
Secondo la Costituzione, li deve proporre il premier. In pratica, l'anomala prassi prevede che il presidente della Repubblica scelga uomini fidati in caso di governi poco graditi. Con buona pace del ruolo del Parlamento, tanto invocato in questi giorni.La Giustizia? Ai 5 stelle. La Cultura? Al Pd. E l'Economia? Al Colle. Nei retroscena di Palazzo, ormai, la spartizione viene data per scontata come il tre per due all'Esselunga. Nelle intense trattative a porte chiuse, dove c'è sempre al centro il programma (eccome no), si litiga fino all'ultimo sulla poltrona di ministro della Salute (va ai 5 stelle o al Pd?) e su quella della Pubblica istruzione (va al Pd o ai 5 stelle?), ma quando si arriva agli Esteri si sa che la casella è bloccata: lì la scelta tocca al Colle. Il ventriloquo presidenziale, il corrierista di lungo corso Marzio Breda, l'ha già scritto papale papale, anzi Quirinale Quirinale: sui «dicasteri critici» il presidente della Repubblica «è pronto a offrire pareri preventivi». Che, tradotto dal felpato linguaggio di corte, significa che vuol decidere lui. E nessuno pensi di scavalcarlo. Del resto lo si era capito già nella formazione del precedente governo, quando la seggiola dell'Economia di Paolo Savona fu fatta brillare all'ombra dei corazzieri e al suo posto venne chiamato il più rassicurante (per i Palazzi europei) Giovanni Tria. Anche agli Esteri, sempre per le medesime ragioni, diciamo così, di dipendenza internazionale, fu scelto un uomo di garanzia (garanzia dei Palazzi europei, ovviamente), con il bollo preventivo del Quirinale: infatti toccò a Enzo Moavero Milanesi, che avrebbe dovuto portare nel mondo l'odore forte delle rivoluzione populista-sovranista e invece ha lasciato dietro di sé soltanto una lunga scia di borotalco. L'unica cosa davvero incisiva della sua azione di governo. Si era sempre detto che nel primo esecutivo Conte c'era il partito di Sergio Mattarella, formato, oltre che dal medesimo Conte, per l'appunto da Tria e da Moavero. E il partito, mese dopo mese, ha accresciuto i propri consensi. Non fra i cittadini, si capisce, tanto si sa che quelli in Italia non contano più. Ma di sicuro tra i Palazzi. E così, appena partite le nuove consultazioni, il Pdq, Partito del Quirinale, ha immediatamente rivendicato più spazio: sulla base degli accresciuti consensi (nei Palazzi) non si accontenta più dei due ministeri che aveva, seppur così rilevanti, come Economia ed Esteri. Ne vuole quattro. E cioè: Economia, Esteri, Difesa e Interni. I quattro ministeri più importanti. Più la presidenza del Consiglio. E la cosa straordinaria è che ormai questo Paese è così impazzito che tutto ciò sembra ovvio. A tutti. Lo si scrive e lo si dice come se fosse una cosa normale. Persino costituzionale. Pensateci. Sono giorni e giorni che ci sentiamo dare lezioni sulla democrazia parlamentare. E sul ruolo delle Camere. E sulla rappresentanza come valore. Benissimo. Qualcuno di questi professori di Repubblica parlamentare sa dirmi dove lo trovo rappresentato in Parlamento il Pdq? Quali voti ha preso? Quanti seggi ha alla Camera o al Senato? In base a quale principio della democrazia parlamentare può permettersi di rivendicare (letteralmente: scegliere in via preventiva) i quattro ministeri più importanti del governo? Forse è cambiata la Costituzione a nostra insaputa. Benissimo. Lo si dica. Sergio Mattarella scenda dal Colle e si presenti ai colloqui con Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, si butti nella bagarre, partecipi alla trattativa. Magari, chi lo sa, oltre a Economia, Esteri, Difesa e Interno, gli danno anche il sottosegretario ai Beni culturali o il viceministro delle Politiche agricole. Caso mai non gli bastasse il resto… Di Maio avrà tutti i difetti di questo mondo, ma alla fine non ha mica torto quando rivendica a sé un ruolo da vicepremier. Altrimenti il partito politico che ha avuto più voti alle ultime elezioni e che ha più seggi in Parlamento (lo diciamo sempre per i docenti di democrazia parlamentare che hanno occupato i talk show nelle ultime settimane), che fa? Si prende le briciole e sostiene il governo dei tecnici scelti dal Pdq? Salvatore Rossi o Daniele Franco all'Economia? Franco Gabrielli o Alessandro Pansa agli Interni? Il ritorno di borotalco Moavero agli Esteri? E la presidenza del più mattarelliano di tutti (oltre che merkeliano e macroniano), cioè Giuseppe Conte? Tutte persone degnissime, si capisce. Ma scelte da chi non ha mai preso voti nel Paese. Ora si capisce che i 5 stelle, così come il Pd, hanno poco margine di manovra. Sono con le spalle al muro. L'intero sistema di potere li sta mettendo sotto pressione: questo governo s'ha da fare. E loro, del resto, hanno una paura fottuta di andare alle urne. Quindi sono pronti a ingoiare tutto: se Mattarella gli chiedesse Mario Balotelli alle Politiche culturali e Barbablù alle Pari opportunità, dovrebbero chinare il capo e dire di sì. Però, ecco, non vorremmo che nel far passare un governo della vergogna, facessero anche passare, sempre sulla testa degli italiani, una riforma costituzionale a loro insaputa. Il Quirinale deve nominare i ministri (tutti i ministri) su proposta del presidente del Consiglio. Ma non c'è scritto da nessuna parte che ha diritto ad averne una quota. Non c'è scritto da nessuna parte che deve partecipare alla spartizione. Non c'è scritto da nessuna parte, soprattutto, che gli spettano i quattro ministeri più importanti più il premier, sommando di fatto un potere assoluto senza alcun contrappeso. È ancora permesso dirlo? Oppure a forza di salvare la democrazia, ci siamo ridotti ad accettare supinamente la monarchia?
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





