre colonne cui presero parte quattro Reggimenti di fanteria, uomini del 4°Reggimento artiglieria da montagna e del 1° Artiglieria da campagna supportati da reparti del Genio. Lo scontro fu duro, gli arabi (che eguagliavano quasi nel numero gli italiani) offrirono una strenua resistenza. Solo l’azione delle artiglierie fu in grado di risolvere la situazione e, dopo una battaglia corpo a corpo all’interno dell’oasi e 15 caduti tra gli italiani, poco dopo le 15 su Ain Zara sventolava il tricolore con lo stemma sabaudo. Fu per la campagna di Libia una vittoria importante perché da quel momento Tripoli non fu più minacciata e perché fu la prima azione concertata del Regio Esercito fuori dall’Europa.
Il 6 dicembre 1911 un avvenimento legato al combattimento di due giorni prima aggiunse importanza all’oasi appena conquistata. Nel pomeriggio i bersaglieri del 33°battaglione dell’11°Reggimento che stavano eseguendo lavori di trinceramento si accorsero di aver dissotterrato dalla sabbia un mosaico. Verso le 17 emerse dal terreno quello che appariva un raffinato manufatto perfettamente conservato, con disegni geometrici e motivi vegetali, di 6,75X5,80 metri. A prima vista, quella dei bersaglieri e dei loro ufficiali sottotenente Braida e più tardi maggiore Barbiani e colonnello Fara, appariva come il pavimento di una villa. Inizialmente attribuito all’età degli Antonini (92-192 d.C.). Più tardi, dopo l’analisi fatta dagli archeologi guidati dal professor Salvatore Aurigemma, si ipotizzò una collocazione cronologica più precisa e corrispondente all’età di Marco Aurelio. I bersaglieri, con la conquista dell’oasi di Ain Zara, avevano riportato alla luce un frammento dell’antica Oea, l’attuale Tripoli. Negli anni successivi, a poca distanza dal campo di battaglia del dicembre 1911 fu riportato alla luce quello che attualmente è l’unico monumento integro dell’antica città della Tripolitania romana: l’arco di Marco Aurelio, che fu trovato poco dopo la fine delle ostilità. Un altro pezzo del grande patrimonio archeologico della Libia romana, che i pezzi da 149/23 e quelli da 75/27 dell’artiglieria alpina contribuirono involontariamente a riportare alla luce.
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