2018-04-01
Vassalli della Francia: Macron ci invade con i suoi gendarmi
Bardonecchia è un caso diplomatico. La polizia transalpina irrompe in un centro di accoglienza e preleva campioni di urina da un nigeriano. La Farnesina convoca l'ambasciatore e chiede spiegazioni, ma da Parigi replicano: «Regole rispettate».Lasciamo che l'Ue ci tratti da campo profughi: gli «alleati» agiscono di conseguenza.Lo speciale contiene due articoli L'incapacità di controllare e difendere i confini, la pessima gestione dell'invasione migratoria, la sudditanza nei confronti degli ingombranti vicini europei: nella vicenda grottesca di Bardonecchia si concentrano tutte le storture dell'Italia così come l'hanno lasciata i governi a trazione progressista. Tutto, in questa storia, gronda squallore: le meraviglie dell'Europa unita finiscono nel cesso di un centro per migranti, con i gendarmi francesi che costringono un uomo a sottoporsi al test dell'urina. Un'immagine più triste sarebbe difficile persino immaginarla. E si possono chiamare in causa tutti i trattati fra nazioni del mondo, ma la questione centrale resta l'atteggiamento del Paese attualmente guidato da Emmanuel Macron. Ovvero l'uomo che, nel luglio 2017, dichiarava: «La Francia non ha sempre fatto la sua parte per quanto riguarda i rifugiati, stiamo accelerando i processi e lo faremo». Peccato che poi abbia fatto l'esatto contrario. La Francia, ormai da parecchio tempo, ha deciso di blindare le proprie frontiere, ma solo in un senso, a quanto pare. Gli amichevoli cugini - così gonfi d'entusiasmo europeista - hanno sempre respinto tutti gli immigrati che tentavano di oltrepassare il confine. Prima lo hanno fatto a Ventimiglia, trasformando la città ligure in una specie di area di sosta per clandestini con ampio corredo di militanti antagonisti (i cosiddetti no borders): un bel guazzabuglio di cui è stata l'Italia a doversi far carico. Adesso la storia si ripete a Bardonecchia, dove - una settimana - è stata respinta una nigeriana di 31 anni, incinta e affetta da un linfoma - che è morta poco dopo il parto cesareo (effettuato all'ospedale Sant'Anna di Torino). Poi, però, i doganieri d'Oltralpe si sentono in diritto di trascinare un uomo, nigeriano anche lui, nel bagno di un centro migranti perché sospettano che sia uno spacciatore. In pratica, ci usano come lo scarico di casa. Di questo comportamento, la Francia deve rendere conto, senza il minimo dubbio. Tutto questo bailamme, però, deve far riflettere parecchio anche noi italiani. Anche il nostro Paese ha delle responsabilità. O, meglio, le hanno i politici che l'hanno guidato finora. Se attorno alla frontiera c'è caos, è perché ci siamo fatti carico di un numero abnorme di migranti, e abbiamo consentito agli altri Stati europei - Francia e Germania in primis - di trasformarci nel loro campo profughi. In sede comunitaria abbiamo sempre chinato la testa, accettando ogni imposizione. Anzi, talvolta ci siamo volontariamente prestati all'invasione. Mentre gli altri facevano di tutto per chiudersi, noi spalancavamo le frontiere. Macron, invece, le frontiere le apre solo per far entrare qui i suoi agenti, e l'insulto appare ancora più grave nel quadro avvilente della crisi migratoria. Non siamo gli scendiletto dei francesi, e se qualcuno ha comunicato a Parigi questo messaggio, è ora di far sapere che la musica deve cambiare. Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-frontiere-migranti-bardonecchia-2555091019.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bardonecchia-e-un-caso-diplomatico" data-post-id="2555091019" data-published-at="1762533080" data-use-pagination="False"> Bardonecchia è un caso diplomatico Di solito individuano qualcuno ad alta quota e avvisano le autorità italiane. Ogni tanto capita che intercettino migranti e passeur proprio al confine. L'altra sera, invece, armi in pugno, hanno sconfinato. Con arroganza sono entrati nel comune più occidentale d'Italia, Bardonecchia, nella Val di Susa, e hanno portato il loro uomo, un sospetto corriere della droga, fino nella sede assegnata dal Comune alla Ong Rainbow 4 Africa, per costringerlo a sottoporsi all'esame delle urine. Di stupefacenti alla fine non c'era traccia. E ora la questione dei cinque gendarmi francesi che hanno invaso il territorio italiano è diventata un caso diplomatico e politico. L'operazione di polizia di frontiera, spregiudicata, ha messo in luce tutti i limiti delle politiche italiane sull'immigrazione. Dalla Farnesina è partita una richiesta di spiegazioni. E una convocazione dell'ambasciatore francese a Roma. Ma da Parigi hanno risposto con un secondo schiaffo: «Al fine di evitare qualsiasi incidente in futuro, le autorità francesi sono a disposizione di quelle italiane per chiarire il quadro giuridico e operativo nel quale i doganieri francesi possono intervenire sul territorio italiano in virtù di un accordo (sugli uffici di controlli transfrontalieri) del 1990 in condizioni di rispetto della legge e delle persone». Parole pesanti, contenute in una nota ufficiale firmata dal ministro dei conti pubblici francesce Gérald Darmanin, al quale fanno capo i doganieri sconfinatori. La risposta, a muso duro, è arrivata dal leader della Lega Matteo Salvini: «Altro che espellere i diplomatici russi, qui bisogna allontanare i diplomatici francesi». Gli animi sono roventi. Alimentati dall'esasperazione per i continui tentativi dei migranti di passare le Alpi. Stando ai dati del Soccorso alpino, ci provano in media 30 migranti al giorno, 900 in un mese. C'è chi si avventura lungo i binari della ferrovia, che a tratti, però, sono troppo stretti. Più di qualcuno ci ha rimesso le penne. Gli attivisti di Rainbow 4 Africa lo sanno bene. Sono loro che assistono chi tenta di varcare la frontiera. E, per questo motivo, dalla gendarmeria francese sono visti un po' come dei supporter dei migranti. La notizia di una guida alpina francese indagata per avere aiutato una migrante in attesa dà l'idea del contesto in cui ci si muove. Qualche settimana fa, invece, i ragazzi di Rainbow 4 Africa, hanno prestato soccorso a una donna incinta e malata che era stata respinta al confine. È morta dopo il parto all'ospedale Sant'Anna di Torino. E siccome il contesto è questo, hanno temuto il peggio quando hanno visto entrare nella loro sede gli agenti della brigata ferroviaria di Modane armati e in uniforme. I gendarmi avevano individuato il giovane nigeriano residente in Italia a bordo di un treno alta velocità Tgv Parigi-Milano. Di solito scaricano i migranti davanti alla stazione ma questa volta sono stati duri: secondo il racconto dei presenti hanno intimidito un medico, i mediatori culturali e i volontari dell'Asgi, l'associazione per gli Studi giuridici sull'immigrazione. E fino all'intervento degli agenti del commissariato nella sede di Rainbow 4 Africa sembravano loro le autorità. È stata una «grave ingerenza nell'operato delle Ong e delle istituzioni italiane», rivendicano da Rainbow 4 Africa. E ricordano: «Un presidio sanitario è un luogo neutro, rispettato anche nei luoghi di guerra». Il sindaco di Bardonecchia, Francesco Avato, è andato su tutte le furie: «Non avevano alcun diritto di introdursi lì dentro. Non si permettano mai più». Il primo cittadino ha spiegato anche che in quel luogo si incontrano i migranti per spiegare loro i rischi del viaggio che hanno deciso di intraprendere e si cerca di convincerli a rimanere in Italia, dove possono trovare accoglienza. E anche se ai gendarmi francesi i metodi di accoglienza italiani non piacciono, sono meccanismi che conoscono bene. L'ambasciatore Christian Masset è a Roma da oltre un anno ormai. E anche se il sito web istituzionale dell'ambasciata ieri sembrava essere in stand by, fonti vicine a palazzo Farnese, sede della massima rappresentanza diplomatica francese in Italia, riferiscono di diverse comunicazioni scambiate con Emmanuel Macron sul caso Bardonecchia. La versione che è arrivata a Parigi e che poi è stata riversata nel comunicato di Darmanin è questa: in base al codice doganale, gli agenti hanno chiesto al nigeriano se acconsentisse a un test delle urine per individuare la presenza di eventuali stupefacenti. L'uomo ha accettato per iscritto. E per realizzare questi controlli in condizioni di rispetto della persona, gli agenti hanno atteso che il treno arrivasse a Bardonecchia per poter utilizzare il locale della stazione. Una versione che, però, configge in modo netto con quella fornita dalla Ong: «Il comportamento adottato nei confronti dell'ospite nigeriano», sostengono da Rainbow 4 Africa, «appare irrispettoso dei diritti umani». «È stato un atto arrogante e intimidatorio. Un atto che conferma un clima di grande ostilità per chi pratica accoglienza e per chi aiuta coloro che sono in difficoltà», afferma Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty international. Ha alzato la voce anche Paolo Narcisi, presidente dell'organizzazione non governativa: «Azione intollerabile nei confronti di persone venute per richiedere protezione». Resta da capire perché il nigeriano era in viaggio sul treno francese. «Ennesimo errore sulla questione migranti», tuona Enrico Letta. Uno dei tanti. La prova che la politica italiana sull'immigrazione è tutta da rivedere. Fabio Amendolara
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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