2018-04-19
La Francia ora paghi per le vittime degli stupri compiuti dai magrebini
A partire dal 1943 le truppe africane in Italia al seguito degli alleati violentarono circa 60.000 donne, uomini e bambini. Un libro svela l'orrore delle «marocchinate». E un'associazione fa ricorso all'Aia contro Parigi. «Venivano a gruppi sui muli ed erano neri. Prendevano e mangiavano quel che capitava, anche le femmine, certo, erano maschi! Ma erano selvaggi, le donne le martoriavano. Siccome venivano a truppa, se in una masseria c'erano due, tre femmine, se le facevano tutte». Lo ha raccontato, alla scrittrice Marinella Fiume, un anziano abitante di Capizzi, piccolo paesino siciliano. Questo signore è nato nel 1935 e quando gli alleati sbarcarono sull'isola, nel luglio del 1943, era appena un bambino. Ma ricorda bene quel che fecero gli 832 magrebini del reparto che marciava assieme agli americani approdati a Licata. Ricorda bene come aggredivano le donne e le violentavano. Gli stupratori seriali erano uomini del Cef, il Corp expeditionnaire français guidato dal generale Alphonse Juin, nato in Algeria. Erano stati a lungo al comando della Repubblica di Vichy, ma non esitarono a passare sotto l'egida di Charles De Gaulle. Del resto, a costoro la politica interessava poco: erano guerrieri, amavano combattere e predare. Il corpo, ha ricostruito il giornalista Andrea Cionci, era «costituito per il 60% da marocchini, algerini e senegalesi e per il restante da francesi europei. [...] Vi erano però dei reparti esclusivamente marocchini di goumiers i cui soldati provenivano dalle montagne del Riff ed erano raggruppati in reparti detti tabor in cui sussistevano vincoli tribali o di parentela diretta». In totale erano 7.833, armati con mitra e mitragliatrici, ma pure con i tradizionali pugnali ricurvi marocchini chiamati koumia, particolarmente utili per mozzare le orecchie ai nemici e farne collane.La loro sanguinaria calata nella Penisola è stata a lungo dimenticata, abbandonata nelle mani di pochi coraggiosi storici locali: troppo scorretto raccontare le violenze inaudite dei liberatori, troppo fastidioso ricordare come i combattenti africani (e musulmani) trattarono le donne italiane. Ora, però, un bel libro di una giornalista francese riporta finalmente l'atroce vicenda delle «marocchinate» all'attenzione del pubblico internazionale. Eliane Patriarca, storica firma di Libération di origini italiane, ha compiuto approfondite ricerche nel nostro Paese e ha scritto La colpa dei vincitori. Viaggio nei crimini dell'esercito di liberazione, appena pubblicato da Piemme. Non tralascia alcuna verità, la Patriarca, non si ferma davanti ai particolari più scabrosi. E non ha timore di parlare dei macellai al soldo dei francesi. Erano, spiega, «guerrieri berberi dell'Atlante, “rozzi montanari" secondo la Revue historique de l'armée. I francesi hanno cominciato a reclutarli a partire dal 1908 e inizialmente li hanno utilizzati nelle unità di polizia coloniale per la “pacificazione" del Marocco. I goums formano una fanteria di montagna di dodicimila uomini inquadrata nel 1942 nel Cef con uno statuto particolare. Ricevono una paga e le armi ma si nutrono e si vestono a proprie spese. In mezzo ai battle-dress e ai giubbotti kaki dei soldati alleati, i goumiers spiccano, atipici e pittoreschi: indossano una djellaba di lana scura a righe bianche con cappuccio, calzano sandali e gambali di lana bianca e marrone, sul corpo portano la rezza, una cuffia di lana scura, le trecce o il turbante, e sfoggiano anelli alle narici e alle orecchie».Privi di addestramento militare, senza disciplina. L'esercito francese apprezza particolarmente alcune delle loro doti, specie il fatto che riconoscano «un solo diritto, quello del più forte» e «tollera che si abbandonino, sotto il suo comando, per esempio durante la guerra del Rif o in Tunisia, alla razzia, alla presa di ostaggi, al saccheggio, ai soprusi nei confronti dei nemici». I goumier vanno in guerra «salmodiando la shahadah», la professione di fede islamica: «Non c'è altro Dio all'infuori di Dio e Maometto è il suo profeta». Avanzano, distruggono, stuprano e seviziano. Dopo tutto, è così che i musulmani si sono imposti in molti dei territori da loro conquistati nel corso dei secoli. Gli stupri sono cominciati proprio in Sicilia, nel '43. A Capizzi, tuttavia, la popolazione non è rimasta a guardare. Per vendicarsi, gli abitanti del paesino siculo non hanno esitato ad ammazzare i marocchini. Li colpivano quando si allontanavano dal gruppo, li massacravano di botte e talvolta li eviravano, perché fosse chiaro che che i capitini non si fanno sottomettere. Ma i magrebini uccisi furono pochissimi, e le violenze sterminate. Finito il lavoro in Sicilia, mano a mano che gli alleati avanzavano verso nord, anche i goumiers si spostavano, e ovunque agivano allo stesso modo, raccontato pure dallo scrittore Norman Lewis nel celebre Napoli '44: «Ogni volta che prendono una città o un paese, ne segue lo stupro indiscriminato della popolazione». Donne, bambine e bambini, talvolta anche uomini. Non tutti gli italiani, però, hanno avuto l'occasione e la forza di reagire come gli abitanti di Capizzi. Alcuni, semplicemente, sono rimasti schiacciati dal dolore. Lo scempio continuò a lungo in vari Comuni del Lazio, e in altre zone dell'Italia centrale, fino in Toscana. Le province di Frosinone e Latina furono tra le più colpite. È da quei fatti che Alberto Moravia trasse La ciociara, poi divenuto un film immortale grazie a Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, e a Sophia Loren che nel 1960 vinse l'Oscar per la miglior attrice protagonista. Nel libro di Moravia, ricostruisce Eliane Patriarca, «lo stupro di Cesira e di sua figlia, la giovane e innocente Rosetta, si svolge in una chiesa, “sotto gli occhi della Madonna". Lo scrittore si sarebbe ispirato a fatti avvenuti a Pastena, un borgo molto vicino alle montagne dove si era rifugiato. Sette donne del paese erano scese dai loro casolari per andare a pregare nella chiesa di Santa Maria delle Macchie. Fu lì che vennero sorprese da un gruppo di goumiers e stuprate per ore». Secondo Emiliano Ciotti, che nel 2010 ha fondato l'Associazione nazionale vittime delle marocchinate, le violenze sessuali compiute dai goumiers sono state circa 180.000. «Le stime ufficiali parlano di 20.000 vittime», spiega. «Ma i numerosi documenti dei medici militari che abbiamo recuperato dicono che solo un terzo della popolazione denunciò gli stupri. Dunque parliamo di circa 60.000 persone, donne, uomini e bambini. I goumiers, poi, non violentavano mai da soli, ma sempre in gruppi composti da almeno tre persone. Dunque ogni vittima ha subito almeno tre stupri». Alcune testimonianze raccapriccianti parlano di ragazzine di 14 anni stuprate da bande di 200 guerrieri magrebini. «La Francia non ha mai riconosciuto ufficialmente le violenze del Cef», scrive Eliane Patriarca. «Nessuno si è mai assunto la responsabilità di quegli stupri di massa commessi all'interno dell'esercito francese, nonostante qualche indennizzo versato nell'immediato dopoguerra». Nel 1946, le autorità francesi istituirono una commissione che avrebbe dovuto occuparsi dei risarcimenti delle donne italiane. L'indennizzo massimo era di 150.000 lire: più giovane era la vittima, più il risarcimento era alto. Ma in pochissime lo ottennero. Troppo complicate le procedure, specie per contadine spesso analfabete. Troppa la vergogna di denunciare e sottoporsi a esami per donne che, in alcuni casi, erano state emarginate, o si erano ritrovate a partorire i figli degli stupratori. Poi, nel 1947, alla firma del trattato di pace, l'Italia fu ritenuta corresponsabile del conflitto, e perse ogni diritto a reclami e risarcimenti. Di quelle donne vessate e abusate si occupò Maria Maddalena Rossi, parlamentare del Pci che, a partire dal 1952, si prodigò perché alle vittime di violenza fosse concessa un po' di attenzione. Riuscì a censire 60.000 casi di furto, violenza, omicidio e saccheggio. Raccolse circa 12.000 testimonianze di donne «stuprate e infettate» dai magrebini. Ma la sua lotta non andò a buon fine: le vittime avrebbero dovuto accontentarsi dei miseri indennizzi distribuiti negli anni precedenti. Ovviamente, le femministe incendiare di oggi si guardano bene dal ricordare la Rossi o dal riprendere la sua battaglia. Ora l'Associazione nazionale vittime delle marocchinate intende costringere la Francia a prendersi le proprie responsabilità. L'avvocato Luciano Randazzo ha deciso di rivolgersi alle Procure di Latina e Frosinone, poi al tribunale militare di Roma. L'obiettivo è quello di percorrere ogni via giudiziaria possibile, fino ad arrivare al tribunale internazionale dell'Aia, con un ricorso «per violazione di norme internazionali e delle convenzioni de l'Aia e di Ginevra» contro lo Stato francese. Chissà se Emmanuel Macron - così «sensibile» alle violazioni dei diritti umani in Siria - troverà qualche minuto per leggere il libro di Eliane Patriarca e per occuparsi della questione.