2023-01-19
Magrini ora critica lo spoils system grazie al quale aveva scalato l’Aifa
Nicola Magrini (Imagoeconomica)
Per il capo uscente dell’Agenzia del farmaco la sua rimozione è una decisione politica. E invece la sua nomina cos’era? Dopo tanti flop (dai monoclonali gratuiti rifiutati alla farmacovigilanza mancata) è giusto cambiare.In sé, sarebbe una reazione normale: il governo l’ha cacciato con ignominia, senza aspettare nemmeno l’imminente scadenza del suo incarico, che sarebbe scattata per effetto della riforma dell’Aifa. E lui, Nicola Magrini, direttore generale uscente dell’Agenzia del farmaco, rosica. Ieri, l’uomo piazzato ai vertici dell’ente regolatore, nel 2020, dall’allora ministro Roberto Speranza, ha deciso di togliersi i sassolini dalle scarpe. Ma nell’intervista alla Stampa, le ha sparate troppo grosse per quello che è il classico repertorio di paturnie da burocrati trombati. Da parte dell’esecutivo, ha frignato Magrini, come un fidanzato mollato via Whatsapp, non c’è mai stata «la volontà di vedersi e parlarsi». Però trasudavano ipocrisia le sue osservazioni sullo spoils system applicato all’Aifa: «La maggior parte delle agenzie europee equiparabili», ha tuonato il prof, «non è soggetta» al balletto delle nomine politiche. «E sarei favorevole alla trasformazione dell’Aifa in un’authority, in modo che in futuro non debba subire questi stravolgimenti». Ma lui, Magrini, come ci era finito sulla poltrona che adesso dovrà abbandonare? Speranza lo aveva selezionato soltanto per la luminosa carriera? E il cursus honorum, sotto quale egida l’aveva maturato, il farmacologo congedato da Orazio Schillaci? Egli, bolognese, è stato responsabile dell’area valutazione del farmaco dell’Agenzia sanitaria e sociale della rossa Emilia Romagna. Era un fedelissimo di Giovanni Bissoni, originario di Cesena, già nel cda di Aifa e Agenas, oltre che, nel 1995, assessore alla Salute nella giunta guidata da Pier Luigi Bersani. Cioè, il fondatore di Articolo Uno. Cioè, il partito di Speranza, della cui segreteria tecnica al dicastero Bissoni è stato capo. Dev’essere stato tutto un caso, dunque: la politica e lo spoils system non c’entrano niente con le fortune di Magrini. Se una cosa non manca al tecnico di area progressista, quella è la faccia tosta. Al governo non sarà piaciuta «la sua gestione durante l’emergenza Covid?», ipotizzava La Stampa. «Non ne vedrei il motivo», ha sfringuellato lui: «Tutte le nostre azioni sono state ispirate da un assoluto rigore scientifico e mirate a tutelare la salute pubblica». Compresa la scelta di snobbare una fornitura gratuita di monoclonali, offerti da Eli Lilly, a ottobre 2020, per una sperimentazione clinica e poi riacquistati per 400 milioni? Che fulgido esempio di «rigore scientifico», che coraggioso intervento volto a «tutelare la salute pubblica». Come la fastosa presentazione del fantomatico vaccino italiano di Reithera: a gennaio 2021, Magrini, tanto per essere scientificamente rigoroso, lo lanciò manco fosse bell’e pronto, benché fosse ancora alla fase 1 dei test. Dopodiché, di quel preparato, si sarebbero perse le tracce. Il dg dell’Aifa silurato deve aver pensato alla tutela della salute pubblica quando dormiva e indugiava, anziché affrettarsi ad autorizzare l’uso di anakinra, medicinale efficace sui pazienti affetti da polmonite ingravescente. Insomma, che fretta c’era? Mica era un vaccino a mRna…Almeno un miracolo, il licenziamento l’ha compiuto. Il tecnico che era in posizione apicale all’Aifa, la quale, sugli antidoti per il Covid, ha rapidamente e pedissequamente applicato i vari pareri dell’Ema, a sua volta emula dell’americana Fda, teme che la riforma dell’ente sia spinta dall’obiettivo di «far approvare più rapidamente i farmaci, uno alla volta, senza una visione complessiva di sanità pubblica». Così, l’Aifa diventerebbe «meno capace di resistere alle pressioni di mercato in modo indipendente». Non a caso, le innovazioni dell’esecutivo hanno avuto il peloso «placet dell’industria». Prodigioso: con Giorgia Meloni, Magrini è diventato cane da guardia, dotato di istinto ferino nei confronti di Big pharma. E poi, perché il burocrate di Speranza si è accorto solo ora che all’Aifa occorre più personale, se una manciata di precari è rimasta sulle spine per tutto il 2022, finché il Milleproroghe ha prolungato la possibilità di proseguire le collaborazioni nel 2023? Magrini era forse sceso in piazza insieme ai lavoratori in bilico? E come mai il dg annuncia, adesso, che sarebbe stato pronto ad «avviare una riorganizzazione per assolvere meglio alcuni nostri compiti e riuscire a svolgerne di nuovi»? Non poteva avviarla prima? Cos’ha fatto, per quasi tre anni, nella sede romana di via del Tritone? Di sicuro, non una buona farmacovigilanza sui vaccini per il coronavirus: i report Aifa sono stati sovente tardivi; gli effetti avversi sono stati sottostimati rispetto alle indagini analoghe, svolte altrove nel Vecchio continente e Oltreoceano; il meccanismo di raccolta dei dati era passivo, fondato sulla buona volontà dei medici, tenuti a segnalare i disturbi dei pazienti inoculati. Con simili risultati alle spalle, che motivo c’era di cacciare Magrini? Potevamo tenercelo altri dieci anni... Intanto, gli altri pasticcioni del Covid restano asserragliati nei rispettivi organismi ministeriali. Cosa fa il governo? Ce li vuole lasciare?
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)
La sede di Bankitalia. Nel riquadro, Claudio Borghi (Imagoeconomica)