Il regolatore di Bruxelles non dorme mai. Poche ore dopo la finta retromarcia sul divieto di nuovi motori a scoppio al 2035, la Commissione europea ha annunciato ieri una revisione del suo Carbon border adjustment mechanism (Cbam), il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, il primo dazio sul carbonio al mondo.
L’obiettivo dichiarato è «rafforzare l’efficacia» della politica climatica, che già tante soddisfazioni ha dato a tutta l’Europa, ma la realtà è che il tutto si traduca in un aumento di burocrazia e costi.
Il Cbam, ora in fase preparatoria e destinato a imporre costi effettivi da gennaio 2026, era focalizzato sui materiali di base come acciaio, alluminio, cemento e fertilizzanti. La grande novità di ieri è l’estensione dell’ambito di applicazione a 180 prodotti a valle, ovvero beni finiti che utilizzano tali materiali in modo intensivo (soprattutto acciaio e alluminio). Tra questi non vi sono solo macchinari pesanti e componenti industriali (il 94% dei beni interessati), ma anche una piccola e significativa quota di elettrodomestici e beni per la casa. Significa che frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie importati, se non realizzati secondo i rigidi standard green dell’Ue, saranno soggetti a questa nuova maxi-tassa.
«La revisione del Cbam rispecchia in gran parte le nostre indicazioni, sia per quanto riguarda la tutela dei prodotti a valle, come elettrodomestici e macchinari, che per la lotta ai fenomeni di aggiramento e di elusione», ha detto, soddisfatto, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.
Nel paradosso dell’impianto normativo che va sotto il nome di Cbam, l’intenzione di questo allargamento è di evitare che beni dell’Ue siano sostituiti da importazioni ad alta emissione di carbonio, svantaggiando doppiamente le povere aziende europee. Ma il risultato è un costo in più, tanto che ieri, magicamente, è comparso un fondo temporaneo di decarbonizzazione.
I produttori dell’Ue, infatti, devono pagare per le loro emissioni (tramite Ets), e quando esportano i loro beni in Paesi terzi quei costi di carbonio non vengono rimborsati. Il risultato è che i prodotti europei sono più costosi e rischiano di essere sostituiti da alternative più economiche e ad alta intensità di emissioni prodotte altrove.
La Commissione ha dunque istituito un fondo, finanziato per il 25% con i proventi della tassa Cbam (ovvero i soldi pagati dagli importatori e dai consumatori). Questo fondo temporaneo (attivo per il 2026 e il 2027) rimborserà una parte dei costi Ets sostenuti dai produttori europei, ma solo a condizione che dimostrino «sforzi di decarbonizzazione», qualunque cosa significhi. Insomma, il sistema Ets e il Cbam distruggono la competitività delle aziende europee sui mercati internazionali.
In pratica, Bruxelles prima impone una tassa (Ets), poi impone un dazio (Cbam) e infine utilizza i proventi del dazio per rimborsare parzialmente la prima tassa, ma solo se le aziende si allineano agli obiettivi ideologici del Green deal.
È un complesso sistema di riciclo burocratico del denaro che rende esplicita la insostenibilità economica di questa lotta senza quartiere alla CO2.
Intanto la Commissione ha rilasciato i Provisional CBAM benchmarks e default factors, con i quali si può calcolare il costo totale del Cbam per gli importatori di ferro, acciaio, alluminio, fertilizzanti e cemento. Già dal 2026 il costo aggiuntivo potrebbe superare la cifra di 12 miliardi di euro.
Il Cbam era già stato modificato due volte, con una semplificazione degli adempimenti e l’innalzamento della soglia. Ma ancora non ci siamo, stando alle reazioni dei diretti interessati. «Le soluzioni proposte sono insufficienti e non riescono ad affrontare le principali debolezze», ha affermato Axel Eggert, direttore generale di Eurofer. «Non forniscono ancora il livello di protezione contro la dispersione di carbonio e la rilocalizzazione dei posti di lavoro di cui l’acciaio europeo ha urgente bisogno».
Il presidente di Confindustria ceramica, Augusto Ciarrocchi, che ieri parlava a Sassuolo, si è espresso in maniera pesante contro il sistema Ets che sta sobbarcando di costi il settore, chiedendo di «inserire la ceramica nel Cbam, ma riformandolo per garantire protezione dal carbon leakage, il rimborso agli esportatori e per rinviare la riduzione delle quote gratuite Ets, finché non ci saranno alternative tecnologiche».
Il tema è che dal 2026 cominceranno a calare le assegnazioni di quote gratuite di emissione (-2,5% nel 2026 fino alla loro scomparsa nel 2034) e dunque i settori industriali soggetti all’Ets subiranno un aumento dei costi, anche perché nel frattempo le quote costeranno sempre di più perché ne saranno messe in circolo sempre meno. Il sistema è fatto così, poiché intende scoraggiare l’uso di gas e carbone tassandoli massicciamente.
Il protezionismo climatico inventato dagli ingegneri sociali di Bruxelles assomiglia sempre di più ad un castello di carte. Si attende il primo soffio di vento.





