2019-06-17
Ma quale sfilata per chiedere diritti. I gay pride sono marce di partito
Il programma della manifestazione di Milano del 29 giugno parla di fascismo e migranti e l'organizzatore se la prende con il governo. Gli attivisti Lgbt ormai si sono trasformati in un gruppo politico, finanziato da noi.Quasi ogni anno, alla vigilia dei vari gay pride che si celebrano sul suolo italiano, alcuni illuminati esponenti della comunità omosessuale se ne escono dicendo: forse ci vorrebbe un po' di moderazione, magari sarebbe ora di abbandonare lustrini e tanga onde organizzare manifestazioni più misurate e di buon gusto. Puntualmente, costoro vengono ignorati o coperti d'insulti. Risultato: si evita di riflettere su che cosa siano effettivamente, oggi, i gay pride. Nella percezione comune si tratta di sfilate di orgoglio omosessuale. La minoranza discriminata scende in piazza per dire: «Io esisto» e per rivendicarlo con forza, colore, provocazione, eccetera. Il fatto è che, da qualche tempo, i gay non sono più una minoranza discriminata, né nel nostro Paese né nella quasi totalità dell'Occidente. Anzi, la minoranza Lgbt è per lo più sovrarappresentata sui media, nelle serie tv, nei programmi televisivi, al cinema. Per vedere un gay pride, difatti, basta accendere la televisione, collegarsi a Netflix o andare in una multisala. Ma allora che bisogno c'è, ancora adesso, di organizzare parate circensi e in gran parte caricaturali? I militanti vi risponderanno probabilmente che i pride servono a «difendere i diritti». Ma la realtà ci dice una cosa diversa. Visto che i diritti fondamentali sono ormai garantiti, i pride sono diventati manifestazioni totalmente politiche. Sono marce di partito, né più né meno. Non servono a tutelare i diritti della popolazione arcobaleno, ma a portare avanti precise istanze elaborate dalle associazioni Lgbt. E c'è una grande differenza tra «rispettare gli omosessuali» e «piegarsi a tutte le richieste dei militanti gay». Non ci credete? Allora date uno sguardo al «manifesto politico» del pride di Milano, che si terrà il prossimo 29 giugno. I militanti, per dire, scrivono: «Ci opponiamo a ogni forma di violenza e discriminazione sessista, razzista, contro le persone disabili, xenofoba, classista e fascista». E ancora: «Denunciamo ogni tipo di sfruttamento ambientale, tutte le disparità sociali che ne derivano e la strumentalizzazione della lotta ambientalista e antispecista. Denunciamo le politiche scellerate messe in atto da questo governo volte a stigmatizzare un dramma umanitario, quale quello dei rifugiati, criminalizzando la condizione migrante e a riproponendo valori neofascisti, “bianchisti" e sovranisti. Condanniamo l'orrore della legge Bossi-Fini che traduce il concetto di clandestinità in illegalità, impedendo la tutela dei diritti delle persone migranti». Diteci: che diamine c'entrano l'immigrazione, il «fascismo» e il razzismo con il gay pride? Un tubo. Metterli insieme ha senso soltanto se si assume la prospettiva di studiosi come Judith Butler, una secondo cui - per andare con l'accetta - tutte le minoranze (vere o presunte) dovrebbero unirsi per abbattere «il sistema». Ma questa è, appunto, una prospettiva tutta politica. Diritti e discriminazioni non c'entrano. Ma vediamo di essere ancora più specifici. Prendiamo le dichiarazioni rilasciate a Gay.it da Francesco Pintus, coordinatore del pride milanese. Egli stigmatizza «il clima politico in cui ci ritroviamo in questo momento: un clima di violenza e discriminazione che alimenta la paura verso le differenze e le diversità, promulgando odio e ingiustizia». Poi parla di Milano come di un «esempio positivo di resistenza civile a questo momento politico denso di odio e discriminazione». In buona sostanza, Pintus ce l'ha con il governo. Ripete le stesse cose che sentiamo dire dal Pd e da numerosi esponenti della sinistra italiana. Viene da pensare, quindi, che se un omosessuale vota Matteo Salvini o i 5 stelle non sia ospite gradito al pride. Se ha votato questo governo, anche il gay è complice dei seminatori di odio, dei nemici dei migranti, dei fascisti e dei razzisti. Ergo: le sfilate di orgoglio non riguardano tutti gli omosessuali, ma rappresentano soltanto quelli che si riconoscono in una posizione politica precisa (progressista e di sinistra). Ed eccoci al punto. Se i pride sono manifestazioni politiche che servono a criticare il governo (e quest'anno è così sostanzialmente in ogni città), per quale motivo devono essere trattati come eventi umanitari? Il giochino è un po' scorretto. Con la scusa di difendere la minoranza discriminata, si portano avanti campagne che hanno un orientamento molto preciso. Lo si fa con i fondi pubblici, in molti casi, con il sostegno di Comuni e Regioni, con i fondi europei e via dicendo. A voi risulta che le manifestazioni di partito ottengano tutto questo sostegno? Gli attivisti Lgbt, nei fatti, hanno creato un partito di sinistra alternativo, un partito trasversale che però non si dichiara. Che continua a utilizzare i «diritti» e le «libertà» come paravento dietro cui nascondere altri interessi e altri scopi. Facciano coming out una buona, si mostrino nella loro vera essenza. Sono di parte, esponenti di una ideologia escludente e aggressiva. Sono politici, ed è giusto che cominciamo a trattarli come tali.
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